Alla domanda che intitola il seminario odierno viene voglia di rispondere: “Tutti in teoria, nessuno in pratica”.
Perché è questa, purtroppo, l’esperienza di chi cerca – da semplice cittadino, ancorché talvolta organizzato insieme ad altri in associazioni, comitati, ecc. - di cimentarsi nell’arduo compito di impedire almeno gli scempi più vistosi, le distruzioni più assurde, le speculazioni più evidenti.
1. Un po’ di storia. Il PURG del ’78 e la sua (mancata) attuazione
Vediamo il caso della mia Regione, il Friuli-Venezia Giulia, un tempo additata come modello in Italia proprio in fatto di pianificazione del territorio. Fu la prima, infatti (in realtà la seconda, dopo l’Umbria), a dotarsi di uno strumento di pianificazione che oggi si direbbe d’”area vasta”, vale a dire il Piano Urbanistico Regionale Generale (PURG) approvato nel 1978.
Un piano, certo, ancora “sviluppista”, anche se va tenuto conto che a PURG ormai pronto si verificò il terremoto del Friuli del maggio ’76, il quale – come tutte le “emergenze”, almeno in Italia – produsse da un lato la conseguenza di irrobustire la forte corrente di pensiero ostile all’urbanistica in quanto tale. Dall’altro lato, con l’enfatizzazione del successo dei sindaci nel gestire la ricostruzione, pose le basi psicologiche e politiche per una progressiva enfatizzazione del ruolo delle comunità locali nelle scelte territoriali.
Il PURG avrebbe potuto, tuttavia, rappresentare una buona base di partenza nel senso di una gestione del territorio “sostenibile” o meglio fondata sul principio della tutela della biodiversità e quindi delle reti ecologiche (più che delle sole aree protette intese in senso tradizionale), avendo previsto il sistema degli ambiti di tutela ambientale (76) e dei parchi regionali (14), estesi su circa il 30 % del territorio regionale. Un sistema, va detto e sottolineato, che nasceva da un forte coinvolgimento nella stesura del piano delle migliori conoscenze scientifiche allora disponibili in merito alle valenze ambientali presenti sul territorio regionale.
Un sistema che non sarebbe stato difficile, volendo, far evolvere verso un’autentica “rete ecologica” (in parte lo era già). Si preferì invece ripiegare su una gestione molto tradizionale e burocratica della materia, delegando ogni iniziativa sui parchi e gli ambiti di tutela ai Comuni e trasformando così un’idea originale e innovativa nell’ennesima occasione per la spartizione più o meno clientelare – e casuale - di incarichi per la progettazione di piani e per la realizzazione di opere pubbliche, non di rado discutibili (il prolungamento della “Napoleonica” in Comune di Trieste, ad esempio). Risultato : alcuni “parchi di carta” e nessuna effettiva tutela degli ecosistemi.
E ovviamente neppure del paesaggio.
Senza contare che talvolta fu la stessa Giunta regionale a decretare la “morte” di alcuni ambiti di tutela, a vantaggio di interessi economici privati evidentemente ben rappresentati in sede politica (è accaduto ad alcune preziose aree naturali della pianura friulana, distrutte dalla sciagurata politica dei riordini fondiari).
L’esperienza fallimentare di quegli anni avrebbe potuto essere di insegnamento almeno per evitare di ricadere in errori analoghi. Era infatti del tutto evidente come non fosse saggio affidare al livello comunale (in una sorta di devolution ante litteram) la responsabilità della gestione di un patrimonio tanto prezioso, quanto delicato e soggetto ad innumerevoli pressioni e minacce.
E invece la successiva legge urbanistica regionale, la n. 52 del 1991, rappresentò un ulteriore decisivo passo verso la rinuncia della Regione – a vantaggio dei Comuni – ad un ruolo “forte” sia nella pianificazione territoriale, sia nella tutela del paesaggio. Basti riflettere alla sub-delega ai Comuni (senza indirizzi e direttive di sorta) della competenza sulle autorizzazioni paesaggistiche e all’autentico abominio cui sono oggi ridotte gran parte delle Commissioni Edilizie Integrate comunali.
Una rinuncia, va ricordato, non accompagnata da alcun contrappeso istituzionale, come avrebbe potuto essere ad esempio un rafforzamento della trasparenza e della partecipazione (che è anche, inevitabilmente, controllo) da parte dei cittadini, insieme all’inserimento organico del ruolo di alcuni organi dello Stato (le Soprintendenze, ad esempio) nell’elaborazione dei piani.
