Un ambiguo compromesso ha concluso il conflitto tra quelle che sono apparse come due anime della maggioranza di governo: quella “ambientalista” e quella “sviluppista”, per adoperare due sbrigative etichette. E’ facile avanzare il timore che quel conflitto si riaprirà, e diventerà una ricorrente occasione di lacerazioni su un arco di questioni di cui la Variante di valico è poco più di un emblema.
E’ ragionevole tutto ciò? No di certo. Non solo perché accrescerebbe gli elementi di fragilità già presenti nella maggioranza, ma anche perché il nostro sistema dei trasporti ha bisogno di un deciso ammodernamento, al quale le ricorrenti polemiche non giovano. Esso è infatti abissalmente lontano dagli standard che prevalgono nella maggior parte dei paesi europei. Basta riflettere alle condizioni di servizio delle ferrovie, soprattutto sulle linee secondarie e nel Mezzogiorno, alla situazione dei porti, alle disfunzioni del sistema aeroportuale, alla pratica inesistenza del trasporto metropolitano di massa, all’assenza di reti regionali efficienti, allo stato spesso disastroso della viabilità secondaria e locale, alle condizioni tecniche di manutenzione e gestione delle stesse autostrade. Basta riflettere al paradosso che proprio uno dei paesi più accidentati e fragili dell’Europa si permette di far circolare su strada quasi il 90% delle merci (contro il 50% degli altri paesi europei), e che il “Paese di navigatori”, il cui territorio è proteso tra il Tirreno, l’Adriatico e lo Ionio, utilizza il cabotaggio solo per una quota assolutamente marginale delle merci, mentre Francia e Germania usano intensivamente la loro rete idroviaria.
Ma il distacco più grave tra l’Italia e il resto dell’Europa sta soprattutto nell’assenza di integrazione tra le reti. Se non si vedono le singole reti (autostrade, strade di grande comunicazione, strade locali, ferrovie nazionali, ferrovie regionali, metropolitane, vie d’acqua e porti, aeroporti, punti e centri d’interscambio ecc.) come elementi di un sistema, sprechi, diseconomie, disfunzioni, inefficienze sono inevitabili e crescenti. I costi per il sistema economico e per i cittadini tendono a divenire insopportabili, a mano a mano che la domanda di mobilità aumenta.
Il vero dramma della discussione che si è svolta in materia di infrastrutture è proprio questo: si continua a ragionare, a discutere e a progettare singoli pezzi di singole reti, senza alcun ragionamento complessivo, senza alcuna strategia, senza alcuna scelta di sistema. Si faceva così ai tempi di Nicolazzi e di Prandini, massime espressioni del doroteismo: decidere caso per caso e pezzo per pezzo è ciò che ha aiutato a percorrere la strada del clientelismo e della corruzione (ed è anche da questo che è nata Tangentopoli, dott. Di Pietro).
Perciò è sembrato del tutto ragionevole ciò che il ministro per l’Ambiente ha suggerito al primo sventagliare delle proposte stradali: indire una Conferenza nazionale sui trasporti, per organizzare i materiali su cui fondare le scelte della politica dei trasporti. Scelte in termini di strategie e di indirizzi di sistema (quale quota dei flussi delle merci e delle persone dirottare dalla gomma al ferro e dalla terra all’acqua, dalle direttrici nazionali a quelle locali e viceversa, con quali integrazioni e connessioni tra le reti, in vista di quali incrementi, e come localizzati, della domanda di mobilità ecc.), dalle quali far poi discendere le decisioni sulle opere, le priorità, le localizzazioni, i finanziamenti, le tariffe.
Poiché ciò che sembra indispensabile, in una società complessa, è l’applicazione del metodo della programmazione. E’ solo adoperando un simile metodo che è possibile comporre a priori le esigenze in conflitto dove questo è possibile, e scegliere dove è necessario. Negli anni 60 e 70 le forze progressiste, sia dentro che fuori dalla maggioranza di centrosinistra, l’avevano capito. Non a caso, nell’istituire le regioni avevano riservato allo Stato il diritto e il dovere di definire “le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento all’articolazione territoriale degli interventi di interesse statale”, e la politica nazionale dei trasporti certamente lo è, “e alla tutela ambientale ed ecologica del territorio nonché alla difesa del suolo” (Dpr 616/1977).
Ripristinare una corretta logica di programmazione del territorio, cominciando con una Conferenza dei trasporti, proseguendo con la definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio” e completando il lavoro con una nuova legge sul governo del territorio è la via obbligata per una maggioranza che voglia davvero “portare l’Italia in Europa”, in termini di funzionalità del sistema territoriale, di qualità della vita, di impiego corretto delle risorse. Non si tratta di un problema tecnico e amministrativo, come sembra credere l’on. D’Alema, ma di una questione squisitamente politica.
Edoardo Salzano