Palazzo Chigi ha diffuso, inviandola ufficialmente a Regioni ed enti locali, un’irresponsabile bozza di decreto legge su sedicenti "Misure urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle attività imprenditoriali edili".
Nulla ha dunque insegnato al nostro governo la "bolla edilizia" (housing bubble) che ha duramente colpito l’economia americana l’anno scorso. Secondo l’analisi di George Soros nel suo ultimo libro (The New Paradigm for Financial Markets: The Credit Crisis of 2008 and What It Means), le aspettative artificialmente create da un mercato immobiliare gonfiato ad arte hanno prodotto, fra 2001 e 2005, una crescita incontrollata degli investimenti immobiliari, e dunque dei relativi meccanismi di finanziamento (a cominciare dai mutui), sul presupposto che il valore degli immobili possa crescere indefinitamente, appoggiandosi a finanziamenti e prestiti sempre più alti, per immobili sempre più cari. Il solo fatto di concedere sempre più mutui, a condizioni facilitate, fece crescere la domanda immobiliare, anzi per alcuni anni parve convalidare le previsioni più ottimistiche, innescando un perverso inseguimento fra eccesso di domanda (e di debito) ed eccesso di offerta. Bastarono pochi anni, e l’eccesso degli investimenti immobiliari e del relativo indebitamento, oltre che distrarre il risparmio da investimenti più produttivi, finì con l’esser tanto alto da trascinare l’intero sistema nella rovina: la terribile housing bubble con conseguente bancarotta, appunto, di cui abbiamo letto su ogni giornale, evidentemente invano.
L’Italia, si sa, è il Paese europeo col più basso tasso di natalità. Ma è al tempo stesso il Paese col più alto consumo di territorio: per dare solo un esempio particolarmente raccapricciante, la Liguria ha consumato negli ultimi vent’anni il 45% della propria superficie libera da costruzioni, inondando il paesaggio di cemento (la media italiana è un già pessimo 17%). Basta mettere insieme questi due dati (bassa natalità, altissimo consumo del suolo), che contrastano drasticamente con l’esperienza Usa (un Paese in continua espansione demografica e con ampie aree a bassa densità abitativa), per comprendere come la "bolla immobiliare" nostrana, se gli investimenti non vengono dirottati altrove, sia destinata a esplodere con ben maggior violenza. La bozza ora emanata da Palazzo Chigi parte al contrario dall’ipotesi, quando meno azzardata, che per rilanciare l’economia nulla di meglio vi sia che scatenare la cementificazione del Paese. Allo scopo, s’intende, «di sostenere la domanda generale interna di beni e servizi, nell’attuale fase di congiuntura globale» (art. 1 della bozza). L’arcaica superstizione secondo cui l’unico investimento sicuro è quello del "mattone", comprensibile come retaggio di una società preindustriale, viene dunque adottata dal governo come linea vincente per salvare l’economia del Paese.
L’intento di fornire al "partito del cemento" una piena licenza di uccidere non potrebbe esser più chiaro. Si possono ampliare del 20% tutti gli edifici ultimati entro il 2008: la percentuale si calcola sul volume per le unità residenziali, sulla superficie coperta per ogni altra (art. 2, c. 2). Se poi il 20% non basta, niente paura: si può arrivare comodamente al 35% (del volume o della superficie), purché si abbatta integralmente un edificio, ricostruendolo più in grande. Queste ed altre espansioni edilizie saranno fatte, assicura la bozza, «in deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi» (art. 2 c. 1); persino l’altezza della nuova fabbrica può essere modificata, portandola fino a «quattro metri oltre l’altezza massima prevista dagli strumenti urbanistici vigenti». Per tutti questi interventi basta una d.i.a. (dichiarazione inizio attività), senza tanti permessi: il risanamento dell’economia non può aspettare. E se per caso si trattasse di edifici storici? Facile: basta far domanda alla competente Soprintendenza, e se per caso non risponde entro 30 giorni vale il principio del silenzio-assenso (art. 5, c. 3 e 5). Il Codice dei Beni Culturali viene in tal modo non ignorato, ma consapevolmente calpestato. La certezza del diritto cede il passo a una feroce delegificazione.
Impallidiscono, al confronto, i condoni edilizi ex post, piombati a proteggere e incoraggiare la cementificazione dell’Italia coi governi Craxi (1985) e Berlusconi (1994, 2003, 2004). La foglia di fico della crisi economica non nasconde l’essenziale: questa bozza di legge è un condono ex ante, anzi non solo legittima e depenalizza, ma incoraggia ciò che fino ad oggi è reato, consegnando città e paesaggio dell’intero Paese al partito del cemento, al saccheggio di speculatori senza scrupoli, devastando senza rimedio borghi e campagne, persino lo skyline delle nostre città. Se, come è da sperare, questa bozza null’altro è che un ballon d’essai, sarà molto interessante vedere quali saranno le reazioni delle istituzioni. Che cosa farà il Ministero dei Beni Culturali, che in passato seppe far cadere le proposte di silenzio-assenso presentate dai ministri Baccini (2005) e Nicolais (2006), di fronte a questa norma assai più distruttiva? Che cosa diranno Regioni ed enti locali di fronte a tanta selvaggia deregulation? Qualcuno si ricorderà dell’art. 9 della Costituzione, che impone alla Repubblica, in via prioritaria rispetto ad ogni altro interesse anche economico, «la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione»?