Nell’epoca post-unitaria il territorio di Monza, come e più di altre città italiane, è fortemente interessato dai processi di trasformazione nel segno dell’industria, della ferrovia, del nuovo consumo quantitativo e qualitativo di suolo indotto dalla modernizzazione. Ma, per usare le parole del primo piano regolatore adottato, «Tranne qualche ritocco all’interno e qualche nuova linea seguita all’esterno dal buon senso dei privati incalzati dalla necessità del bisogno di nuove abitazioni, e nonostante queste siano sorte or qua or là in numero assai rilevante, Monza nulla ha innovato in fatto di edilizia alla sua antica struttura in cui era stata sorpresa dal soffio di civiltà, che, con l’Indipendenza Nazionale, aveva pervaso ogni centro di popolazione in una nobile gara di modernità e di progresso civile». Questo a fronte di un notevolissimo sviluppo economico e demografico: 24.662 abitanti nel 1861; 25.228 nel 1871; 20.012 nel 1881 (+ 11,05%); 33.500 nel 1891 (+ 19,55%); 42.599 nel 1901 (+ 27,18%).
In questo arco di tempo, l’applicazione in città delle possibilità di piano regolatore, offerte dalla legge 2359 del 1865 sull’espropriazione per pubblica utilità, è scarsa, nonostante l’ampiamente riconosciuto bisogno di intervento pubblico in questo senso, testimoniato dall’istituirsi di una apposita Commissione di piano, scaturita da quella Di Ornato, con il compito di stendere un programma di ampio respiro per l’intera città. Dalla Raccolta Leggi e Decreti, si rileva come, nel periodo grosso modo compreso fra i primi piani regolatori postunitari per città italiane, e l’approvazione della Legge di Napoli, che rilancerà l’azione urbanistica ponendo in primo piano l’urgenza sanitaria, Monza sia interessata da soli quattro provvedimenti che hanno ottenuto sanzione dalle autorità centrali: Regio Decreto 30 maggio 1871, Allargamento delle via San Maurizio e Porta di Lecco; Regio Decreto 8 dicembre 1878, Allargamento della via Vittorio Emanuele dalla Chiesa di San Maurizio al Ponte di Lecco; Regio Decreto 2 maggio 1886, Nuova strada fra via Balossa e Terraggio di Porta Milano; Regio Decreto 16 ottobre 1886, Sistemazione di via Borghetto e della Strada per Villa Regia. In più, oltre il carattere puntiforme, questi quattro “piani regolatori” hanno come caratteristica comune quella di essere localizzati internamente al centro antico o immediatamente all’esterno, a ridosso dei principali assi di espansione, e di essere evidentemente destinati a sanare problemi pregressi, anziché prefigurare una qualsivoglia strategia pubblica lungimirante di intervento.
A questo stato di cose, tenterà senza successo di porre rimedio la Commissione per il Piano Regolatore, che presieduta dall’Ingegner Carlo Conti dal 1880 ai primi anni Novanta, proverà sia la strada del piano urbanistico generale vero e proprio, comprendente sia i risanamenti nel centro che i nuovi quartieri di espansione, sia quella della “mosaicatura” dei piani esecutivi puntiformi in un disegno dotato di qualche coerenza.
Compiti della Commissione, come si legge in un ordine del giorno votato dal Consiglio comunale, sono:
a) «di studiare i bisogni della pubblica viabilità nei varii suoi rapporti di comodità e di igiene, tenuto conto dello sviluppo che la Città presenta oggigiorno e che potrà avere in seguito all’esterno degli attuali confini. La detta Commissione di conseguenza proporrà gli allineamenti, le nuove comunicazioni, le fognature ed in genere tutte quelle opere e provvedimenti che stimerà utili di introdurre per la migliore sistemazione dei pubblici servizi. b) Di designare quelle delle opere e dei provvedimenti che reputa più urgenti non che le altre che ponno avere compimento in un tempo più lontano. c) Di presentare alla Giunta la relazione su dette opere e provvedimenti con indicazione della corrispondente spesa presunta e dei termini entro i quali a suo giudizio, dovranno essere effettuate».
I lavori, come già accennato, si concluderanno sul finire del secolo senza aver prodotto risultati pratici, salvo forse la coscienza della necessità di un piano, da cui scaturiranno (anche per sollecitazione delle autorità sanitarie superiori in questo senso) i primi studi comunali per uno schema generale, nel decennio successivo.
1. Piano di ampliamento della zona orientale, [1913]
La documentazione di quello che sembra essere il primo vero e proprio “piano regolatore” per Monza è scarsissima e piuttosto vaga. Non se ne sono trovate tracce nei fondi dell’archivio storico sul tema dei risanamenti, delle strade, dei servizi, ma solo riferimenti in brevi cenni sui periodici locali. La stessa datazione al 1913 si deve a un riferimento dell’Ingegnere capo del Comune, Lino Zanetti, nelle premesse storiche alla relazione del piano adottato nel 1964, che coincide sia con i limiti indicati vagamente sulla stampa, sia con il periodo in cui l’autore del manoscritto/relazione esercita le sue funzioni di tecnico presso l’Ufficio municipale.
