Una domanda preliminare
Perché il Presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, a proposito della legge approvata in Giunta regionale (il cosiddetto Piano casa) ha dichiarato? “Gli obiettivi sono quelli di riqualificare il territorio". A legge approvata, infatti, "sarà possibile abbattere e ricostruire; abbiamo pensato agli agricoltori, alle coste, senza avere paura di dire checi potranno essere compensazioni di cubatura anche quantitativamente consistenti, ma in una città che possa essere moderna, con bioedilizia e attenzione al territorio".
Oggi che il testo della proposta è disponibile nella sua versione definitiva - così come è stata votata dagli assessori- cerchiamo di capire i motivi di tanto entusiasmo.
Che dice quel testo?
Con il titolo “misure straordinarie per il settore edilizio e interventi per l’edilizia residenziale sociale” la Giunta Regionale del Lazio, all’unanimità e con 22 articoli, risponde al Piano Casa del Governo. Il testo che, ricordiamo, dovrà ora essere portato al dibattito dell’aula consiliare per la sua traduzione in legge, con il proposito di offrire politiche di sostegno per il rilancio del settore edilizio, “affronta” quattro punti: rinnovare il patrimonio edilizio esistente; aumentare l’offerta di edilizia pubblica; operare con programmi integrati per promuovere contestualmente nuove quantità di edilizia pubblica e le necessarie operazioni di ripristino ambientale; snellire le procedure urbanistiche (articolo 1).
Fin qui gli obiettivi che hanno il merito, almeno, di rispondere in modo apparentemente organico al disordinato “rompete le righe” in materia urbanistica e edilizia lanciato con il decreto legislativo predisposto in aprile dal governo (G.U. n.98 28 aprile 2009). Il secondo capo del dispositivo regionale chiamato “misure straordinarie per il settore edilizio” stabilisce le modalità operative per realizzarle.
Gli edifici da trasformare dovranno (art.2) essere terminati alla data di approvazione della legge. Non potranno essere localizzati: nelle zone A o negli insediamenti urbani storici, così come individuati dal piano territoriale paesaggistico regionale; nelle aree naturali protette, nelle fasce di rispetto delle coste; nelle zone a rischio individuate dalle norme per la difesa del suolo, nelle are destinate a funzioni urbanistiche strategiche (per esempio quelle dove è prevista la localizzazione dei servizi pubblici generali). Per le zone agricole ecco però una prima smagliatura. Si concede un aumento di cubatura o della superficie lorda dell’unità edilizia del 20% (art.2 comma 2) che, stimato non poter eccedere i 200 metri cubi, “pesa”, pur sempre, quanto una nuova unità edilizia di tre stanze e servizi assecondando così l’incipit di Berlusconi sulla casa in più per il proprio figlio.
La Regione comunque, e questo è apprezzabile, “apre” alle sensibilità dei singoli comuni che (art.2 comma 3) potranno individuare autonomamente, modificandoli dunque, limiti e soglie particolari entro cui incardinare ogni possibile trasformazione.
La legge fissa nei prossimi tre anni (36 mesi a partire dal giorno della sua approvazione) la propria validità operativa. Si potrà così, oltre il già detto incremento del 20% per gli agricoltori, aumentare sempre del più 20% quella di residenze uni e plurifamiliari al disotto dei mille metri cubi. La proposta sembra parlare direttamente a quella melassa residenziale conosciuta con il nome (e i disastri) di “Villettopoli”. Si potranno inoltre aumentare del 10% edifici artigianali e industriali ovvero i cosiddetti capannoni che punteggiano indisturbati intere porzioni territoriali in forma sia organizzata che isolata.
Si potrà fare questo gonfiaggio di cubatura solo per adesione e addizione muraria. Niente sopraelevazione e la legge, va onestamente riconosciuto, sembra “sanare”, per fortuna, una pesante disattenzione tecnica prevista nella recente disposizione normativa in materia di recupero dei sottotetti che pur prevedendo la possibilità di modificare, baypassandolo, il rispetto del limite (35%) della pendenza delle falde di un tetto fissa l’ampliamento della superficie ottenibile ad un massimo del 20% secondo un principio che potremmo chiamare di riduzione di un danno.
