La nascita del «Grand Paris» sotto il segno di una sfida politica
Nicolas Sarkozy sventola il Grand Paris come il «progetto faro» della sua presidenza e fa chiaramente intendere che questa sarà la sua carta alle elezioni per il secondo mandato nel 2012. Come ogni presidente francese che si rispetti, anche Sarkozy intende legare il proprio nome a un progetto di urbanistica che lasci il segno. In realtà il progetto, giunto alla fase dell'architettura e del confronto con il pubblico, si agita nell'aria già da anni e in effetti non è una proposta originale di Sarkozy. Il primo ad aver colto la necessità di legare l'avvenire di Parigi alla creazione di una metropoli solidale con il suo territorio è stato Bertrand Delanoë, socialista, che fin dalla sua elezione a sindaco nel 2001 ha avviato un «paziente e metodico lavoro d'ascolto e di collaborazione» con gli eletti della regione Ile de France e il loro presidente Jean Paul Huchon, anch'egli socialista, per negoziare una piattaforma di governance condivisa.
L'occasione è stata fornita da una doppia scadenza. Nel 2004 viene avviato lo Schema direttore della regione Ile de France (Sdrif), il documento urbanistico che fissa le linee guida dello sviluppo della regione parigina. Nello stesso anno il comune di Parigi lavora all'ultima fase del suo Piano Locale Urbanistico. Incardinati sui principi dello sviluppo sostenibile, i due programmi condividono i temi della qualità ambientale, della solidarietà fiscale e della riduzione delle ineguaglianze sociali individuando nella riforma della rete della mobilità pubblica e nel risanamento delle periferie gli obiettivi chiave dello sviluppo metropolitano. Per dare un segno concreto della buona volontà politica, nel 2006 Delanoë crea con gli eletti della regione dell'Ile de France, la Conferenza Metropolitana, gettando così le basi della metropoli parisienne.
L'arrivo di Sarkozy alla presidenza della Repubblica nel marzo 2007 modifica alcuni orientamenti del programma socialista. In occasione dell'inaugurazione di un nuovo terminal dell'aeroporto di Roissy il 26 giugno dello stesso anno, Sarkozy annuncia la revisione dello Sdrif per definire una «strategia efficace» per la ripresa economica di Parigi e della sua regione. Il programma ruota intorno al rafforzamento degli aeroporti e di alcuni poli strategici, in primo luogo il quartiere della Défense, alla costruzione di piattaforme tecnologiche in sette territori della Grande corona parigina, all'edificazione di settantamila alloggi nelle periferie e alla realizzazione di una linea della metropolitana di terza generazione (senza il conducente), la Rocade Blanc, per agevolare i collegamenti periferia-periferia.
Pur essendo tutte le parti in causa, a sinistra come a destra, concordi sulla necessità di una ristrutturazione dell'agglomerato parigino, sul tavolo ci sono due modelli: quello governativo di Sarkozy che mira ad accorpare i dipartimenti della Piccola e Grande corona e a rinforzare il ruolo della capitale e quello socialista di Delanoë che spinge per realizzare una confederazione metropolitana, solidale e sostenibile, vicina alle esigenze della popolazione.
Il Grand Paris è dunque anche una questione politica che ora, con l'approvazione della Rocade Blanc e l'inaugurazione dei progetti alla Cité de l'Architecture, pone gli avversari di fronte. Mentre Sarkozy si pronuncia a favore di una collettività metropolitana sollevando le critiche degli eletti dell'Ile de France che temono l'accentramento dello Stato, Delanoë lancia l'istituzione di Paris Métropole, un organismo di governance volto a definire un metodo finanziario di fondi di solidarietà fiscale. La sfida a chi realizzerà il Grand Paris è appena cominciata. Arbitri saranno i cittadini dell'Ile de France che vogliono essere parte in causa di un progetto che decide dello sviluppo del loro territorio.
