L’espressione massima del lusso? Avere un tetto sopra la testa. Difficile descrivere altrimenti l’emergenza casa in Italia, dove l’affitto medio di un appartamento ha ormai raggiunto la parità con lo stipendio percepito dalla maggioranza dei lavoratori dipendenti. Tra il 2002 e il 2003 i canoni di locazione sono saliti del 17%, facendo schizzare a 1.025 euro la cifra media richiesta per un’abitazione. Più o meno quanto guadagna un qualsiasi operaio o impiegato.
L’allarme viene dall’ultima indagine del Sunia, il sindacato inquilini della Cgil, che ha passato in rassegna gli andamenti del mercato immobiliare su tutto il territorio nazionale: Venezia, Milano e Roma si confermano le città più care, con affitti da 1.500 a 1.260 euro al mese, seguono Firenze e Bologna, intorno ai 1.150 euro, mentre si fermano sotto quota mille solo Torino, Genova e le città del sud, tra gli 800 e i 600 euro mensili.
Affitti d’oro o in nero
Cifre che salgono ulteriormente per metrature ampie o per appartamenti in zone centrali e che, anche per chi fosse di moderate pretese, non tengono conto di spese condominiali, riscaldamento ed elettricità che finiscono con l’assorbire la totalità di uno stipendio da lavoro dipendente. A questa situazione va poi aggiunto il dilagante fenomeno dei canoni in nero, che rappresentano ben il 50% di tutto il mercato delle locazioni: «Questo è l’unico dato che si è mantenuto costante nel tempo - ha affermato il segretario generale del Sunia, Luigi Pallotta - era il 50% prima della liberalizzazione ed è il 50% ora».
Il risultato è netto alquanto drammatico: solo le famiglie con redditi superiori ai 30mila euro all’anno possono serenamente accedere al mercato ed affittare una casa adeguata alle proprie necessità. Gli altri dovranno accontentarsi di piccole stanze sovraffollate. Per le fasce più basse, che guadagnano fino a 7.500 euro annui, il canone di un monolocale incide per l’81%, mentre bilocali o trilocali restano inaccessibili con livelli di onerosità dal 127% al 147%. Non va meglio per i redditi da 15mila euro: l’affitto di un monolocale incide per il 40%, tra il 63% e il 73% quello di bilocali e trilocali, oltre il 90% quello di tipologie maggiori.
Redditi così così…
La strada inizia a farsi più agevole solo per redditi medi intorno ai 22.500 euro annui: l’incidenza è inferiore al 30% per case piccole, varia dal 42% al 49% per quelle medie, ma balza fino al 75% per abitazioni con più di quattro stanze. Se la cavano senza preoccupazioni eccessive solo le famiglie con redditi elevati di 30mila euro annui, le uniche a potersi permettere un’abitazione ampia che non incida sul bilancio di casa oltre il 57%.
... e redditi bassi
Con un reddito medio-basso, invece, una coppia con due figli che scelga di vivere in periferia a Milano dovrà accontentarsi di un’unica camera da letto per tutti (l’onerosità di un bilocale è del 61%): perchè marito e moglie possano avere una stanza tutta per sè, ci vuole almeno un reddito medio (l’incidenza di un trilocale è del 66%). «Le persone normali - ha commentato Paola Modica, segretario confederale della Cgil - non ce la fanno a tirare a fine mese. L’affitto, i cui aumenti sono decisamente superiori all’inflazione, incide pesantemente sul reddito, che già si sta progressivamente spostando verso il basso come ha fatto notare la Banca d’Italia. Come movimento sindacale, e questa è una idea unitaria di Cgil, Cisl e Uil, riteniamo indispensabile rilanciare la politica abitativa modificando la legge sugli affitti, rilanciando l’edilizia pubblica e stanziando più risorse a sostegno del fondo sociale per gli affitti».
All’edilizia pubblica, che attualmente copre solo il 7-8% della richiesta d’affitto, dovrebbe invece essere stanziato almeno un miliardo di euro all’anno, mentre almeno 500 milioni dovrebbero essere destinati al fondo sociale per gli affitti. Secondo la Cgil è inoltre necessario modificare la legge sugli affitti prevedendo solo il canale del concordato ed abolendo la libera contrattazione.
E tu chiamali investimenti
«La casa è diventata sempre più un bene d’investimento e non d’uso - ha precisato Modica - visto che in questa fase di declino e di stagnazione l’unico settore che tira è quello immobiliare, dove si registrano rendite altissime e dove confluiscono parte delle risorse che potrebbero essere destinate ad investimenti produttivi. Tutto questo è il frutto della sciagurata politica del governo, che attraverso le cartolarizzazioni, la costituzione di Patrimonio Spa, la svendita del patrimonio pubblico ed i regali fiscali, si è dimostrato pronto a tagliare il welfare ed a consentire una crescita senza precedenti degli utili nel settore degli immobili».
«C’è poi il problema della terziarizzazione dei centri storici - ha concluso Paola Modica - in Parlamento è infatti in discussione una proposta sulla nuova legge urbanistica che toglie ai comuni la pianificazione per darla in mano ai privati. Dobbiamo recuperare il patrimonio edilizio che abbiamo adattandolo alle nuove esigenze».