Dovrà essere inoltre ottemperato a quanto alla normativa vigente in materia di distanze tra fabbricati e quanto previsto in materia di adeguamento sismico. Obbligatorio, inoltre, adeguare ogni edificio “gonfiato” a quanto ai dispositivi attuativi della Direttiva CEE per il risparmio energetico. Il nuovo edificio, così come modificato, dovrà essere dotato del proprio Fascicolo del fabbricato, (il documento che raccoglie la propria storia tecnica) e potrà essere realizzato solo in presenza del reale adeguamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Le addizioni, residenziali e non, produrranno, infatti, una modifica degli esistenti carichi urbanistici.
Tutto bene dunque? (si fa per dire). Non proprio. Con l’articolo 4 iniziano le sorprese. E che sorprese! Il comma 1 è perentorio: in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici edilizi comunali vigenti, ad esclusione delle zone C di Piano Regolatore (con questa lettera si indicano le zone di espansione), si potranno demolire edifici residenziali (anche quelli che abbiano almeno per il loro 85% questa destinazione d’uso) e ricostruirli ingrassati fino a un massimo del 35%. Sempre con riferimento alla sostenibilità energetica, all’adeguamento sismico e al reperimento degli standard previsti per soddisfare il nuovo carico urbanistico. Nei comuni dove si registra una “sofferenza abitativa” aumentando il numero delle unità immobiliari presenti nel progetto originario, un quarto, di queste, dovrà essere destinato all’affitto. Solo quando gli interventi di demolizione interesseranno edifici di oltre 3000 metri cubi (più o meno alloggi;una palazzina di 10 alloggi per intenderci) sarà necessario il Permesso di Costruire. Per tutto il resto basterà una semplice DIA.(articolo 5).
Fermiamoci un momento prima d’andare avanti con la lettura riprendendo le considerazioni del governatore Marrazzo sulla “città moderna, con bioedilizia e attenzione al territorio”.
Colpisce, per esempio che quelli che dovrebbero essere atti dovuti - per tutti il rispetto alla normativa CEE in materia di contenimento energetico recepita (finalmente) nel nostro paese - debbano essere invece che magari incentivati con manovre fiscali, premiati con…altro volume. La legge parla di trasformazioni e recupero urbanistico Perché non si è voluto praticare la strada del recupero edilizio? Sommare mattoni tra loro, aggiungere, attaccare muri gli uni agli altri lascia libero ognuno di sentirsi padrone a casa propria. Ovviamente parliamo di chi la casa ce l’ha. Che vuol dire legare la possibilità del nuovo all’affitto solo in presenza di ulteriore aumento del numero delle unità immobiliari. Se resteranno identiche nel numero, ma diverse nel mix dei tagli, anche questa piccola conquista decadrà? Recuperare il molto patrimonio edilizio pubblico dismesso a fini abitativi è davvero impossibile? Si può solo abbattere per ricostruire (di più)? Non si può tentare la strada di costruire nel costruito? Marrazzo dice che lui non “ha paura di dire che ci potranno essere compensazioni di cubatura anche quantitativamente consistenti”.
Ha mai pensato al piacere (e l’orgoglio) che potrebbe provare dicendo che recuperare il tanto inutilizzato potrebbe essere il primo passo, per cominciare a mitigare la sudditanza verso gli interessi della proprietà fondiaria. Non è solo una questione di gusti. Solo che Marrazzo non lo può dire perché se nei primi articoli del dispositivo è descritta l’architettura della legge, l’ingegnerizzazione del prodotto è contenuta nei titoli di coda del Capo secondo. Travi e pilastri del suo costruire sono davvero pesanti.
