Il “Piano casa” della Regione Lombardia, come delle altre Regioni, ha origine dall’intesa del 31 Marzo 2009 raggiunta nella Conferenza Stato-Regioni ed Enti Locali promossa dal Governo, che avrebbe dovuto tradurne il contenuto in un decreto-legge entro dieci giorni dalla sottoscrizione dell’accordo: impegno poi non mantenuto anche per dubbi di costituzionalità sull’iniziativa. E’ opportuno peraltro richiamare le finalità e i contenuti dell’accordo per verificare se il progetto di legge regionale li riprenda in modo più o meno coerente.Si tratta, come è noto, di un intervento che si propone il “rilancio dell’economia” allo scopo di “rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie” introducendo “incisive misure di semplificazioni procedurali dell’attività edilizia”.
In vista di queste finalità, l’intesa Stato-Regione-Enti Locali si è attestata sui contenuti seguenti:
a) interventi di ampliamento della volumetria esistente, entro limiti definiti, ai fini di migliorare “ la qualità architettonica e/o energetica degli edifici”;
b) consentire interventi straordinari di “ demolizione e ricostruzione di edifici residenziali con ampliamento sino al 35%”: anche qui con finalità “di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica e dell’uso di fonti energetiche rinnovabili“;
c) introdurre forme semplificate di procedure.
Gli interventi sono esclusi nel caso di edifici abusivi, nei centri storicio in aree di inedificabilità assoluta. Spetta inoltre alle Regioni escludere o limitare gli interventi nel caso di beni culturali o nelle aree di pregio ambientale e paesaggistico. Questa disciplina straordinaria avrà durata non superiore a 18 mesidall’entrata in vigore delle leggi regionali.
Il principio sotteso (anche se non esplicitamente dichiarato) è quello che l’attuazione del “piano-casa” avrebbe una capacità di trascinamento sull’economia complessiva, secondo quanto dice anche un vecchio detto popolare.
Senonchè la saggezza popolare andrebbe aggiornata e verificata, confrontandola con i caratteri recenti degli interventi immobiliari nel nostro paese, basati su una crescente aggressività speculativa, senza alcun rispetto non diremo per le esigenze sociali, ma nemmeno per la salvaguardia di quelle preesistenze territoriali che costituiscono un patrimonio di tutti.
Inoltre non si può dimenticare che la crisi finanziaria globale ha avuto, almeno negli Stati Uniti, origini strettamente legate proprio allo sviluppo immobiliare. Infine, come ripetono da tempo gli economisti. l’attività immobiliare è quella che restituisce di meno alla collettività in termini di sviluppo economico, trattenendo invece la più alta percentuale (sino al 50%) alla pura rendita dell’operatore. Basterebbero queste considerazioni per avanzare sospetti sulla efficacia odierna dell’edilizia come motore per un rilancio socio-economico di carattere generale.
Va aggiunto che – per quanto concerne i Comuni – una buona parte di essi attribuisce all’edilizia un ruolo “virtuoso” di aiuto alle proprie finanze mediante i contributi di urbanizzazione. Non si tiene però conto che si tratta di un sollievo momentaneo, giacchè a medio e a lungo termine ogni aumento di densità edilizia in quartieri già costruiti è destinata a portare conseguenze negative sulla qualità della vita dei residenti: aggravando fenomeni già congestivi nelle città medie e grandi che si tradurranno in aumenti, non quantificabili ma ingenti, per le spese comunali da impiegare nei settori dei servizi, della sorveglianza e del traffico, ecc..
In sintesi, favorire oggi l’edilizia al di là di quanto consentono piani regolatori già ora altamente permissivi equivale a rovesciare debiti sulle generazioni future.