Per tacere del fatto che fu completamente ignorato un problema sostanziale : l’inadeguatezza tecnica e strutturale di molti Comuni (quelli più piccoli, in primo luogo, che sono però la stragrande maggioranza) a gestire attività e procedure complesse come quelle relative ai PRGC ed ai PRPC (Piani regolatori particolareggiati comunali).
Il tutto nell’assenza totale di un quadro di riferimento sovracomunale o d’area vasta, perchè il PTRG (Piano territoriale regionale generale) previsto dalla 52/1991 in sostituzione del PURG, com’è noto, non ha mai visto la luce. Benché, com’è forse meno noto, fosse stata prodotta in funzione del PTRG medesimo una copiosa – e costosa – serie di studi preparatori e lo stesso PTRG fosse in realtà pronto nella seconda metà degli anni ’90 (in due versioni successive, come hanno spiegato altri relatori di questo convegno).
Nel frattempo alcune importanti novità, che avrebbero dovuto indurre la Regione ad adottare un approccio più consapevole rispetto ai valori ambientali (magari riprendendo, sviluppando e soprattutto applicando sul serio le previsioni già contenute nel PURG), erano pur intervenute.
Prima fra tutte la cosiddetta legge “Galasso” (431/1985) sulla tutela del paesaggio.
Invece, non soltanto non fu colta la fondamentale novità di questa legge, che concepiva il paesaggio meritevole di tutela non più come meri “quadri naturali” identificati da vincoli puntuali, bensì come insieme di ambienti naturali (le aree costiere, i fiumi, i laghi, le montagne, i boschi, ecc.) da assoggettare in quanto a tutela e specifica pianificazione.
Non soltanto ci si rifiutò di cogliere questo aspetto, ma ci si attardò in un miope arroccamento a difesa dell’”autonomia” regionale, contro le “ingerenze” statali, arrivando ad impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale.
Un errore tragico – se di mero errore si trattò – la cui responsabilità ricade ovviamente sulla classe politica al potere in quegli anni, ma anche sul livello tecnico dirigenziale.
Nel frattempo e da allora in poi, naturalmente, l’urbanistica – comunale – ha marciato (e marcia) a pieno ritmo, producendo gli effetti che ognuno può constatare de visu sul territorio.
A dirigerla non c’era ovviamente un quadro di riferimento generale, né un sistema organico di tutele per l’ambiente naturale ed il paesaggio (inesistenti entrambi, come si è detto). C’erano - e ci sono – inevitabilmente soltanto gli interessi, più o meno organizzati di categorie, lobbies, gruppi economici grandi, piccoli e piccolissimi, tutti adeguatamente rappresentati nelle amministrazioni comunali.
Tant’è che il processo di formazione e discussione di un PRGC (o di un PRPC) si riduce spesso - di fatto - ad un penoso gioco autoreferenziale, senza alcun momento di reale trasparenza, tra sindaci e consiglieri (spesso soltanto alcuni consiglieri) comunali, più o meno “ispirati” dai diretti interessati alle trasformazioni, con professionisti e funzionari ridotti al ruolo di notai di decisioni altrui.
Tutto (o quasi) legittimo, beninteso, “legale” e nel rispetto delle regole canoniche. Nulla a che vedere con l’abusivismo anarchico dilagante in altre parti d’Italia. E tuttavia gli effetti negativi sul territorio non sono molto dissimili da quelli che si possono notare in una regione giustamente vituperata per la sua dissennatezza urbanistica, come il vicino Veneto.
Basti pensare a cos’è diventata l’area del pordenonese, oppure all’incredibile congerie di centri commerciali – con relative infrastrutture - a nord di Udine, tanto per citare solo due esempi.
Anche qui, come in Veneto (e non solo), un’allucinante sfilata di capannoni ed edifici dalle più svariate destinazioni, disseminati lungo le statali e le provinciali, al di fuori di qualsiasi logica, con le inevitabili (e queste sì logiche !) conseguenze : congestione viabilistica, scomparsa del paesaggio agrario, spreco di territorio, ecc.