Attenzioni territoriali compaiono all’articolo 6 dove viene indicato il riferimento operativo: la legge regionale 22 del 1977. La legge che fissa le norme d’intervento in materia di programmazione integrata per le riqualificazioni urbanistiche, edilizie e ambientali. Con il termine programma integrato si scrive la procedura studiata per favorire l’integrazione tra soggetti pubblici e privati negli interventi di riqualificazione urbana e ambientale di ambiti specifici. Con il termine programma integrato si legge, non solo nel Lazio, la totale abdicazione da parte del pubblico alla programmazione degli interventi, alle scelte. Marrazzo, conosce bene cosa è successo a Roma per esempio e il suo piano che come ricordava Vezio DeLucia, ( l’Altro 17 luglio 2009) ha “sepolto l’agro romano sotto 15 mila ettari di nuova espansione e sotto 70 milioni di metri cubi di nuova edificazione (che la nuova amministrazione sta incrementando)” Se di attenzioni si tratta si tratta di attenzioni particolari. Quelle che nascono con la proposta del privato acquisita dall’Amministrazione, l’approvazione del progetto e la sua, più o meno, immediata realizzazione attraverso Conferenze di servizi e Accordi di Programma.
Con i programmi integrati e il loro paradigma propositivo si mettono i lupi a guardia delle greggi.
Cosa succederà?
Le comunità, dopo essere state magari offese per anni da edifici che sono stati costretti a tollerare in porzioni di alto valore ambientale dovranno pure vedere quegli stessi proprietari continuare il proprio esercizio di rendita trasferendo tali cubature in altre aree ricevendo quale ulteriore premio la possibilità (art.6 comma 2 lettera b) di ricorrere anche al cambio di destinazione d’uso rispetto gli edifici demoliti, alla modifica delle destinazioni urbanistiche vigenti e all’aumento della capacità edificatoria.
Scegliendo, inoltre, con le nuove destinazioni d’uso cosa fare che, si potrà scommettere, sarà quello che il mercato vorrà fare o potrà offrire. Non resterà che prendere e accettare con annesso incremento. Fissato anche nel più 50% che per edifici da arretrare dal “litorale marino”arriva al 60% purché si costruiscano alberghi….
I privati faranno i programmi. Ai Comuni, così come già sperimentato con il Piano di Roma, il compito di registrare i cambiamenti. Niente di nuovo. Il solito (brutto) film.
All’articolo 7 si aggiunge, poi, che, comunque, i programmi potranno prevedere sostituzioni d’uso di aree e immobili fino a un incremento del 40% e prevedere una quota che non viene definita di edilizia residenziale sociale. Oggetto delle localizzazioni sono le zone B. I privati presentano i progetti che se, come ovviamente accadrà, saranno presentati in variante urbanistica dovranno essere approvati dal Comune stesso entro tre mesi. Ma è l’Articolo 9 che in un piccolo dettaglio spiega tutto. Siccome i progetti non basta pensarli, ma occorre realizzarli non sarà più la comunità a fare le proposte secondo desideri e, perché no, richieste di risarcimento per quanto fin qui subito. Ogni intervento sarà presentato da soggetti pubblici o privati che, è testuale nell’articolato , dovranno essere “associati con soggetti in possesso di capacità tecnica, organizzativa e economica adeguata all’importo dei lavori oggetto della proposta.
Ovvero la programmazione urbanistica affidata alle singole possibilità economiche di spesa e conseguenti previsioni di rendita dei singoli operatori.
Nessuna possibilità ad ascoltare esperienze di “progettazione partecipata”; a recepire saperi e pratiche sociali che quotidianamente si formano nella vita quotidiana e nella lotta nei territori.
Senza partner economico nessun progetto.
É scomparsa la casa?
