Le cataste di morti a Taba e a Ras Sultan che seguono le cataste di morti nella Striscia di Gaza e ne precedono altre di segno contrapposto; il mattatoio iracheno che lavora a pieno ritmo alimentato dalle autobombe dei terroristi, dai mortai della guerriglia sciita e sunnita, dai cacciabombardieri dell´Invincibile Armata americana; le elezioni afgane contestate da quattordici candidati su diciotto che si dicono vittime di brogli e si appellano agli osservatori dell´Onu; Bush e Kerry avvinghiati in una rissa elettorale che sarà vinta sul filo di lana il 2 novembre; i Fratelli Musulmani che covano l´insurrezione contro Mubarak; sunniti e sciiti che si scannano a vicenda mettendo a ferro e fuoco le moschee pachistane; l´Ossezia che ancora piange i suoi bimbi trucidati a Beslan e minaccia la rappresaglia contro i ceceni: ha ragione Sandro Viola quando scrive (ieri su questo giornale) che la sciagurata guerra irachena ha avuto l´effetto d´un calcio ad un termitaio che ha sparso dovunque la sua famelica e inarrestabile popolazione.
Purtroppo quel calcio è stato dato due anni fa e non si possono rimettere indietro le lancette dell´orologio. Ma i pareri sono discordi sulla gravità e l´irreparabilità di quell´errore e sulla terapia da applicare oggi per sconfiggere o almeno contenere la peste del terrorismo islamista che si diffonde con un crescendo spaventoso dalle montagne del Caucaso al Golfo arabico e al Mar Rosso, guadagnando consensi tra le moltitudini arabe fino alle porte di casa dell´Occidente.
I capi di Stato cercano di rassicurarsi a vicenda con un flusso continuo quanto inutile di messaggi di condoglianza. Gli osservatori, anche i più intelligenti e obiettivi, non sanno proporre e auspicare altro all´infuori d´una «maggior compattezza e più forte determinazione di tutte le nazioni sotto schiaffo». Serrare le file, dar vita a difese comuni, inviare truppe, aiuti economici sui teatri delle operazioni, trattare con l´Islam moderato isolando il fanatismo della guerra santa e il terrorismo apocalittico che cavalca sui suoi cavalli seminando sangue e rovine.
È questa la ricetta? Non si capisce quale ne sia il reale contenuto.
Probabilmente esso è ignoto anche a quelli che la propongono. Maggiore compattezza. Firmiamo tutti un appello di comune solidarietà. E poi? Spingiamo i nostri Paesi, anche quelli finora più restii, a inviare alcune migliaia di militari sui teatri delle operazioni.
E poi? Venti o trentamila soldati in più in Iraq risolveranno il problema? Altrettanti in più in Afghanistan risolveranno il problema? Rispondendo con sempre maggior violenza alla violenza terrorista?
Il terrorismo vuole che il livello di violenza aumenti, non che si attenui.
Perché la violenza è il cibo che lo nutre, ne alimenta la diffusione, ne allarga il consenso. Le bombe americane su Falluja e Samarra sono la manna per i terroristi, servono a fabbricare schiere di kamikaze a getto continuo, così come i missili israeliani sui campi profughi di Gaza o sulle città palestinesi di Cisgiordania fortificano Hamas e le altre formazioni radicali. Allo stesso modo i soprusi efferati della sgangherata armata di Putin in Cecenia hanno innescato l´orrore della scuola di Beslan senza che neppure quella carneficina d´innocenti riuscisse a separare il popolo ceceno dalle bande di assassini che dicono di agire in suo nome.
Dunque che cosa vuol dire maggior compattezza e più ferma determinazione contro il terrorismo? Qual è l´esatto e concreto significato di questa genericissima giaculatoria?
L´ala militarista dell´opinione pubblica occidentale fa coincidere la suddetta giaculatoria con l´impiego di più forti mezzi di repressione militare. L´ala diplomatica e moderata invoca invece dialogo interreligioso, scambio di informazioni tra le varie intelligence, impiego di truppe speciali, risorse per lo sviluppo economico di quelle regioni. Propositi ragionevoli. Forse bisognava pensarci prima. Prima di prendere a calci quel suddetto termitaio, perché adesso tutto è maledettamente più difficile. Si dovrebbero andare a scovare termite per termite schiacciandole una ad una, distruggendone le uova che hanno deposto chissà dove. Bisognerebbe fare il deserto intorno a loro, isolarle, prenderle per fame. Cambiando metafora bisognerebbe prosciugare l´acqua e lasciare a secco i pesci del terrorismo.