Nessuno, men che meno i Comuni, ha saputo resistere alla spinta verso la proliferazione di zone produttive o “miste” artigianali-commerciali, o artigianali poi trasformatesi in commerciali, o commerciali tout court, qua e là sul territorio. Non si è voluto costruire un serio coordinamento delle scelte insediative, per evitare almeno che ogni Comune si costruisse (con soldi pubblici, si badi !) la propria zona artigianale e poi anche quella commerciale, con tutto l’inevitabile corredo di infrastrutture viarie e non.
Nessuno, neppure le organizzazioni agricole, che pensasse ad una vera tutela del suolo coltivabile di fronte all’inarrestabile espansione del cemento e dell’asfalto.
O meglio, qualcuno c’era (e c’è ancora) : i soliti rompiscatole ambientalisti, riuniti in associazioni (quelle “storiche”, su questi temi : WWF e Italia Nostra, in pratica, e basta), oppure in comitati spontanei di cittadini. Ma si sa, gli ambientalisti sono fondamentalisti per antonomasia, non hanno in mente lo “sviluppo”, soltanto i “vincoli”…
La natura ed il paesaggio, in un simile contesto, non potevano certo aver sorte diversa dal resto del territorio.
2. I PRGC dell’area triestina
Conviene soffermarsi, per ragioni che diverranno più chiare in seguito, soprattutto su alcuni esempi tratti dalla realtà del capoluogo regionale, Trieste, e del – minuscolo ma prezioso - territorio circostante.
Una serie di piani regolatori, nella seconda metà degli anni ’90, ha disegnato il futuro del territorio nei tre Comuni costieri della provincia triestina.
Il PRGC di Trieste, approvato nel ’97, nacque con l’intento dichiarato apertamente dal sindaco di allora (Riccardo Illy) di servire “al rilancio dell’attività edilizia triestina, da troppo tempo in crisi”. Non per nulla, assessore all’urbanistica nel periodo cruciale della discussione sul PRGC, fu nominato dal sindaco un uomo di punta del locale Collegio Costruttori (l’ing. Cervesi) ... Gli effetti concreti di quel piano sono sotto gli occhi di tutti, specie lungo la fascia costiera.
Va ricordato che la Regione tentò, intervenendo con gli strumenti limitati di cui disponeva in base alla citata legge urbanistica del ‘91, di porre rimedio almeno alle storture più evidenti del piano nelle aree di maggior pregio ambientale. Ne derivò un’asperrima battaglia politico-legale tra il sindaco (oggi presidente) e la Giunta regionale di allora, condotta dal primo in nome dell’”autonomia” comunale e – purtroppo – vinta davanti al Consiglio di Stato alla fine del ’99, proprio per la mancanza del piano paesistico previsto dalla “Galasso”. Come si vede, gli errori – politici e tecnici – prima o poi si pagano : il guaio è che di solito non li paga chi li ha commessi e in definitiva li paga l’ambiente.
Il PRGC di Muggia (approvato nel 1999) nasce invece sotto il segno dello “sviluppo turistico”, inteso naturalmente nell’accezione italiana, e quindi prevede colate di cemento, interramenti a mare, nuovi porti nautici e quant’altro lungo tutto il piccolo tratto di costa salvatosi (in parte) dagli scempi compiuti nei decenni passati (grazie alle giunte comunali “di sinistra” di allora). Il piano contiene sì un’analisi abbastanza accurata delle valenze naturalistiche e paesaggistiche, ma le contraddice sovrapponendovi previsioni edificatorie assolutamente inammissibili.
Il PRGC di Duino-Aurisina, sempre del ’99, pur con qualche cedimento e ingenuità, è l’unico a fondarsi su una profonda analisi dei valori ambientali e culturali ed a porsi programmaticamente l’obiettivo di tutelare con rigore lo straordinario patrimonio racchiuso su un territorio piccolo ma estremamente complesso e diversificato (ma anche piuttosto mal gestito fino ad allora).
Manco a dirlo, questo è il piano che corre i maggiori rischi di essere svuotato e stravolto dall’amministrazione comunale in carica.
Nessun esito, pur avendone in teoria la potenzialità, ha avuto il tentativo della Regione (tardo frutto della breve stagione in cui un barlume di consapevolezza si era fatto strada ai vertici della Giunta) di redigere un piano paesaggistico – ancorché sotto falso nome – per l’intera fascia costiera triestina.