Nel primo decennio del Novecento, il territorio di Monza ha già subito rilevanti trasformazioni, sia per il suo organico inserimento nella generale espansione dell’area milanese, sia per gli interventi edilizi nel centro storico. L’unico elemento di gestione pubblica del territorio urbano, è il Regolamento edilizio, approvato dal Consiglio comunale il 28 novembre 1907, ed entrato in vigore il 15 giugno 1908, che sul versante urbanistico prevede controlli sui «piani di allineamento, abbellimento e ingrandimento» della città (artt. 6, 10, 41). In questo contesto si inserisce lo studio firmato dell’ingegner Silvio Landriani, che pur limitando la propria proposta tecnico-economica al settore orientale, ritiene però conseguente «l’allacciamento dello studio di questo piano a quello di risanamento Città ed all’altro d’ampliamento della stessa verso ovest». Anche se questa scelta di basso profilo non aiuterà ad uno sbocco istituzionale del piano (il manoscritto, pur firmato dall’Ingegnere capo, ha la forma della memoria tecnica e nessun numero di protocollo o altre annotazioni), il ragionamento che la sostiene è del tutto ovvio: il «risanamento Città» potrebbe al limite essere attuato con un insieme di piani attuativi simili a quelli già approvati in precedenza, purché coordinati; l’ «ampliamento verso ovest», pur analogo a quello orientale, presenta evidentemente meno urgenza, forse per la maggiore contiguità con il centro storico nell’assenza di elementi forti di cesura come la ferrovia a livello e il corso del fiume.
Anche se non sono state reperite tavole grafiche relative a questo piano, il suo schema di massima si può riassumere come un tentativo di ricucitura, tra di loro e con il centro, degli insediamenti compresi nel grande arco delimitato dalla strada per Lecco, quella per Milano, e con vertice nel nuovo Cimitero urbano. Non è prevista una strada di cintura, né una griglia regolare, ma l’inserimento di snodi, spazi pubblici, completamenti, tali da ricondurre a unità e razionalità gli insediamenti spontanei, storici e in corso di crescita. Il progetto si articola in quattro zone di intervento, da nord a sud, a cui corrispondono quattro gruppi distinti di investimenti in opere ed espropriazioni: «dalla strada Provinciale per Bergamo alla via Bergamo e strada Provinciale per Agrate; dalla Provinciale per Agrate al Canale Villoresi; dal Canale Villoresi al Lambro; dal Lambro alla via Provinciale per Milano e San Rocco».
Le sole tracce di iter istituzionale, relative a questo piano o comunque ad esso complementari, sono desunte dalla stampa, che riferisce come attorno al 1910 l’Ufficio tecnico comunale intenda studiare un piano, e successivamente venga nominata una Commissione a questo scopo, composta da: ingg. Saino, Mina, Osculati, Monti; arch. Canesi; assessori Bellini e Canesi; Ingegnere Capo municipale (presumibilmente lo stesso Landriani). La Commissione si riunisce il 4 aprile 1912 per esaminare il piano e predisporre eventualmente le relative delibere. Ma due anni dopo, alla vigilia dello scoppio della guerra mondiale nel 1914, il programma elettorale pubblicato nel mese di giugno dal locale Partito Radicale, pone ancora in primo piano per la città lo «studio e graduale applicazione del piano di ampliamento», dando così indirettamente notizia del probabile fallimento pratico sia di un piano generale, sia di quello limitato alla zona orientale.
2. Piano regolatore edilizio per il centro, 1926
Dopo la stasi imposta dalla guerra, la ripresa delle attività economiche e dell’edilizia trova, per una volta, il Comune in una posizione propositiva di carattere “strategico”. Evidentemente gli studi degli anni precedenti hanno lasciato qualche traccia, se l’Amministrazione Commissariale decide di affiancare agli studi per la nuova fognatura anche quelli per un piano regolatore, che si vuole articolato in uno schema di massima per l’espansione, e in uno studio particolareggiato per il centro, focalizzato a sua volta sul riordino dell’ultima area disponibile (la futura Piazza Trento e Trieste) e la realizzazione del nuovo Palazzo Municipale. Nel 1924 si costituisce all’interno dell’Ufficio tecnico comunale una speciale sezione per il piano regolatore e la fognatura, dove lavoreranno in stretto coordinamento l’Ingegnere Capo Giulio Redaelli, e gli ingg. Giuseppe Albani e Ruggero Malagoli.