3.- Per quanto concerne poi in particolare la Regione Lombardia, già interessata da un’area metropolitana estesa a gran parte delle aree di pianura, con Comuni in cui il consumo di suolo copre già attualmente per percentuali altissime l’intero territorio comunale, significa eliminare in anticipo ogni possibile contenuto pianificatorio alla L.R. 12/05 che soltanto ora comincia ad essere attuata. Significa fra l’altro negare ogni attività istruttoria alla VAS, al piano delle regole e dei servizi dei nuovi PGT, che saranno inutili o partiranno già superati dai fatti. Allo stesso modo diventano inutili gli attuali PRG, se possono essere superati gli indici di densità fondiaria e i rapporti di copertura, addirittura sino al 50%, senza che sia preventivamente verificato il necessario aumento di aree per verde e servizi, che potrebbero essere anche impossibili da reperire. Viene infine ignorata l’autonomia comunale, dato che ai Comuni non è consentito sottrarsi al piano casa, ma solo intervenire con limitati poteri integrativi o modificativi. L’unico potere concreto dei Comuni sarebbe quello di individuare limitate parti del loro territorio dove il piano-casa non si applica; tuttavia, come prevede il 6° comma dell’art. 5, la relativa motivatadelibera del Consiglio Comunale deve essere esercitata entro il termine (dichiarato perentorio) del 15 Settembre 2009 (sic!).
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Passando ora alle osservazioni di maggior dettaglio sul testo del progetto di legge, si rileva quanto segue, osservando comunque ancora che la “valorizzazione” e “qualificazione” del patrimonio edilizio esistente hanno perso per via anche quelle finalità di miglioramento complessivo che – per quanto generiche e inadeguate – secondo l’accordo Stato-Regione-Enti Locali giustificavano gli interventi di deroga a qualsiasi regola urbanistica. Tali giustificazioni erano – lo ripetiamo – il miglioramento della “qualità architettonica” e di quella energetica, la riqualificazione di aree urbane degradate, oltre alla promessa di risorse straordinarie per l’edilizia residenziale pubblica al fine di “soddisfare il fabbisogno delle famiglie o particolari categorie, che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale e che hanno difficoltà ad accedere al libero mercato della abitazione”.
Nel piano casa lombardo, le finalità di ordine sociale sono confinate all’art. 4 del progetto di legge, e previste come “riqualificazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica”, nei quali tuttavia l’intervento diretto degli enti proprietari rimane comunque condizionato alla allocazione di risorse pubbliche straordinarie di cui non è traccia nel testo della Regione, mentre anche l’accordo Stato-Regioni dichiara che il sostegno potrà essere individuato “compatibilmente con le condizioni di finanza pubblica” , che notoriamente non nuotano nell’oro. Risulta però ammesso nei quartieri ERP anche l’intervento dei privati, mediante il convenzionamento di cui agli artt. 17 e 18 del DPT 6 Giugno 2002, N. 380, che ha notoriamente un limitato effetto calmieratore dei prezzi di vendita e delle locazioni, ma certamente non risponde al fabbisogno delle famiglie “che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale”. E’ anzi singolare che non si parli mai di edilizia convenzionata per gli interventi di cui agli artt. 2 e 3 del progetto di legge.
Aver confinato le finalità sociali ad una eventuale futura individuazione di risorse per l’edilizia residenziale pubblica ha comunque il pregio di non confondere le idee: confermando che gli interventi di cui all’art. 2 e 3 risponderanno esclusivamente alle regole del mercato, basate di norma su caratteri speculativi, con prezzi elevati e liberi di vendita e locazione. Non risulta nemmeno che gli interventi dell’art. 3 siano limitati, o preferiti, nel caso in cui vengano disposti su “aree urbane degradate” da riqualificare. Di conseguenza le giustificazioni residuali del “piano casa” lombardo rimarrebbero unicamente il miglioramento della “qualità architettonica e/o energetica”
Su questi due argomenti, tuttavia, si può obiettare che esiste già ora, per tutte le nuove costruzioni, una rigida normativa per il contenimento di energia, a cui corrisponde un “limitato” premio volumetrico (L.R. 33/07). Cosa accade con il piano-casa? Si sommano i due incentivi? Inoltre è certo che ogni intervento di sopralzo (in questo caso assai più radicale dei sottotetti) è destinato ad alterare negativamente l’architettura originaria (ove esista); certo, non a migliorarla.
ART. 2 – Quali sono le “parti inutilizzate” di un edificio che non abbia destinazione agricola o produttiva? Spazi non affittati, e quindi inutilizzati solo in via temporanea? Alberghi chiusi ? Edifici terziari senza mercato? Non si riesce a capire. L’utilizzo dei seminterrati potrebbe essere opportuno, a patto che gli spazi posseggano le condizioni regolamentari di abitabilità. Nelle aree destinate all’agricoltura, il recupero di parti inutilizzate (ossia di tutte quelle già adibite ad usi connessi al lavoro agricolo) per destinazioni residenziali o ricettive (ma non alberghiere?) avrà come conseguenza la perdita di un immenso patrimonio storico lombardo, ossia quello costituito dalle grandi cascine.