Scommesse PARIGINE
A Parigi si respira aria di cambiamenti. Il progetto Le Grand Pari(s) de l'agglomération parisienne, la futura città metropolitana del bacino della Senna all'orizzonte del 2030, procede rapido. Il 14 marzo le dieci équipe di architetti e urbanisti chiamati a consultazione dall'Eliseo (i francesi Nouvel/Cantal-Dupart/Duthilleul, de Portzamparc, Grumbach, Castro/Denissof/Casi, Lyon e il gruppo Descartes e gli stranieri Rogers, Stirk, Harbour & Partners, Secchi e Viganò, MvRDV, studio AUC di Klouche, studio LIN di Finn Geipel) hanno consegnato la sintesi dei loro lavori, tre giorni dopo c'è stata una conferenza pubblica al Palais de Chaillot dove sono intervenuti studiosi del calibro di Saskia Sassen e Mike Davis e il 29 aprile è stata aperta alla Cité de l'Architecture et du Patrimoine la mostra delle diverse proposte, che saranno visibili al pubblico per sei mesi, fino al 22 novembre.
Nel frattempo si sono moltiplicate le iniziative culturali per coinvolgere la cittadinanza. Al Pavillon de l'Arsenal, la attiva e frequentatissima casa dell'architettura di Parigi, è in corso da gennaio un dibattito intitolato Echanges Métropolitaines su mobilità, residenza, lavoro, attrezzature culturali, tempo libero al quale è possibile partecipare attraverso il social network appositamente creato (e di cui forse si sentiranno echi in un incontro, Quale futuro per Roma e Parigi? che si tiene stasera alla Casa dell'architettura di Roma, con la partecipazione, tra gli altri, di Massimiliano Fuksas, Renato Nicolini, Michel Cantal-Dupart, Jacqueline Risset).
Da parte sua Pierre Mansat, braccio destro del carismatico sindaco socialista di Parigi Bertrand Delanoë, è responsabile di un blog espressamente dedicato all'avvenire dell'agglomerato parigino (www.pierremansat.com). Dopo anni di incubazione e di lavoro politico, il progetto Grand Paris comincia insomma a prendere forma.
Binari paralleli
Cosa sia il Grand Paris non è semplice da spiegare. A prima vista parrebbe un nuovo piano regolatore, ma pur trattandosi di un progetto di grande scala che mette mano alla struttura urbana di Parigi e del suo hinterland, il Grand Paris non è un piano regolatore. Meglio dire che il Grand Paris è un programma di sviluppo sostenibile e una prefigurazione che intende trasformare l'agglomerato della regione parigina in una metropoli policentrica di oltre dieci milioni di abitanti, solidale e ad alta qualità ambientale.
La sfida è alta e come fa intendere la «s» di quel Pari(s) messa tra parentesi, si tratta di una scommessa (pari in francese significa scommessa). La posta in gioco è l'avvenire di Parigi nello scacchiere internazionale dei prossimi anni, in una prospettiva di ridimensionamento delle condizioni dello sviluppo poste dal protocollo di Kyoto. Si tratta di raccogliere la competizione globale cominciando a lavorare dal contesto locale. Il primo ostacolo da superare è infatti, la riforma dei limiti amministrativi tra i dipartimenti che costituiscono la cosiddetta Piccola e Grande corona di Parigi, tutta la vasta area urbana che circonda la capitale.
La Parigi racchiusa dall'anello del Périphérique, il viale costruito sulle ceneri delle mura di Thiers, è una città relativamente piccola (un centinaio di chilometri quadrati) che non è più cresciuta dal 1870, mentre la regione dell'Ile de France è un territorio di dodicimila chilometri quadrati e oltre trecento comuni, densamente abitato e sede di importanti attività industriali e produttive che rappresenta un terzo dell'economia dell'intera Francia. Per anni lo sviluppo del territorio è andato avanti su binari paralleli, culturale e turistico da una parte, manifatturiero dall'altra, con la conseguenza che esistono due città, la borghese e ricca Parigi e l'operaia e multietinica banlieue. Queste due città sono necessarie l'una all'altra e il destino dell'agglomerato parigino è, ormai a detta di molti, l'eliminazione delle frontiere e la nascita di una confederazione urbana di dimensioni regionali. Ma per gettare le basi di una Paris Métropole il primo nodo da sciogliere è la diffidenza degli abitanti della regione dell'Ile de France, che vedono Parigi come la piovra che si interessa ai territori limitrofi solo per costruire i suoi cimiteri, le sue discariche e le sue fabbriche.