Lo schema generale di massima che sarà adottato dall’Amministrazione l’8 luglio 1925 si deve in massima parte al contributo di Giuseppe Albani, che immediatamente dopo l’incarico aveva presentato una breve memoria che ne preannunciava i contenuti. Si tratta, in sintesi, dello sviluppo di un anello di circonvallazione (proprio quanto era stato escluso da Silvio Landriani forse per motivi di bilancio tre lustri prima) ad una distanza più o meno costante dal centro, misurabile ancora a partire dal nuovo Cimitero, con l’eccezione del tratto lambente il Parco e i Giardini Reali. Completano il disegno una serie di radiali e ricuciture, e soprattutto di sotto e sovrapassaggi ferroviari in corrispondenza dei principali accessi al nucleo storico. Gran parte degli interventi, si intendono in stretta correlazione con l’attività dei privati, e soprattutto lo schema è da considerarsi di larga massima (da qui, forse, il “grande disegno” dell’anello, stavolta senza vincoli di bilancio): «il voler fissare troppo minuti dettagli questa rete esterna parrebbe prematuro e soverchio impaccio che si porterebbe alla privata iniziativa dei proprietari, senza che per ora le non eccessive esuberanze della iniziativa edilizia della città sembrino proclamarne l’impellente necessità».
Una «impellente necessità» e disponibilità all’investimento che invece sembrano caratterizzare quello che è forse il vero cuore di questo progetto, ovvero la risistemazione della zona di fronte al Collegio Arcivescovile e spazi circostanti, con collegamento all’asse di via Cavallotti (che conclude il processo di ampliamento oltre il tracciato della cinta storica iniziato con il taglio tra il Terraggio di Porta Milano e la circonvallazione esterna della Balossa, approvato con Regio Decreto nel 1886), riallineamento delle cortine edilizie, e realizzazione del nuovo Palazzo Municipale, secondo lo schema che verrà attuandosi via via nei decenni successivi. È questo l’oggetto del Piano particolareggiato di esecuzione, adottato insieme allo schema generale l’8 luglio 1925, ma che solo concluderà l’ iter istituzionale con l’approvazione, per Decreto Reale, il 17 giugno 1926.
3. Concorso per il piano regolatore e di ampliamento, 1934
Mentre sul finire degli anni Venti sono avviati i lavori di attuazione, esproprio, demolizione nelle aree centrali interessate dal piano particolareggiato del 1926, la Podesteria retta da Ulisse Cattaneo riprende la questione del piano regolatore e di ampliamento secondo una procedura che si sta affermando in moltissime città italiane: il concorso di idee, a cui invitare singoli o gruppi di ingegneri e architetti, con il duplice scopo di raccogliere progettualità, e insieme aiutare a sottrarre la formazione del piano da pressioni locali. L’unico dubbio sembra quello dell’estensione dell’invito, a scala regionale o nazionale? Verso la fine del 1932 la questione è risolta con un compromesso: saranno invitati i professionisti delle sole regioni settentrionali (Lombardia, Piemonte, Tre Venezie, Liguria), garantendo così una buona copertura mediatica all’evento, e una partecipazione abbastanza vasta. Il bando di concorso del 21 aprile 1933 chiede che i progetti debbano rispondere ai seguenti criteri: evitare sventramenti a danno delle «condizioni di arte e di ambiente della Città»; prevedere comunque diradamenti attorno agli edifici storici per «liberazione degli edifici stessi»; studiare le comunicazioni interne e con i centri limitrofi, con particolare riguardo agli scavalcamenti ferroviari, acquei, e alla realizzazione di un linea metropolitana; prevedere una sistemazione del fiume Lambro; indicare la localizzazione di servizi (verde, mercati, stadio, edifici pubblici). Nell’autunno dello stesso anno vengono presentati quattro progetti, tra i quali la Commissione giudicatrice (che comprende professionisti di ottimo livello nazionale) premia come migliore, nel gennaio del 1934, quello del gruppo milanese coordinato da Aldo Putelli, un ingegnere legato alla cultura razionalista, già affermato in numerosi concorsi,e che nei suoi interventi all’Istituto Nazionale di Urbanistica sostiene la necessità di una stretta collaborazione fra uffici municipali e consulenti esterni nella stesura dei piani regolatori.
