Che cosa ci lascia in eredità? Di sicuro tutti i suoi lavori - La città difficile, Milano ore sette: come vivono i milanesi, Metropoli. La nuova morfologia sociale della città e La dimensione metropolitana sono solo alcuni esempi -, ma soprattutto la sua insaziabile curiosità per tutto ciò che di nuovo si va profilando sugli scenari internazionali, a partire dalle potenzialità delle nuove tecnologie nello studio dei comportamenti sociali in ambito urbano e metropolitano, e il suo sguardo ironico verso il mondo.
Senza retorica posso affermare che in Italia non si sarebbe potuta sviluppare la Sociologia urbana in modo originale rispetto alla tradizione americana e ad altre tradizioni europee, senza la presenza attivamente critica di Guido Martinotti, il quale già nella seconda metà degli anni ’60 aveva posto in evidenza quanto fosse importante una comprensione multifattoriale dei fenomeni urbani per non cadere in uno sterile iper-specialismo. In proposito, penso ad un suo articolo pubblicato nel 1985 su “Quaderni di Sociologia”, nel quale Martinotti utilizza il cubo come metafora di spazio scientifico dal punto di vista dell’analisi territoriale. Le facce del cubo sono i “confini mobili” con altrettante discipline: la geografia e la scienza dell’ambiente, l’economia, la politologia, la psicologia e le scienze del comportamento. Naturalmente egli era consapevole che questa apertura ad altri punti di vista disciplinari costituiva un rischio di indebolimento dello statuto epistemologico della sociologia urbana, rischio che recentemente in Italia ha prodotto i suoi effetti in sede di riforma dei raggruppamenti disciplinari non garantendo l’autonomia della sociologia urbana rispetto ad altri campi disciplinari. Questa è stata una delle ultime battaglie che Martinotti fece e che perdette insieme a tutti noi.
Oggi è un giorno non solo triste ma molto più povero per me e per tutti i colleghi che hanno avuto il privilegio di conoscere e di leggere Guido Martinotti.