Niente paura, Nel terzo capo (articoli da 10 a 19) la proposta legislativa affronta il tema dell’edilizia residenziale pubblica e sociale. Si introduce il concetto di housing sociale per la realizzazione di alloggi destinati all’affitto sostenibile (?) o a riscatto. La legge introduce in questa categoria anche una nuova tipologia: quella dell’ albergo sociale quale alloggio temporaneo, servizi e spazi comuni. Requisiti di accesso al servizio e determinazione del canone vengono rimandati a un futuro regolamento regionale. La gestione di questi pacchetti residenziali è già decisa ed è affidata a “gestori”(pubblici e privati); mentre la regia d’intervento è (art.10 comma 5) compito delle ATER. Commissioni comunali (art.11) sono chiamate a curare “il passaggio da casa a casa” di particolari categorie sociali che però, in queste commissioni non vengono rappresentate, visto che è prevista la sola presenza dei sindacati “concertativi” e dei rappresentanti della proprietà edilizia. L’articolo 12 sembra confermare che è la stessa legge a non credere più di tanto ad una possibile politica dell’affitto e/o a una robusta iniezione di edilizia sovvenzionata, promuovendo un sostegno all’acquisto dell’immobile.
Per la soglia dell’individuazione dei requisiti di reddito viene assunto l’I.S.E. ovvero l’autodichiarazione. L’articolo 13 parla di programmazione. Solo che al posto di un reale studio del fabbisogno (dove e come operare) e una sua prima necessaria valutazione rispetto per esempio la possibilità di recuperare il tanto patrimonio inutilizzato, la Regione metterà in campo: interventi di edilizia sovvenzionata (ma pare di capire che si tratti di attualizzare programmi fermi); interventi di housing sociale di cui, ricordiamo, ancora non si conosce la valutazione del canone che potrebbe risultare totalmente inaccessibile per molte famiglie attanagliate dalla crisi economica in atto; sostegno all’acquisto e possibilità della casa a riscatto che, se non esercitato, verrà girato all’ATER competente territorialmente.
Insomma, non un impegno per la realizzazione/formazione di un forte patrimonio pubblico con funzione di calmiere degli affitti e a permettere il passaggio da una casa all’altro secondo esigenze e disponibilità dell’utenza, ma esattamente il contrario promuovendo, nei fatti, una sorta di edilizia “agevolata” più o meno generalizzata che non potrà, certo, servire a intervenire sul mercato degli affitti né sulla”mobilità abitativa” cittadina.
Anche l’ATER che (art. 14) potrà operare, ovviamente in deroga a ogni strumento urbanistico e edilizio vigente, accede al premio di cubatura sia attraverso interventi di ampliamento (+20% della cubatura esistente) che di demolizione e ricostruzione (+35% della cubatura esistente) nonché potrà trasformare in unità abitative, negozi e altri locali. Con buona pace della qualità dell’abitare, Oltre che in negozi e magazzini si potrà vivere, in alloggi ritagliati all’interno di quelli esistenti di… 38 metri quadri.
L’articolo 15 fissa le coordinate della “densificazione edilizia” che i comuni potranno realizzare in: aree già destinate a edilizia pubblica; su aree a standard in eccesso da trasformare in edilizia residenziale sociale; attraverso varianti e programmi integrati. In presenza di edilizia destinata a studenti e/o anziani i comuni possono variare le destinazioni del proprio strumento urbanistico vigente, aumentando di un 10%in più le destinazioni stesse.
Con l’articolo 16 viene introdotto lo Standard per l’edilizia residenziale sociale. Viene, comma 1, fissato che: negli strumenti urbanistici generali, nei piani attuativi quale standard aggiuntivo venga introdotta l’acquisizione di aree e/o immobili da destinare al’edilizia residenziale sociale. La legge indica per gli interventi di nuova urbanizzazione una soglia minima del 20% di cessione gratuita da parte dei proprietari dell’area fondiaria edificabile che sale al 50% “ limitatamente all’edificabilità aggiunta generata dallo strumento urbanistico generato rispetto le previgenti previsioni”. É ammesso l’aumento, a discrezione di comuni, di volumetria premiale pari alla capacità edificatoria delle aree fondiarie cedute da destinare a edilizia residenziale libera destinata affitto a canone concordato. Ogni intervento che usufruirà di finanziamento pubblico dovrà curare la redazione dell’apposito “ fascicolo del fabbricato”e viene, articolo 19, introdotto lo standard sociale nella determinazione dei Piani Comunali così come nei dispositivi della legge 38/99 che viene a questo adeguata.
