Sono passati due lustri dalla scomparsa di Antonio Cederna (Milano 1921-Roma 1996) – uno dei fondatori dell’ambientalismo italiano – archeologo e critico d'arte, poi straordinario giornalista: scrisse sul settimanale Il Mondo, e poi sul Corriere della Sera e la Repubblica. Fuanche consigliere comunale di Roma e deputato della sinistra indipendente. Non è stato dimenticato, e fioriscono le occasioni per ricordarlo. Francesco Erbani ha curato per Laterza una nuova edizione di I vandali in casa, il suo libro più noto, mentre la Corte del fontego, una nuova e benintenzionata casa editrice veneziana, ha pubblicato una nuova edizione di Mussolini urbanista, presentata da Adriano La Regina e Mauro Baioni. L’Istituto beni culturali della regione Emilia Romagna sta allestendo una pubblicazione con contributi di specialisti e compagni di viaggio. La provincia di Roma, che da anni ha istituito il premio Cederna, quest’anno lo assegna a figure che nel decennio hanno operato in continuità con il suo pensiero. Mi auguro che nei prossimi mesi anche Italia nostra, l’associazione che Cederna contribuì a fondare e che frequentò ed ebbe cara più di ogni altra, riesca a organizzare un necessario convegno di studi, per raccogliere e discutere le testimonianze, i contributi e i materiali intorno alla sua eredità prodotti nell’ultimo decennio.
Il nome di Antonio Cederna, si sa, è legato soprattutto al mondo dell’urbanistica, alla tutela del paesaggio, delle antichità e delle belle arti. Si occupò specialmente di Roma, e massimamente dell’appia Antica, e si deve in larga misura a lui se la Regina viarum e il vasto territorio che la circonda si sono salvati dagli assalti degli “energumeni del cemento armato” (oppure dei “nemici del genere umano”), come chiamava gli speculatori edilizi e i loro manutengoli annidati in parlamento e nel governo, nelle pubbliche amministrazioni, nei giornali e nelle università. All’inizio degli anni Ottanta, insieme al soprintendente archeologico Adriano La Regina e all’indimenticabile sindaco Luigi Petroselli, fu protagonista del cosiddetto progetto Fori, che prevedeva lo smantellamento della via dei Fori imperiali, lo stradone costruito per volontà di Benito Mussolini – dopo aver sventrato gli antichi quartieri costruiti nei secoli sopra le rovine romane, scempio accuratamente descritto in Mussolini urbanista – affinché da piazza Venezia si vedesse il Colosseo e per fornire uno scenario imperiale alla sfilata delle truppe. Il progetto Fori prevedeva il recupero e la ricomposizione del tessuto archeologico (fori di Traiano, di Cesare, di Augusto, di Nerva, eccetera) oggi spezzato dalla strada fascista, collocando la storia e la cultura al centro della città moderna. Morto Petroselli, i sindaci che lo hanno sostituito non hanno avuto il coraggio di andare avanti. La via dei Fori è rimasta al suo posto e continua inutilmente a scaricare automobili e inquinamento nel centro della capitale, mentre le rovine romane restano racchiuse in recinti laterali, a quote più basse, come i leoni allo zoo.
Su queste pagine c’interessa però ricordare che Antonio Cederna fu anche un accanito difensore della natura e anzi, in ogni suo intervento, la denuncia del malgoverno del territorio – il tema che credo possa correttamente sintetizzare l’insieme del suo lavoro di giornalista, di scrittore, di rappresentante del popolo – comprende sempre, in un solo intreccio, il disfacimento delle città, l’abrogazione del paesaggio, la distruzione della natura, l’eliminazione dello spazio necessario alla salute pubblica, lo smantellamento dei beni culturali, la privatizzazione del suolo. Ma anche se è difficile, e forse improprio, separare per gruppi e per generi la sua attività, penso che sarebbe tuttavia utile una riflessione ad hoc sui suoi interventi destinati esclusivamente o prevalentemente alla natura. Altrettanto, e forse ancora più utile, penso che sarebbe una ricerca volta a ricostruire puntualmente il contributo che Cederna deputato della X legislatura fornì alla formazione delle due fondamentali leggi approvate negli anni che lo videro legislatore: quella per la difesa del suolo (n. 183/1989) e quella per la protezione della natura (n. 394/1991).