Il progetto vincitore, contrassegnato dal motto C.M.N.P.22, riprende molti dei temi razionalisti dell’epoca, a partire dallo sviluppo dell’ampliamento per quartieri omogenei disposti radialmente, separati da zone verdi, raccordati all’esterno da un anello di grande viabilità che riprende nella parte orientale quello già delineato nel 1925, mentre in quella occidentale suggerisce, anche coerentemente con l’intento «di estendere il piano regolatore a una zona maggiore di quella prevista dal Comune», un nuovo asse a ovest della grande strada per Milano, che si raccorda a nord con l’attraversamento principale ovest-est del Parco, ricongiungendosi poi tramite un breve tratto della Statale per Lecco all’arco orientale della circonvallazione. All’interno di questo schema generale, in cui fa il suo ingresso tra l’altro lo zoning, si collocano gli interventi previsti nel centro storico, riassumibili nella arteria di attraversamento nord-sud (via Italia allargata, Piazza Trento e Trieste rettificata anche sul lato orientale, prosecuzione fino a via Appiani «per via San Paolo attraverso la via Scotto risanata e allargata»), e nella copertura del Lambro, la cui zona di pertinenza è destinata a diventare centro terziario e residenziale di alto livello, con fermata della metropolitana a PiazzaGaribaldi, secondo due possibili soluzioni: una giudicata migliore sotto il profilo urbanistico, un’altra di «massimo sfruttamento», che «potrebbe costituire una buona speculazione per il Comune». Completano gli interventi sul centro l’isolamento del Duomo e altre demolizioni verso l’Arengario.
Come accennato, uno degli obiettivi della procedura di concorso, era quello di superare il condizionamento delle contingenze locali nella elaborazione del piano. Una procedura che per Monza in un primo momento sembra fallita, visto che il coinvolgimento del capogruppo vincente Aldo Putelli nella redazione del “vero” piano regolatore si limita alla sua cooptazione nella Commissione consultiva nominata il 27 aprile 1934 con il compito di assistere l’Ufficio tecnico municipale. Nella primavera del 1935, risulta che nessun passo concreto è stato compiuto nella redazione del piano definitivo, e lo stesso Aldo Putelli sollecita il Podestà ad attivare una forma diversa di consulenza per il proprio studio professionale. Così, con un ruolo diverso e con il coinvolgimento del giovane collaboratore Ezio Cerutti, in stretto coordinamento con l’Ingegnere capo Giulio Redaelli, Putelli prepara i piani di ampliamento ovest e est della città, unitamente allo schema di un nuovo regolamento edilizio (quello precedente è del 1928), che vengono presentati e discussi nelle sedute plenarie di Commissione del marzo e aprile 1935.
Altri incarichi per obiettivi particolari (tra cui quello per la realizzazione di un plastico in scala 1:500 per le sistemazione nella zona centrale connesse all’asse nord-sud) proseguono fino al 1938, quando il 23 luglio il piano, per una popolazione stimata di oltre 100.000 abitanti entro il 1968, è adottato dal Consiglio comunale e successivamente inviato a Roma per l’approvazione.
5. Piano regolatore generale, 1949
Come accade, con pochissime eccezioni, ai piani oggetto di concorso e redatti in forma definitiva verso la fine degli anni Trenta, anche quello per Monza inizia a subire rallentamenti nell’iter di approvazione, determinati sia dall’entrata in guerra, sia dall’imminenza della nuova legge urbanistica nazionale, sia infine da questioni di contenuto, e segnatamente dagli interventi sulla zona storica monumentale. Già nel 1941 si segnala uno stop dalla Sovrintendenza ai Monumenti che chiede modifiche (approvate dal Consiglio comunale) per la Piazza del Duomo, e ancora nel 1943 il piano per motivi pure legati alla tutela artistica risulta in esame presso il Ministero dell’Educazione Nazionale, Direzione Generale Belle Arti, in attesa di trasferimento al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Proprio la Direzione Belle Arti, raccomanderà ancora «che la nuova sistemazione antistante il Duomo all’atto della realizzazione non risulti in contrasto con l’ambiente», e soprattutto si opporrà alla copertura del Lambro, chiedendo di «lasciare inalterata l’attuale configurazione del corso d’acqua».
Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Prima Sezione, riunito il 22 gennaio 1949, relatore Cesare Valle, critica quella che giudica la previsione di «uno sviluppo che si presenta indiscriminatamente in ogni direzione», suggerendo di privilegiare il settore ovest dell’abitato, alleggerendo e sfoltendo corrispondentemente quello sud-est, e altre modifiche riguardo al centro sussidiario e agli accessi dalle autostrade, oltre a specificare alcune critiche per l’area centrale e il rapporto coi monumenti storici. La copertura del Lambro in particolare sarebbe da evitare perchè «mentre ragioni di traffico non ne giustificano la necessità, le esigenze igieniche potranno essere soddisfatte [...] in sede di fognatura generale dell’abitato».
Coerentemente con queste premesse, il 20 ottobre 1949 è approvato il Piano regolatore generale di Monza, con le tavole firmate da Aldo Putelli e dall’Ufficio Tecnico comunale, piano che sulle pagine de L’Ingegnere viene salutato come il primo PRG italiano. Dal progetto originale sono stralciate importanti aree: Centro storico negli isolati circostanti Piazza Trento e Trieste e il Duomo, verso il Lambro, e Largo Mazzini; un quadrilatero nell’area di completamento occidentale fra le vie Cavallotti, Sempione, e il Canale Villoresi; un altro grande quadrilatero nell’area di espansione orientale verso il nuovo Cimitero, compreso fra le vie Buonarroti, Rota, Cederna, e il Canale Villoresi. Il più, il piano è approvato senza che tra i documenti inclusi figuri il regolamento di attuazione.