Correva l’anno 2000 ed al potere c’era una Giunta di centro-destra, nefasta certo per molti aspetti (compreso un tentativo subito abortito di mettere mano alla legge urbanistica in combutta con i peggiori figuri dell’INU nazionale), ma mai quanto quel che sarebbe venuto dopo.
Ci ha pensato infatti, qualche anno dopo, il neo-eletto presidente della Regione (Illy, sempre lui…) a decretare – in aperto spregio della legislazione statale in materia - che il piano paesaggistico della costiera triestina “…non saranno inserite previsioni che contrastino o contraddicano gli strumenti urbanistici dei comuni interessati”, affossandolo quindi sul nascere.
Non sia mai che a qualcuno venga in mente di rivedere la villettizzazione prevista dal PRGC di Trieste proprio in quell’area!
3. L’urbanistica e il paesaggio in Friuli Venezia Giulia nell’era di Illy
Nel programma della Giunta Illy, sui temi della pianificazione territoriale e del paesaggio non c’è nulla, e assai poco anche su quelli ambientali. C’è parecchio invece per quanto concerne le politiche industriali, l’innovazione e la competitività del sistema produttivo regionale, ecc.
Un sintomo abbastanza chiaro, per chi l’avesse voluto cogliere, dell’indirizzo che il nostro intendeva dare all’attività dell’amministrazione regionale.
Gli atti successivi non facevano che confermare l’impressione di una Giunta intenta a rispondere soprattutto alle “esigenze” – spesso soltanto presunte - del sistema produttivo, così come rappresentate dalle istanze organizzate dello stesso (Confindustria in primis, ovviamente).
Ecco quindi, similmente a quanto fatto a Trieste per compiacere la lobby dei costruttori, l’enfasi estrema sulle infrastrutture di trasporto (ferrovie ad alta velocità, ma anche – e soprattutto – strade ed autostrade) e su quelle energetiche (elettrodotti, rigassificatori per GNL).
Il tutto, ben inteso, anche quando aveva ed ha ovvie e pesanti ricadute territoriali, paesaggistiche ed ambientali, al di fuori di qualsiasi quadro programmatico e pianificatorio: l’infrastruttura come postulato, come a priori. Non quindi un approccio problematico, che cerchi di capire – il più possibile oggettivamente, sulla base di studi, analisi costi-benefici, valutazioni strategiche e di impatto ambientale – quali e quante infrastrutture servano davvero al Friuli Venezia Giulia e siano compatibili con i valori irrinunciabili del suo territorio, bensì il progetto dell’opera come punto di arrivo che non si può discutere, al quale vanno subordinati piani e strumenti di tutela.
E’ per questo che il WWF, avendo iniziato subito un scrupoloso monitoraggio sull’attività della Giunta Illy in campo ambientale, ha infine riassunto le proprie valutazioni in un documento organico (v. allegato 1), inviato a tutti i possibili “portatori di interesse” e referenti istituzionali (anche nazionali), senza però –apparentemente – suscitare particolari reazioni nel mondo politico, neppure da parte della cosiddetta “sinistra radicale”.
L’impostazione politico-culturale della Giunta Illy porta talvolta anche a situazioni al limite del grottesco, come quella in cui il nostro diventa addirittura “certificatore di qualità paesaggistiche”. Accade a Sistiana, febbraio 2005, quando il presidente della Regione incontra il sindaco di Duino-Aurisina (un ex collega, in fondo…) e l’imprenditore privato (un altro collega…) che in quella baia vorrebbe realizzare un ignobile mega-progetto turistico-immobiliare e “attesta” l’alto valore paesaggistico dell’intervento, proponendo addirittura. delle “migliorie” (peraltro ridicole o impossibili a realizzarsi). Di fronte ad un progetto, si badi bene, tenuto segreto a tutti (ma non a lui) allora e per molto tempo anche dopo.
Ma bisogna pur aiutare le iniziative imprenditoriali.
Inutile dire che gli uffici regionali competenti in materia, di fronte a tanto autorevole certificazione, si sono prontamente adeguati….
Del resto, ancor prima a Lignano, la pineta di proprietà dell’EFA (carrozzone pseudo-assistenziale ma in realtà immobiliare, di proprietà della Curia di Udine), pur assoggettata a vincolo paesaggistico nei primi anni ’90 proprio per decisione della Regione, è stata sventrata per far posto ad alcuni edifici sportivi privati (che avrebbero potuto benissimo trovar posto altrove). In questo caso, non si è esitato ad applicare la normativa regionale sui lavori pubblici ereditata dalla precedente amministrazione di centro-destra, trattandosi sì di un intervento privato, ma sostenuto da un contributo regionale e quindi parificato ad un’opera di pubblica utilità. Una normativa, ça va sans dire, che permette di scavalcare agevolmente piani e vincoli ed è assai sbrigativa sotto il profilo delle valutazioni ambientali e paesaggistiche.