Troppo o troppo poco?
É una domanda legittima visto che questa legge poco parla di numeri e nulla della “spesa”necessaria a quanto programmato. Neppure per quel poco di pubblico di edilizia sovvenzionata qui e lì accennata. Per il troppo ovviamente il riferimento è all’articolo 9 e a quanto potranno fare i … privati. Si continua a navigare a vista, a rincorrere l’emergenza. A chiedere aiuto a chi la crisi ha prodotto e che, ora, si candida a come risolverla. A confondere il problema con la soluzione.
Ancora una volta Marrazzo con i suoi “pards” sceglie la morbosa attenzione territoriale rappresentata dal pensare al costruire prima che all’abitare. Mattoni, cemento, addizioni, più sempre qualche cosa. Come se il diritto alla casa, assolutamente in deficit nella nostra regione, non fosse tutt’uno con il diritto al reddito, al muoversi, alla tutela ambientale, alle forme di indirizzo pubblico del territorio, alla costruzione anche di significativi “vuoti”. La parola d’ordine sembra essere riempire tutto, annegando in un mare di cemento anche la proposta condivisibile di standard per l’edilizia sociale. Quale è l’immagine della città e del territorio che sta dietro questa proposta? Ritagliare cubature all’interno delle zone B, per esempio a Roma, vuol dire intervenire (cfr. art.107 norme del P.R.G. classificazione delle Zone territoriali omogenee) in Ambiti di valorizzazione della città storica, nelle componenti della città consolidata, oltre che in quelle della città da ristrutturare.
Zone in cui, per esempio, il patrimonio pubblico, rappresentato dalle proprietà ex IACP, sono parte significativa della storia e della vita della città. Edifici “individui edilizi” riconosciuti che appartengono, ormai, alla forma fisica della città. Un patrimonio che se è sopravvissuto alla svendita, ora si potrà demolire e/o ritagliare facendo uno spezzatino di mini alloggi. Dove la piaga dei “ residence” - Marrazzo conosce quello di Valcannuta? Marrazzo è mai stato nei loculi realizzati a campo Farnia?- è destinata continuare imbellettando quelle celle con il nome di Albergo sociale. Dove i privati potranno ricostruire, e vendere, a pochi, case a regola d’arte con riferimenti alla bioedilizia e a norma sismica e molti saranno destinati ad abitare (forse), così come pensa Di Carlo, l’assessore alla casa, in ex negozi e altri spazi “ trasformabili”o in 38 metri quadri .
Nulla viene detto sul tanto abbandonato (pubblico e privato) presente da molto tempo in questa regione. Che sarebbe facile acquisire e destinare a edilizia residenziale pubblica. Nulla sul patrimonio in dismissione dalle forze armate e sulla tragedia delle cartolarizzazioni e sulla dismissione immobiliare degli enti. Non viene indicata nessuna quota di quanta sovvenzionata sarebbe necessaria; né messe in campo le condizioni per almeno conoscere i numeri reali dell’emergenza; né tanto meno lo stato generale dei servizi presenti nei vari territori. Marrazzo sembra scordarsi del dettato costituzionale che impone di promuovere iniziative per rimuovere ogni ostacolo di ordine morale e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Abitare vuol dire partire da questo.
Il capo IV entra nel merito della velocizzazione procedurale prevedendo, di fatto, tutta una serie di nuove possibilità operative senza dover più ricorrere, come oggi, all’approvazione regionale. Si potranno cosi modificare tracciati della viabilità primaria nei comprensori; sforare, nel recupero dei nuclei edilizi abusivi, i confini fissati e trovare fuori di essa aree per verde, servizi e parcheggi; modificare perimetri delle aree di recupero, catturando nuovi edifici; modificare la forma plano volumetrica degli edifici; modificare, entro un massimo del 30%, la destinazione d’uso originaria. Sarà chiamato a decidere solo il comune, mentre, alla regione, resterà solo il compito di eventualmente proporre “osservazioni”.