Alle carenze fisiologiche determinate dal lungo iter di approvazione, al piano regolatore di Monza si aggiungono quindi i “vuoti” delle zone stralciate, che richiedono di essere “riempiti”, insieme ad altri aggiornamenti, per costituire un piano soddisfacente e adatto ai tempi. Il dibattito in questo senso inizia immediatamente dopo l’approvazione del piano, con l’adozione nel 1950 da parte del Comune di un regolamento di attuazione che, pur privo dell’approvazione centrale sarà applicato da costruttori r progettisti fino al 1959. Nel 1951 i professionisti locali, Vittorio Bellini, Vittorio Faglia, Gualtiero Galmanini, iniziano a lavorare su questo problema. Le conclusioni sono presentate al Sindaco nell’autunno dell’anno successivo, sintetizzate nella relazione denominata Z.S.52, che si articola in una analisi critica del Decreto Presidenziale di approvazione del PRG, e in una sintetica proposta per le Zone Stralciate. Riguardo alla copertura del Lambro, è accettata la richiesta delle Belle Arti per lasciare intatto il corso urbano del fiume, rinviando a scelte di governo idraulico di grande scala alcune scelte specifiche correlate (il progetto vincente del Concorso aveva fatto riferimento a un piano di deviazione del fiume a monte dell’abitato firmato da Cesare Marescotti). Per il resto della zona centro, si propone di mantenere al minimo le demolizioni evitando sia la rettificazione degli isolati verso Piazza Trento e Trieste, sia il collegamento visivo diretto fra questa e la facciata del Duomo. Anche il collegamento nord-sud ne risulta modificato, «scartata la soluzione di deviare decisamente ad ovest fin dal suo inizio l’asse dell’arteria». Per il quartiere occidentale, premesso che la via Sempione notevolmente ampliata diverrà strada intercomunale, si prevede fra questa e le vie Cavallotti e Berchet un notevole insediamento residenziale/commerciale che qualifichi questa «vera arteria di traffico interurbano Monza-Milano». Per la zona est, Cederna, il progetto Z.S.52 prevede «un centro inteso come zona di coordinamento di quelle manifestazioni, attività ed esigenze di quartiere, quali mercato, negozi, ufficio postale, banca».
Oltre i singoli suggerimenti di intervento edilizio, il Comune sembra comunque sensibile alla proposta di colmare in qualche modo le lacune del PRG vigente tra cui quella di «comprimere in modo eccessivo lo sviluppo edilizio», e nella primavera del 1953 conferisce all’ampio gruppo degli Ingegneri e Architetti di Monza l’incarico di revisione del piano regolatore di Monza, che dovrà costituire la base di lavoro su cui l’Ufficio Tecnico comunale redigerà una proposta di variante generale. Gli studi del Gruppo Ingegneri e Architetti sono consegnati all’inizio del 1957 e il piano dell’Ufficio Tecnico, ampiamente basato su queste proposte, è pronto nella primavera del 1959 e adottato dal Consiglio comunale il 20 luglio.
7. Variante generale al piano regolatore, 1964
Un consigliere di opposizione, nel corso delle discussioni della primavera 1959 sul nuovo piano regolatore, aveva osservato che, a parte singole questioni, il progetto difettava in linea di massima su due fronti: la scarsa chiarezza della proposta generale, che sembrava più un insieme di progetti già in corso che una linea di azione unitaria; l’appiattimento sostanziale sulle proposte dei tecnici locali, e in definitiva sugli interessi di parte che li animavano. Non sarebbe stato il caso, suggeriva l’opposizione, di far studiare il piano a «un architetto urbanista estraneo e di chiara fama»? Le motivazioni con cui la Sezione Urbanistica del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, presieduta da Cesare Valle, suggerisce ulteriori modifiche al piano, sembra sottoscrivere indirettamente questa opzione: uno degli studi respinti è quello sul quartiere occidentale, che tanta parte aveva avuto nelle proposte Z.S.52. Dopo alcuni contatti con il Ministero all’inizio del 1961 il Sindaco annuncia che è stato individuato un «urbanista di sicura fama nazionale» a cui affidare l’incarico di un nuovo studio. Si tratta di Luigi Piccinato, probabilmente il più prestigioso professionista dell’epoca, che proprio insieme a Cesare Valle aveva firmato numerosi progetti urbanistici e di concorso per città italiane, dagli anni Venti in poi. Il lavoro su Monza, che inizialmente prevede solo lo studio delle zone stralciate, si sviluppa ben presto nello studio di un piano regolatore completamente nuovo, redatto da Luigi Piccinato con la collaborazione di Giorgio Piccinato e Marco Majoli. Lo schema generale da cui parte Piccinato è il quadro regionale della viabilità, che delinea come settore strategico per lo sviluppo urbano quello sud-occidentale compreso fra viale Lombardia, viale Campania, Corso Milano: dal rinnovato rapporto fra questo, il centro antico, e il settore orientale. Fulcro di questo sistema, uno strumento tipico dei piani elaborati da Piccinato, la costituzione di un centro terziario alternativo a quello storico, che nel caso di Monza si sostanzia in un Centro Direzionale da realizzarsi nel quadrilatero tra le vie Cavallotti, Europa, Solferino, Arnaldo da Brescia, su aree di dismissione ospedaliera e industriale. Una proposta generale di piano è consegnata nella primavera del 1962.