Non che il nostro sia del tutto allergico alla pianificazione, beninteso. Basta che i piani siano costruiti a sua immagine e somiglianza e cioè contengano tutto ciò che lui vuole (infrastrutture, ecc.) e non contengano ciò che non vuole (vincoli paesaggistici o ambientali insuperabili, ad esempio). Ecco quindi che, di fronte ad alcune – grosse - difficoltà insorte nell’iter di un progetto che gli sta particolarmente caro, cioè la linea ferroviaria ad alta velocità Venezia – Trieste, spunta improvvisamente l’urgenza (neppure accennata, come detto, nel programma di Giunta) di un Piano Territoriale Regionale. O meglio, di una legge che ne indichi finalità e procedure. L’obiettivo vero è però un altro, come vedremo.
Ecco, quindi, il solerte assessore alla pianificazione territoriale (nonché all’energia, alla mobilità e alle infrastrutture di trasporto…), Sonego, approntare di gran carriera quella che sarebbe diventata poi la legge regionale 30 del 2005. La quale all’art. 5 espone sinteticamente tutte le proprie “coordinate culturali”: l’economicismo di fondo, la confusione dei piani e degli obiettivi, la demagogia e l’indeterminatezza delle enunciazioni. E’ infatti questo, probabilmente, il primo caso in cui ad un Piano territoriale si impongono “equi-ordinate” finalità strategiche quali “la conservazione e la valorizzazione del territorio regionale, anche valorizzando le relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale e storico” insieme alle “migliori condizioni per la crescita economica del Friuli Venezia Giulia e lo sviluppo sostenibile della competitivita’ del sistema regionale”.
Che cosa significhi poi, anche dal mero punto di vista semantico, “lo sviluppo sostenibile della competitivita’ del sistema regionale”, è questione troppo ardua per essere risolta dalle modeste capacità del sottoscritto e richiederebbe ben altre doti esegetiche.
Ma tant’è, così si scrivono le leggi oggi in Friuli Venezia Giulia.
I contenuti “programmatici” della legge 30 sono stati successivamente ripresi, pari pari, nella nuova legge urbanistica regionale, la n. 5 del 2007, che ha sostituito la precedente n. 52 del ’91.
Per una disamina puntuale del testo normativo, si veda l’allegato 2, riferito in realtà al disegno di legge originario; le modifiche introdotte in fase di approvazione non sono però tali da mutare la sostanza dell’articolato e quindi neppure il giudizio del WWF su di esso. Un altro importante commento alla legge regionale 5/2007 è quello del compianto Luigi Scano, pubblicato su www.eddyburg.it
Naturalmente, il vero obiettivo della legge 30 era ben altro. Vale a dire le infrastrutture. Il Capo II della legge è infatti costruito con l’obiettivo dichiarato di “preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero di dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione”. Ecco quindi, sempre rigorosamente al di fuori di qualsiasi previsione pianificatoria, strumenti come la sospensione provvisoria dell’edificabilità “sulle domande di concessione o di autorizzazione edilizia in contrasto con progetti che siano stati dichiarati di interesse regionale”. La dichiarazione spetta, ovviamente, alla Giunta regionale. Il testo originario del disegno di legge indicava esplicitamente alcuni di questi progetti strategici: le “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari” e le “opere del nuovo collegamento stradale Cervignano-Manzano e quelle ad esso complementari”. Indicazioni poi espunte, per pudore, nel testo definitivo.
Con tali premesse, appariva abbastanza chiaro cosa ci si potesse aspettare dal PTR.
Il piano vero e proprio è stato preceduto da un – corposissimo – “Documento preliminare al PTR”, sul quale è stato anche avviato un pretenzioso quanto vuoto ed insulso “processo partecipativo”, ispirato (si vorrebbe far credere) ai principi di Agenda 21.
