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Eddytoriale 12 (22 aprile 2003)
5 Febbraio 2005
Eddytoriali 2003
22 aprile 2003 – Non solo i saccheggiatori irakeni del Museo di Bagdad, e i loro complici USA, distruggono la memoria. Anche da noi, in forme meno violente e appariscenti, l’operazione di cancellazione del passato prosegue. Un episodio recente è la riduzione delle spese correnti delle amministrazioni archivistiche. Le riduzioni decise dal governo interessano soprattutto “i capitoli di funzionamento, oscillano tra il 40 e il 60 % del fabbisogno, determinato dagli effettivi consumi di energia elettrica, gas metano, acqua, pulizia locali, tassa di nettezza urbana, manutenzione ordinaria degli impianti”. Una penalizzazione quindi che, nel giro di pochissimi mesi, provocherà la chiusura di quei fondamentali depositi della memoria che sono gli Archivi di Stato, e la sospensione delle attività di tutela, valorizzazione e conservazione degli archivi pubblici e privati operata dalle Soprintendenze.

Si tende così (poco importa se per ignoranza o per sapienza) a far scomparire quella che l’appello “SOS per gli Archivi” (vedi il link qui sotto) definisce “il fondamento dell'identità nazionale”. In che cos’altro risiede infatti quest’ultima se non nella consapevolezza di un comune passato, di un comune tessuto di legami, di costumi, di cultura, di sentimenti, di passioni, di virtù e di vizi, che si è sedimentato nel tempo? È questo l’humus che alimenta le radici della nostra civiltà, dunque di ciò che siamo e ciò che i nostri posteri potranno essere. Riaffiora nella ragione del presente proprio perché le sue testimonianze sono custodite negli archivi, e in essi amministrate e distribuite.

Cancellazione della memoria scritta, e accanto a questo, cancellazione della memoria depositata nel territorio: è una direzione parallela nella quale sempre più velocemente ci si incammina. Così avviene quando si abbandonano i centri storici al degrado provocato dalla banalizzazione turistica e dalla devastazione delle grandi opere (penso a Venezia e alla sua Laguna perché ci vivo, ma non solo a questo sito), quando si cancellano dal territorio le tracce di antichi armoniosi rapporti tra la natura e il lavoro dell’uomo, quando si assume quale unico motore e arbitro delle trasformazioni territoriali l’interesse individuale alla valorizzazione del proprio privato patrimonio immobiliare, piccolo o grande che sia.

Altra direzione, del resto, non può essere seguita dagli eventi, se si abbandona quel metodo della pianificazione urbana e territoriale, che fu inventato due secoli fa proprio perché gli interessi comuni non potevano trovare altri strumenti per correggere le storture provocate dallo spontaneismo del sistema economico.

Se ci si pensa, ci si rende conto che viviamo proprio in una strana stagione. Alla cancellazione del passato fa da complemento la cancellazione del futuro. Se è vero, come a me sembra indubbio, che la politica ha perduto ogni tensione verso il futuro, verso un progetto che non consista semplicemente e immediatamente nella conservazione o nella conquista del potere. Ciò che investe più d’un mandato elettorale non interessa più nessun politico. Ciò che interessa più d’una generazione non interessa più nessun cittadino (anzi, nessun membro della “gente”). Come stupirsi allora se scompare ogni valore che non sia quello del successo immediato? (Guardate la lettera di Fatarella nella Posta ricevuta, per avere un’immagine efficace del clima di oggi, dei guasti già provocati).

Sarà allora una stagione lunga quella in cui siamo immersi, quella in cui il passato e il futuro non contano più? La sua durata dipende anche da quanto ciascuno di noi vuol fare e sa fare.

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