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Stefano Rodotà
Dagli USA alla UE: chi possiede i nostri dati?
31 Marzo 2017
de homine
«Che cosa accade quando l’identità non è solo memoria del passato e specchio del presente, ma anticipazione di un futuro attraverso processi che prescindono dall’autonomia e dall’intenzionalità della persona interessata?».
«Che cosa accade quando l’identità non è solo memoria del passato e specchio del presente, ma anticipazione di un futuro attraverso processi che prescindono dall’autonomia e dall’intenzionalità della persona interessata?».

la Repubblica, 31 marzo 2017, con postilla

Quando arrivano notizie che possono riguardare direttamente o indirettamente le nostre informazioni personali, dovremmo ormai sapere che non si tratta mai di vicende di poco conto, e che non basta considerarle solo dal punto di vista, pur rilevante, della privacy.

Così è per il recentissimo voto con il quale il Congresso americano ha ridotto in maniera radicale la tutela delle persone in relazione al trattamento dei loro dati, che ora possono essere raccolti, elaborati e fatti circolare senza che sia necessario ottenere preventivamente il consenso dell’interessato. Una decisione che ha provocato molte reazioni, che tuttavia non sono sufficienti per fugare le preoccupazioni per il futuro e che, comunque, non può essere sottovalutata limitandosi a sottolineare che la situazione italiana si colloca in un contesto, quello europeo, che si distingue da quello americano proprio per quanto riguarda gli strumenti di tutela di cui gli interessati possono servirsi.

È vero che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea considera la tutela dei dati personali come un diritto fondamentale, collocandolo nella parte da essa dedicata alla libertà. E che si insiste nell’affermare che «noi siamo le nostre informazioni». Ma questi riconoscimenti, in sé assai importanti, non sono sufficienti. Bisogna prendere le mosse dai mutamenti determinati dal fatto che la persona e il suo corpo sono ormai entrati a far parte della dimensione digitale, sì che proprio il corpo si presenta come un oggetto perennemente connesso per le informazioni che continuamente produce e trasmette.

Così non si determina soltanto una diversa percezione della stessa fisicità, ma diventano possibili anche violazioni gravi della libertà e della dignità della persona, se l’utilizzazione di informazioni altrui avviene senza specifiche e adeguate regole e tutele di cui gli interessati possono direttamente servirsi.

Chi può possedere e utilizzare legittimamente le informazioni? Il solo interessato o chiunque sia in condizione di servirsene? Un interrogativo, questo, che finisce con il riguardare la stessa libera costruzione della personalità, alla quale si riferiscono esplicitamente il paragrafo 2 della Costituzione tedesca e l’articolo 2 della Costituzione italiana e che per la sua ineliminabile attitudine dinamica certamente non può essere amputata del futuro, sottratta al potere individuale, mettendo così in discussione gli stessi principi fondativi dell’ordine costituzionale, in primo luogo quelli di dignità e autodeterminazione.

Arriviamo così ad alcune domande più puntuali, che rendono immediatamente percepibili le diverse questioni da affrontare. Che cosa accade quando un ininterrotto fluire di informazioni fa sì che l’identità sia sempre più spesso costruita e “posseduta” da altri? Che cosa è divenuta l’identità dopo il passaggio dal Web 1.0 al Web 2.0, dove la persona è immersa nelle reti sociali? Che cosa sta diventando l’identità nell’età del Web 3.0, di quell’”Internet delle cose” che si accinge non solo a moltiplicare la produzione e l’utilizzazione delle informazioni, ma sprigiona una capacità trasformativa del modo in cui essa è costruita? E che cosa accade quando l’identità non è solo memoria del passato e specchio del presente, ma anticipazione di un futuro attraverso processi che prescindono dall’autonomia e dall’intenzionalità della persona interessata?

Vi è un punto comune a tutte queste domande, che può essere sintetizzato ricorrendo ad un altro interrogativo: chi possiede o può possedere i nostri dati? Interrogativo che investe l’intera discussione sull’identità nei tempi moderni, e richiama l’attenzione sulle diverse modalità attraverso le quali si manifesta il tema della sua costruzione e gestione. Il punto estremo di questo processo può essere così rappresentato: l’identità si separa dalla consapevolezza e dall’intenzionalità della persona alla quale è riferita. L’identità si fa “oggettiva”, in qualche modo si spersonalizza?

Emerge una tensione tra costruzione/appropriazione dell’identità da parte di soggetti diversi dalla persona interessata e crescenti opportunità/bisogno di “mettere in scena” se stessi. Le implicazioni istituzionali di questa tensione sono evidenti. Dove si colloca il baricentro della garanzia giuridica, quale è il criterio di bilanciamento tra interessi/ diritti in conflitto? L’identificazione concreta di questi interessi e diritti si è venuta progressivamente complicando.

Il saldo punto d’avvio è stato rappresentato dal riconoscimento alla persona del diritto fondamentale «di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica» (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, articolo 8.2).

Si può dire che il passaggio dei dati personali nel potere/disponibilità di altri, in forme legittime, non ha come conseguenza l’esclusione della persona interessata. E non siamo di fronte soltanto ad un diritto di conoscenza, ma pure di controllo, nell’ambito di una situazione complessa che può essere definita anche come “cultura del disvelamento”.

Si realizza così una distribuzione di poteri, alcuni dei quali consentono alla persona interessata di intervenire attivamente nella gestione del bene costituito dai suoi dati in particolare grazie allo strumento della “rettifica”, la cui concreta operatività è stata ampliata non solo da interventi legislativi, ma soprattutto da prassi interpretative che l’hanno collocata in una dimensione che non riguarda la sola eliminazione di errori.

Muovendo da queste prime acquisizioni, si può ben dire che il tema della libera costruzione della personalità eccede la sola questione della identità. Se si riprende l’espressione “messa in scena”, non si può considerarla soltanto dal punto di vista della corretta rappresentazione pubblica della persona interessata, sia da parte degli altri soggetti che fanno circolare le sue informazioni, sia dal punto di vista del difficile e controverso diritto alla piena autorappresentazione. Con un ulteriore interrogativo sullo sfondo: quale rapporto tra sfera pubblica e sfera privata si determina per effetto di questi mutamenti?

postilla

Vance Packard, autore de I persuasori occulti (1957) è il sociologo americano che più chiaramente illustrò il nuovo potere della produzione di merci (delle grandi aziende capitalistiche) di manipolare i cervelli attraverso la pubblicità (e non solo) in modo di far nascere delle persone, ridotte a "consumatori", il desiderio di determinate merci. Il controllo dei dati personale è un ottimo strumento per potenziare la possibilità delle grandi imprese di inculcare nuovi desideri, bisogni, pulsioni nelle "teste impagliate" Vedi il poema di Thomas S. Eliot, Siamo gli uomini vuoti.

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