Si rimanda al commento di dettaglio del WWF su tale elaborato (v. allegato 3). Basti dire che dalle 550 (!) pagine del documento non emerge alcun indirizzo chiaro, per quanto concerne elementi imprescindibili di ogni serio strumento di pianificazione territoriale, come le questioni ambientali e del paesaggio: imprescindibili specie per un PTR che si vorrebbe abbia anche valenza di piano paesaggistico!
Invece, anche qui, emerge con assoluta evidenza l’approccio essenzialmente economicistico alle questioni territoriali e l’enfasi sulle infrastrutture strategiche, accanto a “perle” di assoluto valore umoristico – ancorché involontario – quali l’impagabile finalità del Piano consistente nell’“offrire sostegno alla zootecnia ed al pascolo (con reintroduzione di cavalli, mucche, ovini che a livello di coscienza collettiva contribuiscono a ‘fare paesaggio’)”.
Men che meno, si rinvengono nel documento preliminare, indicazioni forti in merito ad una concezione moderna del paesaggio e dell’ambiente naturale, concezione che pur era presente – almeno in nuce – nel PURG del 1978. Una concezione, cioè, che si incentri sulla tutela degli ecosistemi, più che di singole “isole” di pregio naturalistico, che di conseguenza punti alla tutela e al recupero delle connessioni funzionali tra gli ecosistemi stessi attraverso un sistema di reti ecologiche e di corridoi naturalistici (tenuto conto, ovviamente, della straordinaria concentrazione di biodiversità presente – malgrado tutto - nel pur limitato territorio regionale). Una concezione, va riconosciuto, ardua da accettare per chi concepisce il futuro del Friuli Venezia Giulia essenzialmente come “piattaforma logistica” e le “reti” le vede rappresentate soltanto da strade, ferrovie ed elettrodotti…
Naturalmente, però, le infrastrutture non possono attendere i tempi, inevitabilmente lunghi, di un PTR. Ecco quindi che, a latere di tutto ciò, si percorrono anche altre strade.
Una di questa è quella che punta ad estorcere al Governo impegni – politici ed economici – per le cose che interessano. Ecco allora il Protocollo d’intesa tra la Regione Friuli Venezia Giulia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, predisposto la scorsa estate dal presidente della Regione raccogliendo anche i contributi di vari esponenti politici di maggioranza ed opposizione e – ahinoi – sottoscritto dal Presidente del Consiglio il 6 ottobre 2006.
Il commento del WWF sul Protocollo è reperibile all’allegato 4. Qui basti rimarcare che, in perfetta continuità con quanto detto prima a proposito di infrastrutture, il Protocollo contiene una nutrita “lista della spesa” relativa alle opere – viarie – che la Regione chiede di finanziarie, ovvero di sostenere nelle successive fasi progettuali, ovvero di agevolare (è il caso della superstrada Sequals-Gemona) mettendo in riga i funzionari recalcitranti che in qualche Soprintendenza si ostinano a non volersi sottomettere ai desiderata dei sindaci e delle categorie economiche. Il tutto, al solito, prescindendo da qualsiasi pianificazione o programma, come dimostra il caso eclatante del collegamento autostradale tra la A 23 e la A 27 attraverso il traforo della Mauria, opera – voluta da alcuni ambienti economici soprattutto veneti - inserita a forza nel Protocollo soltanto perché “prevista” da un’intesa estemporanea stipulata nell’aprile 2004 tra il presidente del Friuli Venezia Giulia, quello del Veneto ed il ministro delle Infrastrutture. Sono questi gli unici atti programmatici che contano e che devono prevalere, secondo il nostro, su qualsiasi piano e programma.
Il guaio è che finiscono per prevalere anche su elementari considerazioni di sostenibilità tecnico-economica delle opere (per non parlare della sostenibilità ambientale), sulle doverose esigenze di coinvolgimento ed informazione dei cittadini, scavalcando di fatto perfino procedure di valutazione pur prescritte da Direttive europee come la V.A.S..
Proprio come accade con la linea ferroviaria ad alta velocità Venezia –Trieste.
Al Protocollo ha fatto seguito quest’anno un “atto aggiuntivo”, che ne aggiorna alcuni contenuti senza mutare la sostanza, né l’approccio politico-culturale di fondo. Stiamo tentando, in questi giorni, di far percepire ai decisori politici nazionali, l’inopportunità di assecondare Illy su questo terreno, ma la battaglia è in salita: già alcuni parlamentari eletti in Friuli Venezia Giulia hanno assicurato pieno sostegno all’atto aggiuntivo e lo stesso Prodi ha di recente promesso che lo firmerà quanto prima, sia pure previa verifica tecnica sui contenuti.