Si può prosciugare l´acqua con le bombe e i carri armati? Usare i marines come pompieri?
In uno dei suoi rari momenti di lucidità George W. Bush si è lasciato sfuggire questa frase: «Dobbiamo sapere che è molto difficile sradicare completamente il terrorismo». Certo, è molto difficile. In un mondo dove esiste una sola superpotenza militare e tecnologica, chi le si oppone ha solo l´arma del terrorismo. Infatti quando le superpotenze erano due il terrorismo non c´era. In compenso c´era il terrorismo perpetrato dagli Stati totalitari.
Ma questo è un altro discorso.
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Finora il terrorismo palestinese non è stato inquinato dalle termiti che si richiamano ad Al Qaeda. Dopo l´autobomba contro l´Hilton di Taba, Hamas si è dissociata da quell´attentato ribadendo che il suo raggio d´azione è esclusivamente limitato al territorio d´Israele.
Di solito i terroristi hanno tutto l´interesse a rivendicare gli attentati da loro compiuti; talvolta ne rivendicano perfino alcuni non organizzati da loro, allo scopo di acquistare maggiore visibilità estendendo le loro campagne di reclutamento. Se negano d´esserne gli autori c´è dunque da crederci.
Questa dissociazione di Hamas non consolerà certo Israele ma è tuttavia di notevole importanza. Significa che l´obiettivo di Hamas è per ora limitato alla nascita d´uno Stato palestinese vero, legato al ritiro non già dei settecento coloni da Gaza ma di tutti o quasi tutti gli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
Se le cose stanno così, la via per riassorbire il terrorismo contro Israele è quella di operare in concreto per la nascita d´uno Stato palestinese vero.
Questa sì, sarebbe una prima e importante vittoria dell´Occidente nella guerra contro il terrorismo, connessa ovviamente con la sicurezza d´Israele e il suo pieno riconoscimento da parte degli Stati della regione.
Per sconfiggere il terrorismo bisogna sfogliarlo foglia per foglia. La prima foglia da togliere è la Palestina, per evitare che vi attecchisca la malapianta del terrorismo globale e islamista.
Queste cose le sappiamo tutti da un pezzo. Le sa anche almeno metà del popolo d´Israele e più della metà del popolo americano. Le sanno almeno il 60 per cento dei popoli europei. Lo sa l´Onu che ha votato in proposito almeno una decina di risoluzioni rimaste tuttavia lettera morta.
Perché non si comincia da qui? Perché, invece di scambiarsi telegrammi di condoglianze, i capi di Stato non dicono e non proclamano queste verità e non indicano questo percorso?
Un problema non meno cruciale è quello della Cecenia. Più complicato perché quella regione lambisce le terre petrolifere e musulmane del Caucaso e il suo assetto può scatenare un effetto «domino» su tutte le Repubbliche ex sovietiche dell´area. Tuttavia anche la sua mancata soluzione può esercitare (sta già esercitando) un effetto «domino» altamente preoccupante, oltre a influire sulle deformazioni della fragilissima democrazia russa, piegandola a nuove forme di autoritarismo.
La lotta globale al terrorismo globale indetta da Bush dopo l´11 settembre ha avuto, tra i vari suoi aspetti positivi e negativi, anche quello di funzionare come copertura alla feroce repressione russa in Cecenia. Feroce ma inutile come tutte le repressioni. Ecco un altro grave errore e un altro calcio al termitaio ceceno, i cui effetti l´amicizia Bush-Putin non giova certo a mitigare.
E´ su questi temi che s´invoca la compattezza dell´Occidente? Bisognerebbe allora dirlo con chiarezza e dedurne iniziative strategicamente efficaci.
Bisognerebbe interrompere i circuiti perversi di bombe contro bombe, stragi contro stragi, condoglianze a senso unico. Quando muore sotto le bombe un bambino palestinese o un bambino iracheno con chi ci si conduole (ammesso che condolersi senza operare abbia qualche utilità)? Con Abu Ala? Con al Sistani? Insomma con chi?