Si potranno inoltre, senza passare per la Regione - quindi senza dover conoscere che cosa per esempio sta facendo il comune vicino- mutare per finalità pubbliche spazi originariamente destinati a verde pubblico e servizi; introdurre spazi per attrezzature pubbliche generali (che magari esistono poco distanti); variare l’altezza degli edifici, modificare il numero delle unità abitative, introdurre modifiche di limitata entità al perimetro del programma urbanistico.
Non è poco e soprattutto tutto lasciato alla volontà ( alle aspettative di rendita) dei proponenti.
In termini procedurali, rispetto la proposta governativa, la Regione Lazio respinge solo la possibilità di autorizzazione edilizia senza alcun titolo prevista dal decreto Berlusconi all’articolo 1 del proprio decreto. Lo fa conquistando la hit della classifica delle Regioni portando la possibilità di ricostruzioni con quantità premiali di cubatura fino a un più 60% ( per le opere provenienti dal litorale marino), allarga il tempo di operatività dell’intervento (36 mesi rispetto i più contenuti 18/24 mesi previsti negli altri dispositivi regionali) ottenendo così in questa speciale specifica a chi più è aderente al decreto del Presidente Berlusconi un significativo pic power; amplia le possibilità di intervento anche ad edifici non residenziali (cosa esclusa in molte altre Regioni) e, soprattutto introduce, attraverso questa proposta, direttamente per tutto il territorio regionale, l’attività della compensazione eleggendola, di fatto, a bussola della pianificazione regionale.
Alla domanda di Berlusconi, Marrazzo potrebbe rispondere “fatto”.
C’è ancora tempo o tutto è perso?
Anche se nessuno li ha invitati i movimenti, le associazioni e i cittadini, che hanno proposto con la Carovana del Bene Comune la legge d’iniziativa popolare sul diritto al’abitare, partecipano a questa sfida .
Il lavoro degli elettori (sempre più ex) per aiutare quello degli eletti. Appare molto più necessaria oggi che ci troviamo di fronte ad una proposta che, se non sarà modificata nella discussione in aula, continua a non risolver il problema. Troppo simile, come visto, rispetto al Piano Casa del governo Berlusconi rischia di far naufragare anche la questione (introdotta nel testo regionale) dello Standard per l’edilizia sociale come puro “accessorio” e non come momento essenziale della costruzione del reale diritto alla casa e all’abitare.
La legge d’iniziativa popolare indica, al posto del consumo di territorio presente nella proposta Marrazzo, nel recupero edilizio “lo strumento essenziale principale della pianificazione”. Un grande possibile progetto di restauro territoriale capace di mettere in sicurezza l’intero patrimonio edilizio (esistente e eventualmente da realizzare), anche attraverso operazioni di demolizione e ricostruzione da autorizzare su “edifici esclusivamente adibiti a uso abitativo o da impegnare al soddisfacimento esclusivo di edilizia residenziale pubblica con un ampliamento della Superficie utile lorda non superiore al 25 per cento e, solo, nei casi in cui lo prevedano gli strumenti urbanistici dei comuni interessati” (articolo 9 della proposta di legge d’iniziativa popolare depositata alla Regione Lazio). Ma soprattutto (comma 3 del medesimo articolo) “i programmi dovranno essere discussi, secondo le modalità stabiliti dai singoli comuni, ed accettate esplicitamente dalle comunità locali interessate dalle trasformazioni urbanistiche, secondo procedure di partecipazione pubblica che prevedano l’espressione di un parere sulle opere e i tempi di realizzazione”.
Siamo solo all’inizio della discussione in aula. Ci sarebbe (c’è) tutto il tempo possibile per fermarsi e trasformare il timbro “fatto”, richiesto e ottenuto da Berlusconi, in costruzione della possibile alternativa: sottrarre territorio alla speculazione e disegnare lo spazio dell’abitare a partire dal riconoscimento del diritto alla casa.