Per ora mi limito a ricordare La distruzione della natura in Italia (Piccola Biblioteca Einaudi, 1975), il libro di Cederna, introvabile come ogni altra sua opera, dedicato in particolare alla natura in tutti i suoi aspetti, dai parchi nazionali ai giardini, dalle montagne ai laghi, dalle paludi allo stambecco. È un libro denso di pagine e di argomenti, che raccoglie saggi inediti e articoli scritti negli anni precedenti sul Corriere della Sera. È formato da un testo introduttivo e da tre parti tematiche: un’indagine sulle condizioni (pessime) in cui versavano i parchi nazionali del Gran Paradiso, dello Stelvio, d’Abruzzo e del Circeo; un’inchiesta sugli scempi realizzati o minacciati ai danni delle coste di Toscana, Sardegna, Lazio e Campania; un’indignata denuncia, sulla mancanza di verde pubblico nelle città di Roma e di Milano. Non senza qualche ingenuità. Come quando s’illude che le cose possano migliorare con l’entrata in funzione delle ragioni a statuto ordinario (avvenuta nel 1972), che dovrebbero spazzare via la vecchia mentalità accentratrice dell’apparato statale burocratico e prepotente. Non poteva immaginare – lui, altrimenti così preveggente – che trent’anni dopo dobbiamo troppo spesso rimpiangere i pregi del centralismo statale.
Come sempre, il linguaggio di Cederna è tagliente, talvolta feroce, il vocabolario spesso sorprendente, sempre efficacissimo. A titolo di esempio ho raccolto qui accanto una piccola antologia tratta dalle pagine introduttive del libro, e spero che, dopo le nuove edizioni dei Vandali in casa e di Mussolini urbanista, una benemerita casa editrice colmi la lacuna pubblicando anche La distruzione della natura in Italia.
(Roma, 28 giugno 2006)
Promemoria dal libro di Antonio Cederna, La distruzione della natura in Italia, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1975.
In realtà, nella maggioranza dei politici al potere si riscontra (parliamo in generale), prima ancora di ogni comprovata malizia, una vera e propria forma di imbecillità. [p. XII]
In questa cultura dimezzata spiccano quelli che per mestiere operano direttamente sul territorio, la legione di architetti, ingegneri e geometri al soldo dei costruttori e delle immobiliari. Vittime di un’educazione sbagliata e di una scuola retrograda, costoro credono ancora che scopo del costruire sia l’affermazione della loro “personalità” (!), che architettura moderna sia produzione di capolavori da pubblicare sulle riviste, che foreste e litorali ci guadagnino ad essere lottizzati, che le “qualità formali” riscattino l’errore sociale, economico e urbanistico del loro intervento. [p. XIII]
… tutta l’Italia, in assenza di qualsiasi effettiva programmazione economica e urbanistica, rischia di essere a poco a poco ricoperta, dalle Alpi al Capo Passero, da un’uniforme, ininterrotta, repellente crosta edilizia e di asfalto … [p. 17]
… ancora è l’avverbio su cui si regge l’Italia, e su cui riposano le residue speranze … [p. 18]
L’Italia contadina divenuta malamente urbana è soggetta a deprimenti distorsioni psicologiche: scambia spesso per progresso l’inumana malformazione delle città, per civiltà il biossido di carbonio, per benessere il fumo delle ciminiere, per affermazione di libertà l’eliminazione di ogni parvenza di natura. [p. 19]
Scontiamo, s’è detto, gli effetti di una cultura che ha teorizzato la preminenza dell’uomo “artista” sulla natura, di una filosofia che ne ha negato l’oggettiva esistenza e di una religione che, ai suoi livelli più bassi e diffusi, ne ha sempre considerato con sospetto e incomprensione le manifestazioni (siamo passati dal “cantico delle creature” a un papa che ha benedetto il tiro al piccione). [p. 20]
… la conservazione della natura è essenziale per offrire alla collettività un impiego sempre più adeguato del tempo libero, altro grande problema del mondo moderno. [p. 21]
… la conservazione della natura, nel quadro di una politica del territorio che subordini ad essa ogni altro intervento (edilizio, industriale, autostradale) deve essere dunque considerata l’obiettivo primario di ogni società previdente e socialmente progredita. [p. 21]
Conservazione della natura significa soltanto, alla fine, conservazione dell’uomo e del suo ambiente, incolumità e salute pubblica e quindi anche, proprio per questo, progresso economico, culturale e sociale. [p. 22]