Bisogna però pur produrre uno straccio di piano, anche perché lo prescrivono le normative nazionali, almeno per quanto concerne il paesaggio (D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.). Ovviamente, bisogna che il piano corrisponda, almeno nella forma, a quanto previsto dalle norme statali. Ecco allora intervenire l’Intesa interistituzionale tra la Regione, il Ministro per i beni e le attività culturali ed il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare “per l’elaborazione congiunta del piano territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, predisposta dal solerte Sonego e inviata per la sottoscrizione a Roma.
Un sintomo di rinsavimento? Mica tanto, perché il testo dell’Intesa proposto dalla Regione prevedeva (art. 3) che gli “indirizzi preliminari e generali di cui tener conto nell’elaborazione del PTR” siano costituiti, ovviamente, dal “Documento preliminare al PTR”, quello delle 550 pagine di cui sopra, con mucche, cavalli e ovini che contribuiscono a fare paesaggio.
Per fortuna, in extremis, qualcuno a livello ministeriale ha pensato bene di cassare questo punto. Ora si tratta di vedere se gli organi ministeriali (per il MBBAACC si tratta della Direzione regionale per il Friuli Venezia Giulia), ai quali è stato affidato il compito di seguire l’iter del PTR, avranno la forza di riappropriarsi del proprio ruolo, mettendo un freno alla deriva “sviluppista” ed infrastrutturale del Friuli Venezia Giulia. In fondo, a tutt’oggi, la competenza prevalente in merito alla tutela del paesaggio appartiene allo Stato e la Regione Friuli Venezia Giulia non ha certo ben meritato finora, in questo campo.
L’esame del PTR, disponibile in bozza ma non ancora adottato, è in corso e da un primo esame si può dire che quanto prodotto dagli uffici regionali non si discosta granché dal “Documento preliminare” citato prima.
E’ da augurarsi che non intervengano pressioni politiche, dirette o indirette, ad interferire con il lavoro dei tecnici dei ministeri, incaricati di interagire con gli uffici regionali nella definizione dei contenuti del PTR.
Un segnale pericoloso in questo senso è però rappresentato da quanto accaduto di recente.
4. Di nuovo Sistiana
Succede infatti che una parte (quella più corposamente edilizia, manco a dirlo) del progetto “segreto” per la cosiddetta valorizzazione turistica dalla baia di Sistiana, ottenga l’autorizzazione paesaggistica dal Comune di Duino-Aurisina. Qui si potrebbe aprire un – penoso – capitolo sul funzionamento delle Commissioni Edilizie Integrate, ma è meglio rinviarlo ad un altro momento.
Succede poi che il nuovo Soprintendente BPAASAE del Friuli Venezia Giulia, l’arch. Rezzi, annulli l’autorizzazione comunale, con una corposa e dettagliata motivazione, evidenziando in particolare la difformità della relazione paesaggistica presentata rispetto a quanto previsto nel DPCM 12/12/2005.
Plaudono gli ambientalisti, ma il sindaco è in campagna elettorale e l’argomento baia di Sistiana ne diventa il clou. Tanto che a pochi giorni dal voto il sindaco rilascia una nuova autorizzazione paesaggistica, anche perché nel frattempo il Comune ha incassato parte degli oneri di urbanizzazione dai proponenti del progetto…
Il sindaco viene rieletto con buon margine, ma un paio di mesi dopo il Soprintendente annulla per la seconda volta l’autorizzazione, rincarando la dose nelle motivazioni: il progetto era infatti rimasto tale e quale e così pure la relazione paesaggistica.
Pochi giorni dopo, è di passaggio a Trieste per un convegno di Confindustria sul turismo il ministro Rutelli, il sindaco di Duino-Aurisina e Illy colgono l’occasione al volo per perorare con lui la causa del progetto di Sistiana, che ora “è fatto bene” garantisce personalmente il presidente (già autoinvestitosi del ruolo di esperto paesaggista, come si è visto, cfr. sopra par. 3).
Il tentativo di mettere nell’angolo il Soprintendente è palese e spudorato. Vi si associa anche il sottosegretario agli interni (!), in quanto triestino e, soprattutto, fedelissimo di Illy (fu presidente del Consiglio comunale quando Illy era sindaco).