Il piano regolatore di Monza, nel suo impianto “sovracomunale” individuato da Piccinato, è destinato ad essere subito modificato da questioni di natura pure sovralocale. La prima è l’approvazione a scala nazionale, proprio nel 1962, della legge 167, che istituisce i Piani di Zona per l’edilizia popolare, che il Consiglio Comunale adotterà nel luglio del 1963 per cinque quartieri: via Correggio; Cederna; S. Albino; S. Rocco; Cazzaniga, e che devono essere inseriti nel piano a cui costituiscono variante. Il secondo condizionamento è rappresentato dalle linee in corso di definizione del Piano Intercomunale Milanese, che necessitano adeguamenti riguardo alla grande viabilità. Il piano, con le modifiche inserite, è portato alla discussione in Consiglio nell’autunno del 1963.
Il piano che l’Ufficio Tecnico coordinato da Lino Zanetti presenterà all’inizio del 1964, con questi presupposti, è un progetto «elaborato sulla base di quello del prof. Piccinato e tenuto conto dei Piano originario del 1949, di quella parte accettabile della variante 1959, del Piano delle aree da destinare all’edilizia economico/popolare [...], di alcune situazione e condizioni esistenti [...] e dagli orientamenti del Piano Regionale e di quello Intercomunale». È questo il piano che, illustrato da Luigi Piccinato in giugno, sarà adottato da Consiglio comunale in ottobre.
8. Variante generale al piano regolatore, 1968
Già nelle settimane prima dell’adozione, la Commissione Edilizia aveva evidenziato alcune perplessità sostanziali sullo schema di piano regolatore, criticando anche uno degli elementi portanti, ovvero il Centro Direzionale, il cui ruolo sarebbe stato da chiarire «se prettamente cittadino o a più ampio raggio», lasciando in sospeso «un giudizio sull’ubicazione e dimensione del centro stesso». Nel 1966 Luigi Piccinato accetta l’incarico di consulenza per l’esame delle 560 osservazioni presentate, consigliando di respingerne la stragrande maggioranza, in quanto «mera difesa dell’interesse privato legato alla destinazione del suolo», oggetto se mai di eventuali ricorsi i sede di piani particolareggiati, ma non di osservazioni accoglibili. Anche per le osservazioni di Enti e associazioni, che pongono questioni di tipo generale (le norme sul centro storico, l’anello di circonvallazione occidentale, il Centro direzionale ecc.) Piccinato esprime l’indicazione di non accettabilità. Di diverso avviso, almeno in parte, le indicazioni dell’Ufficio Tecnico, che insieme all’accoglimento di alcune modifiche suggerite dal Ministero dei LL.PP. definiscono la nuova versione del piano, che ottiene l’approvazione di massima ministeriale nel 1968.
9. Variante generale al piano regolatore, 1971
Il decreto 2 aprile 1968 n. 1444, e i relativi standards urbanistici che prevede, comportano ulteriori modifiche al piano regolatore, per adeguare le norme tecniche (piani di lottizzazione, esecuzione tramite semplice licenza edilizia, centro storico). Con queste modifiche, è approvato dopo un iter di oltre vent’anni, il 22 novembre, il nuovo Piano Regolatore Generale di Monza, che nella sintesi proposta dal Ministero dei Lavori Pubblici si articola in:
1. «la creazione di un nuovo centro direzionale nel settore sud-ovest della città, sulla aree attualmente occupate dall’ospedale civico e su quelle adiacenti, attualmente occupate da industrie e dal campo sportivo Singer;
2. la definizione di un sistema di grande viabilità, inteso principalmente ad impedire per quanto possibile l’attraversamento del centro storico;
3. un ridimensionamento della zonizzazione con l’indicazione dei vari tipi edilizi ammessi per ciascuna zona;
4. la salvaguardia del centro storico;
5. la individuazione delle zone destinate ad attrezzature di pubblico interesse, quali scuole, ospedali, mattatoio, impianti sportivi, ecc.».
