Le opere sono certo importanti per dar conto della vita di un uomo pubblico, quale Edoardo Detti indubbiamente fu, e per affidare a chi non lo conobbe qualcosa del significato della sua esistenza, del suo percorso su questa terra. Tanto più, poi, quando quest'uomo è un architetto e un urbanista: un uomo che ha assunto perciò, quale proprio compito e impegno, il rendere la città, la terra, più bella per gli uomini.
In questo sta la ragione primaria per la quale abbiamo deciso di dedicare questo primo Quaderno di Urbanistica informazioni alla illustrazione della figura e dell'opera di Edoardo Detti. E ci sembra giusto che sia sulle pagine di questa rivista che si inizi una riflessione su Detti, perché fu grazie a lui che Urbanistica informazioni vide la luce. Fu lui, nel 1972, che indusse a rompere gli indugi, non attardandosi nel tentativo di costruire più ambiziosi progetti per dare voce ed espressione a un Inu che in quegli anni avviava, in fatica e in povertà, il proprio rinnovamento. Fu lui che spinse a rischiare con coraggio, nei modi artigianali, volontaristici, dimessi, che erano i soli possibili ma che per lui erano anche uno stile nel quale si riconosceva.
Ci rendiamo ovviamente conto che si tratta di un primo contributo sistematico alla conoscenza di Detti, la cui opera merita una illustrazione più vasta, compiuta e ricca. La nostra speranza è, anzi, che il materiale raccolto in questo Quaderno (grazie soprattutto all'appassionata attenzione di Mariella Zoppi) possa costituire, a un tempo, lo stimolo e la base per una più dispiegata e documentata opera su Edoardo Detti.
Le opere, dunque, sono importanti. Ma sono tutt'altro che sufficienti a cogliere (per darne conto) la ricchezza dell'apporto che un uomo come Detti ha saputo fornire alla nostra civiltà. A chi lo ha conosciuto, a chi ha avuto il privilegio di frequentarlo, c'è un aspetto di lui che rimane impresso nella memoria, resistendo al logorio che su di essa esercita il tempo che trascorre, e che nella riflessione su di lui appare decisiva e centrale: è la profonda unità che legava tutte le espressioni, tutti i momenti, tutte le dimensioni del suo essere.
Non a caso abbiamo adoperato il termine unità anziché coerenza, che primo si era affacciato alla penna. Proprio perché il modo in cui i vari aspetti del suo essere e del suo agire si componevano era del tutto privo di quel tanto di rigido e di costretto, di predeterminato e quindi in qualche modo di esterno, che il termine coerenza evoca. Erano il portato, profondamente radicato, e divenuto naturale, di un modo di esistere.
Leggendo i testi di Astengo, De Lucia, Di Pietro, Zoppi, raccolte nel Quaderno e ciascuno dedicato a illustrare uno dei momenti della sua attività «esterna», già si comprende come questi momenti fossero legati da una forte unità. Si ha subito la consapevolezza del fatto che per Edoardo Detti progettare un edificio o un piano regolatore, insegnare all'Università o dirigere l'Inu, fornire una consulenza professionale o amministra re un comune, erano momenti solo tecnicamente, strumentalmente diversi d'un unico lavoro. E già questa esplicitazione dell'unitarietà della sua figura meriterebbe di essere additata come esempio, oggi: in un momento cioè nel quale non la dialettica (che è sempre feconda) ma la contraddizione (spesso lacerante) sembra aprirsi tra momenti distinti ma (come Detti appunto insegna) non necessariamente separati o addirittura contrapposti. Non è forse vero che, oggi, il ruolo dell'«architetto» e quello dell'urbanista, il momento del «piano» e quello del « progetto», gli interessi «accademici» e quelli « culturali», le attribuzioni «tecniche» e quelle « politiche», vengono così spesso vissute - nelle presone e nelle istituzioni - come antinomie, informe patologiche vicine alla schizofrenia?
Ma questa unità, sebbene decisiva, non esprime interamente la compiutezza della figura di Edoardo Detti. Ne spiega il rigore, la coerenza: ha la sua radice nella sua moralità. Non spiega ancora la sua naturalezza, il suo stile, se a questo termine vogliamo dare il significato di modo di essere.
Ciò che vogliamo dire (con tutta la difficoltà che sentiamo nel tentar di esprimere sensazioni, intuizioni, immagini, momenti che il ricordo di Detti ha sedimentato in noi) è che l'unità che riconosciamo nella figura di Detti componeva, in un'armonia profonda, tutti gli aspetti della sua vita: quelli pubblici ed esterni, professionali, culturali, con quelli più privati, più personali, più intrinseci.
Preferire, quale mezzo di locomozione, la bicicletta, era certamente scelta che derivava da un suo amore per l'esercizio fisico, dal modo quindi in cui gestiva il rapporto con il proprio corpo: ma non assumeva subito anche il significato (lo annota Di Pietro) di aderire più direttamente e immediatamente, di immergersi più organicamente, nella stessa quotidianità, a quelle forme del paesaggio di città e di campagna su cui la professione lo chiamava a intervenire? L'elegante semplicità del suo abbigliamento, e la stessa accattivante nobiltà del suo portamento, erano forse separabili rispetto alle qualità delle sue architetture, erano forse altra cosa rispetto a queste? E come può, a chi lo conobbe, sfuggire il fatto che le sue mille attenzioni nella vita quotidiana (le ricette e i «trucchi» per viaggiar leggeri e consumare poco, la sapida frugalità dei cibi che prediligeva, la curiosa e gioiosa ricerca d'ogni cosa, persona, i dea che gli apparisse insieme naturale e bella) esprimevano lo stesso atteggiamento di esplorazione della vera qualità delle cose, di adesione alla realtà nella quale interveniva, di ricerca del massimo di parsimonia nell'uso di risorse che vanno in primo luogo rispettate, che caratterizzava il suo modo di operare sul territorio come architetto o come urbanista o come docente o come organizzatore o come polemista?
Del resto, anche la scelta estrema della sua vita (la decisione che il suo corpo fosse cremato) apparve a chi lo accompagnò nell'ultimo tratto del suo viaggio come l'espressione della volontà di non contribuire, neppure con i pochi centimetri quadrati del suo corpo, a sprecare quel territorio, quell'ambiente, quel paesaggio che le sue opere e il suo insegnamento e la sua azione culturale e politica avevano incessantemente difeso.