Piccolo dettaglio, tutto sommato irrilevante visti i tempi che corrono: il sindaco di Duino-Aurisina è di Forza Italia e guida una giunta di centro-destra, mentre il centro-sinistra – in teoria lo stesso schieramento che sostiene Illy - è all’opposizione.
Rutelli se la cava invitando il sindaco a rivolgersi ai superiori romani del Soprintendente. Pare però che l’incontro richiesto con l’arch. Cecchi non abbia ancora avuto luogo.
Intanto il Comune di Duino-Aurisina ha presentato ricorso al TAR contro l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica. Il WWF e Italia Nostra si affiancheranno all’Avvocatura dello Stato nel sostegno alla Soprintendenza e ha chiesto che il ministero faccia altrettanto (v. all. 5).
Il sindaco di ha però dichiarato il Consiglio comunale che anche la Regione interverrà nel giudizio, a fianco del Comune.
Se una Giunta regionale si comporta così per un progetto, è pensabile che non metta in moto tutte le leve politiche a sua disposizione anche per ottenere un trattamento di favore sul PTR?
5. Conclusioni
Tutto ciò può aiutare a dare risposta alle domande che compaiono nel programma della Scuola a proposito del tema di questo seminario?
Probabilmente solo in parte.
Il problema vero non sono infatti gli accorgimenti normativi e procedurali che consentano di meglio equilibrare il rapporto tra i vari poteri, oppure che garantiscano un corretto rapporto tra i cittadini e le istituzioni, oppure ancora che definiscano il rapporto tra la tutela e le decisioni sulle trasformazioni.
Beninteso, modifiche anche rilevanti alle norme attuali – sia in campo urbanistico, sia in quello paesaggistico, sia in quello ambientale – sono senz’altro necessarie e del resto sono state anche già proposte (si pensi ad esempio alla proposta di legge prodotta proprio da Eddyburg in materia di pianificazione del territorio). Tra queste, tengo a sottolineare l’urgenza di una modifica del Codice dei beni culturali e paesaggistici, che restituisca al Ministero BBAACC e alle Soprintendenze la facoltà di intervenire nel merito delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate da Comuni e Regioni e non più soltanto per vizi di forma come oggi accade.
E’ chiaro altresì, ed è stato più volte ricordato autorevolmente in varie sedi, che un ripristinato ruolo di effettivo controllo sui beni paesaggistici da parte del Ministero BBAAC, non può assolutamente prescindere dal deciso potenziamento delle strutture periferiche (e non solo) dello stesso, oggi ridotte in condizioni di vergognosa indigenza.
Si potrebbe continuare a lungo, elencando le tante proposte di riforma necessarie ed urgenti.
Il problema vero, si sarebbe detto un tempo, è però la “volontà politica” di farle queste riforme e di farle funzionare. Volontà che non c’è, a quanto posso vedere, né a livello centrale, né – come credo di aver dimostrato – neppure a livello locale (almeno per quanto riguarda la mia Regione), anzi.
C’è piuttosto esattamente la volontà opposta, cioè quella di utilizzare tutti gli strumenti e gli organi istituzionali per asservirli agli interessi economici predominanti. C’è in buona sostanza la completa sottomissione del ceto politico - di centro-sinistra come di centro-destra - agli interessi delle lobbies confindustriali e immobiliari (quasi sempre coincidenti).
C’è anche l’asservimento sostanziale dei media a questo contesto politico-economico. Con la conseguente assuefazione della maggior parte dell’opinione pubblica al “pensiero unico” dominante.
Non scopro nulla, sia chiaro.
Però mi pare questo il nodo principale che bisogna provare a sciogliere, se si vogliono cambiare veramente le cose.
Il come farlo è problema che supera le mie capacità di immaginazione. Quel che so è che vale la pena di impegnarsi ad analizzare i problemi e battersi per diffondere con ogni mezzo l’informazione: qualcuno che ascolta prima o poi lo si trova e posso garantire che questa è un’attività che da molto fastidio al “Palazzo”. Prova sufficiente, credo, per concludere che è anche un’attività utile.
Nella sezione SOS Carso una ricca documentazione sulle vicende della Baia di Sistiana richiamate nel testo.
Nella pagine di eddyburg sono disponibili anche il testo della nuova legge urbanistica e una disamina critica di Luigi Scano.