ART. 3. e 5. – L’intervento su abitazioni mono-bifamiliari, del tutto svincolato da esigenze del nucleo familiare che vi risiede, cambierà totalmente l’aspetto e l’impatto urbanistico di interi quartieri, trasformando ville e villette in condomini.
Soprattutto fa paura l’effetto devastante che può conseguire agli interventi previsti dai commi 2, 3, 4 e 5, che ci auguriamo vengano drasticamente rivisti.
Anzitutto sorprende che gli interventi siano ammessi (senza limiti) anche entro i piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali, ed egualmente nelle zone con vincolo paesaggistico o comunque di grande pregio ambientale: quali le sponde dei laghi lombardi già oggi a rischio per l’alta permissività di molte amministrazioni comunali.Per quanto attiene ai parchi regionali, la disposizione del 1° comma dell’art. 5 è particolarmente inaccettabile. Si dice espressamente che la deroga alle previsioni del piano del parco deve garantire “il rispetto del codice civile e delle leggi per la tutela dei diritti dei terzi“: come se queste normative si potessero invece disattendere in tutti gli altri casi! Inoltre deve essere rispettato “il paesaggio“; ma come può esserne assicurato il rispetto consentendo contemporaneamente la deroga al piano del parco, che ha la finalità di proteggerlo
Nell’art. 3 (anche qui, in deroga ai principi dell’accordo Stato-Regioni) gli interventi sono ammessi anche nei centri storici per gli edifici residenziali “non coerenti” con le caratteristiche della zona. Cosa significa? Si ricorda infatti, che nei centri storici, gli unici edifici “non coerenti” sono quelli di edilizia recente, che normalmente devono la loro incoerenza alla circostanza di essere più alti, più densi o comunque sproporzionati rispetto al contesto e alla cortina di edifici antichi. Vogliamo dunque premiarli perchè vengono sostituiti con edifici più alti e più densi, al di fuori di qualsiasi rapporto con l’area circostante?
Al 5° comma, l’aumento ulteriore di volumetria per gli interventi che assicurino un “congruo equipaggiamento arboreo” o “giunte arboree perimetrali” non necessita ulteriori commenti; così come al 6° comma, la previsione che gli interventi potranno superare sino al 50% l’indice di densità fondiaria e l’indice di copertura previsti dallo strumento urbanistico è destinato, come già si è fatto cenno, a rendere obsoleto ogni piano regolatore.
Comma 9 – Viene affermato il rispetto della sola normativa antisismica: ciò significa che tutte le altre normative tecniche che non vengono nominate (da quelle impiantistiche a quelle strutturali o a quelle stesse di contenimento energetico) possono essere disattese?
Da ultimo, si ribadisce che il progetto di legge viene imposto ai Comuni, ai quali sono delegati compiti secondari e di efficacia marginale. Non esisterà alcuna possibilità a livello comunale, dopo il 15 Settembre prossimo (ossia praticamente subito, considerato il periodo estivo) di escludere gli interventi su parti del territorio comunale – ad esempio per le aree di grande impatto paesaggistico – o comunque di limitarne la portata.
E’ possibile soltanto che il Comune, sulle istanze o DIA, entro trenta giorni, sottoponga l’intervento singolo a “specifiche condizioni e modalità tecniche”; infine l’art. 2 demanda ai Comuni di “verificare l’eventuale ulteriore fabbisogno di aree pubbliche e servizi”; e inoltre (sempre entro il 15 Settembre 2009) di dare prescrizioni per il “reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali e verde“.
Come si deve leggere questa disposizione? Nel senso che, se mancano le prescrizioni entro il termine brevissimo concesso, tutti gli interventi di ampliamento o di sostituzione di edifici sono esonerati dal prevedere, ad esempio, i posti auto di pertinenza obbligatori per legge? E poi, perchè il fabbisogno di aree pubbliche e servizi urbani indotto dalla legge è definito come meramente “eventuale“?.
Se si possono superare sino al 50% gli indici di densità edilizia , ciò significa che – necessariamente - il Comune dovrà aumentare gli standard per la