10. Studi per la Variante generale al piano regolatore, 1985
Il Piano regolatore generale per Monza approvato con decreto ministeriale nel 1971, è l’ultimo piano per una città italiana il cui iter si conclude con un atto delle autorità centrali. Infatti pochi mesi più tardi si concluderà con il Decreto presidenziale di trasferimento dell’urbanistica alle Regioni, il lungo percorso iniziato con i lavori della Costituente. Non è quindi un caso se, a torto o a ragione, questo piano è localmente considerato immediatamente obsoleto e “centralista”: obsoleto perchè nato e cresciuto in un periodo di profonde trasformazioni dell’apparato produttivo, dei rapporti sociali e degli stili di vita, cui le trasformazioni via via apportate al progetto non sembrano essersi sufficientemente adeguate; “centralista” e burocratico perchè l’impianto generale risponderebbe a un criterio di razionalità astratta, con scarsi riscontri sia nella concretezza della realtà locale, sia nelle aspettative della maggioranza dei cittadini, a cui sarebbero stati imposti modelli rigidi come l’Asse attrezzato o il Centro direzionale. Proprio il Centro direzionale, su cui si basava l’impianto generale del progetto, viene rifiutato nel metodo e nel merito dalla stampa periodica più rappresentativa del ceto dirigente, che titola senza mezzi termini a un anno esatto dall’approvazione: «Il Piano Regolatore Generale: un feticcio da abbattere». Strumenti dell’urbanistica rinnovata, più vicina ai bisogni dei cittadini, saranno un nuovo ruolo delle autonomie locali e il rifiuto di decisioni esterne. Nel corso degli anni Settanta alcune parti del piano iniziano comunque ad attuarsi, mentre cambia il contesto esterno, per esempio con l’approvazione a livello regionale della legge urbanistica nel 1975 (anno in cui si delibera per la prima volta l’intenzione di avviare una procedura di variante generale), o a livello nazionale con i piani di recupero della 457/1978, che interesseranno importanti aree del centro storico. Un’altra innovazione, già introdotta nel PRG del ’71, è quella dei programmi pluriennali di attuazione, che dopo un primo tentativo fallito nel 1972 inizieranno ad attivarsi dal 1976, redatti dal pure nuovo Ufficio Programmazione Urbanistica. Del 1976 è, ancora, uno studio di Piano Particolareggiato per il centro storico, che sul modello di altri in Italia come quello di Bologna prevede anche interventi PEEP, in alternativa a quelli in aree periferiche.
Solo nel 1981 su iniziativa dell’Assessore alla Programmazione Urbanistica, Giuseppe Galbiati, si delibera di affidare a un gruppo di consulenti esterni lo studio di un nuovo piano regolatore generale, con l’obiettivo di superare quello che viene definito un prodotto della “urbanistica opulenta”, dove «ad un disegno razionale si accompagna anche una supervalutazione delle risorse economiche ed operative ... mentre il territorio è considerato essenzialmente come bene illimitatamente disponibile», per previsioni insediative che superano i 250.000 abitanti (poco più di 120.00 in diminuzione, al 1980). Dall’obsolescenza di contenuti e fondamenti, scaturirebbe la sostanziale elusione del piano nei suoi aspetti qualificanti: centro direzionale, parchi, servizi, sistema di viabilità principale. Nell’ottobre del 1984 i consulenti incaricati, Federico Confalonieri, Alfio Lorenzetti, Annio Matteini, Achille Sacconi, presentano una relazione illustrativa del lavoro svolto che, nel quadro del sistema metropolitano milanese e dei relativi strumenti di pianificazione sovracomunale vigenti e in corso di definizione, ridefinisca il ruolo di Monza come città-guida «nel processo di rafforzamento ed innovazione strutturale che, dalla Brianza tutta, potrà poi fornire elementi di consolidamento dello sviluppo regionale». La bozza di piano regolatore che scaturisce da queste premesse innanzitutto recepisce integralmente il «Piano dei servizi» redatto nel 1980 da Leonardo Mariani Travi per il recupero degli standards, e nella prospettiva di superamento del fallito modello di Centro direzionale, individua un sistema articolato di aree a vocazione terziaria, in particolare nella zona di confluenza tra la superstrada Monza-Rho e la circonvallazione esterna.
Questo progetto di piano regolatore, per motivi di grave dissenso all’interno della Giunta, non riuscirà ad arrivare all’adozione, rimanendo allo stato di studio. Un dattiloscritto datato giugno 1986, Messa a punto di una programmazione coordinata per la definizione del progetto di piano regolatore generale, giudica ad esempio ancora aperta la questione del ruolo del terziario in città, «un’incognita per le scelte progettuali di piano, in quanto praticamente sconosciuto nelle sue caratterizzazioni e nelle sue tendenze». Ancora aperto, in questo senso, il Documento Direttore. Piano Regolatore Generale, firmato nel febbraio 1987 dal Gruppo di consulenza originario, cui si aggiungono Roberto Biscardini e Gianluigi Sartorio. Si afferma a questo proposito che il piano «non debba vincolare rigidamente grandi aree a destinazione terziaria», per non creare artificiosamente zone «che rischino di rimanere destinate, solo sulla carta, ad interventi di macchinosa attuazione».
11. Variante generale al piano regolatore, 1997
Nel 1993 la nuova giunta, eletta con un programma che annoverava il piano regolatore tra i punti irrinunciabili, a poche settimane dall’insediamento affida l’incarico di redazione del piano ad un professionista di prestigio nazionale: Leonardo Benevolo. Il primo, quasi immediato risultato dell’avvio di un nuovo iter, è l’adozione, già a luglio, della variante parziale denominata «Parco di cintura urbana», che vincola a verde circa 1.000 ettari di territorio comunale, e che comprende come si legge nella relazione illustrativa «gli spazi liberi fra il fronte di crescita ... e i confini comunali, con gli insediamenti non compattati di origine recente, dove occorre realizzare le infrastrutture e i servizi mancanti». Il parco suscita immediatamente aspre polemiche e opposizioni, sotto forma di esposti e ricorsi da parte di privati. Dopo un anno di dibattito, nel luglio 1994 il consiglio comunale approva il progetto preliminare di piano regolatore, articolato secondo quattro zone omogenee di intervento: il centro storico, la periferia consolidata, il parco di cintura urbana, il parco reale.
Per il centro storico si pone l’obiettivo di difesa dei caratteri attraverso la conservazione dei manufatti, la riscoperta e ripristino di quelli occultati o distrutti, sia per gli usi attuali che per quelli futuri ipotizzabili. Tra le zone di maggiore impegno, il corso del fiume Lambro, il perimetro anticamente murato e la piazza del mercato, nel quadro generale di un incremento della residenza e delle attività terziario-commerciali compatibili.
Per la periferia esistente ci si pone il problema della riqualificazione qualitativa, ambientale, di adeguamento dei servizi, nella prospettiva della stabilizzazione anziché della crescita, anche attraverso l’utilizzazione di spazi liberi o liberabili. Per le attività produttive si propone un mantenimento della destinazione d’uso se ci sono prospettive di proseguimento nella funzionalità degli impianti, o in alternativa di attribuzione delle superfici a uso residenziale, secondo piani attuativi di iniziativa privata o pubblica.
Per il parco di cintura si prevede un ruolo di carattere intercomunale, integrato con quello degli spazi liberi dei comuni limitrofi, «oggetto di un proprio piano territoriale.
Per il parco reale a nord del territorio comunale si propone un vero e proprio «restauro» dell’area, ripristinandola via via secondo modalità coerenti col progetto originario sette-ottocentesco, stabilendo quali usi sono compatibili con questo obiettivo e definendo in linea di massima: incompatibile l’ippodromo; compatibile il golf «sebbene privatizzi una vasta superficie», compatibile anche l’autodromo, previa rimozione dell’anello ad alta velocità.
Alcune sistemazioni particolari riguardano infine tra l’altro la zona industriale ai confini con Villasanta e Concorezzo, la sistemazione della Piazza del mercato, l’interramento della superstrada Valassina.
Il piano, oltre le opposizioni di chi si ritiene danneggiato da alcune scelte, suscita anche critiche di altro tipo, riassumibili nel titolo pubblicato da Urbanistica Informazioni nel 1994, «Le proposte per il Prg di Monza: una formula astratta». Nel corso del 1995, più o meno parallelamente, al momento di massima pubblicità e discussione, istituzionale e non, sul piano, entra in crisi l’insieme delle contingenze politiche che ne avevano determinato la vicenda. Il progetto completo ricalca lo schema della bozza preliminare, proponendo alla pubblica discussione anche suggestioni di immediato impatto come la possibilità di integrazione del quadrante orientale con interramento della ferrovia, il ripristino della morfologia storica della zona centrale trasformata dal piano del 1926, la ricostituzione dell’unità della zona verde settentrionale con l’abbassamento di via Boccaccio, l’abbassamento della superstrada Valassina a ovest, con recupero dell’unità dei quartieri di Triante e San Fruttuoso.
Dopo un ulteriore periodo di stasi determinato dalla crisi politica succitata, il piano pur con alcune modifiche (che non ne intaccano lo schema generale) è adottato nel luglio del 1997. Alcune modifiche sono introdotte con la “rettifica” deliberata dal Consiglio comunale nel settembre dello stesso anno.
Nota: oltre alle informazioni ulteriori disponibili nel libro da cui sono tratti questi brani (che comprende in appendice anche le Relazioni), alcuni materiali grafici a bassa risoluzione sui piani regolatori di Monza sono diponibili nel catalogo del sito Rete Archivi dei Piani Urbanistici ; per quanto riguarda il Piano di Governo del Territorio in corso di formazione - e che è oggetto delle polemiche attuali a scala nazionale - si veda il sito del Comune di Monza, pagine Territorio PRG PGT (f.b.)