La realizzazione di Paris Métropole è dunque subordinata al superamento dei problemi sociali e politici che dividono la capitale e la sua regione, senza per questo trascurare l'urgenza della riduzione delle emissioni dei gas serra posta dal protocollo di Kyoto. I dati divulgati dalle organizzazioni internazionali sui processi demografici e i livelli del consumo energetico nelle aree urbane hanno rivelato che il riequilibrio ambientale è legato a doppio filo alla questione dello sviluppo: le città crescono a dismisura, sono diventate delle megalopoli, consumano territorio e molta energia (quasi tre quarti dell'energia mondiale).
Tra natura e artificio
Di fronte a un processo che sembra inarrestabile, la domanda ricorrente è «che fare?». La consultazione voluta dall'Eliseo - si badi bene, non un concorso di idee - nasce dall'intenzione di aprire un laboratorio di lavoro coinvolgendo gli architetti in una riflessione multidisciplinare per imprimere al progetto dell'agglomerato parigino il segno della proposta esemplare. La scommessa infatti non è tanto quella di dare una rinfrescata a Parigi, ma di lavorare a una «terza città» capace di mettere insieme le istanze del riequilibrio ambientale con quelle del rilancio economico e della solidarietà sociale per «fare della capitale una "città-mondo" aperta, dinamica, attraente, creatrice di ricchezze e di lavoro».
Tutti i lavori presentati concordano sul fatto che la futura metropoli parigina debba avere una dimensione territoriale. L'atelier Grumbach si è addirittura spinto fino a prefigurare una città sola da Parigi a Le Havre dove sono le foci della Senna, Christian de Portzamparc si richiama alla figura del rizoma di Deleuze e Guattari per proporre una città orizzontale e multipolare centrata su luoghi di addensamento urbano, il gruppo inglese di Rogers, Stirk Harbour insiste sul binomio concentrazione edilizia-mixité funzionale per risparmiare suolo e intensificare la mobilità «verde».
La cultura del mezzo pubblico
La futura Paris Métropole fa dunque leva sulla geografia del bacino della Senna per creare il palinsesto di una città-natura che, come ha detto Roland Castro, uno dei dieci progettisti, molto noto per la sua urbanistica militante, ponga al centro dei suoi obiettivi il diritto del cittadino all'urbano: «abitare in un edificio dignitoso, in un quartiere che sviluppi il senso di appartenenza alla comunità, in una città dove tutti i luoghi siano attraenti, in una metropoli che dia a ciascuno l'idea di poter essere qui e altrove».
Lo slogan è costruire una solidarietà tra l'urbano e il rurale perché senza questa alleanza non c'è circolarità economica e equilibrio tra le differenti attività umane. Ma come fare per tenere insieme una metropoli di dimensioni territoriali, che deve essere aperta e accessibile a tutti i suoi cittadini, ovunque essi abitano? Come fare per rompere le gerarchie e favorire le relazioni «orizzontali», smettendola finalmente con le differenze tra la città bella e buona del centro e la città-non città delle periferie? La soluzione condivisa è intervenire su due parametri, densità edilizia e mobilità pubblica perché una città ecocompatibile è anche una città paritaria che deve dare case e servizi a tutti e i cui luoghi devono essere facilmente e velocemente raggiungibili.
La sostenibilità non è soltanto questione di un giusto dosaggio tra natura e artificio, ma è anche questione di tempo e di distanze. Dunque per avere una città-natura che possa funzionare in modo fluido, il primo passo è rivedere il modello spaziale della città moderna e della griglia di Le Corbusier, vale a dire l'idea di una città basata esclusivamente sull'uso dell'automobile. Su questo fronte Parigi parte avvantaggiata, non tanto perché esiste una rete metropolitana ampiamente sviluppata, la quale, si sa, dovrà essere rivista in maniera radicale, ma perché nel dna dei parigini (come in quello dei francesi) è fortemente radicata la cultura del mezzo pubblico. Il vero parigino è colui che si sposta a piedi e con la metropolitana e oggi, dopo il varo di Velib (il sistema Velo+Liberté del bike-sharing) anche con la bicicletta.
Spazi definiti dalla velocità
Consapevoli di questa mentalità, gli architetti si sono sentiti autorizzati a rivoltare Parigi come un calzino e a immaginare di sostituire la struttura urbana radiocentrica con una «armatura» integrata di strade, linee ferroviarie e metropolitane aeree e a raso, corridoi ecologici, piste ciclabili e anche vie d'acqua (peculiarità del paesaggio della Senna oggi sottoutilizzato) secondo assialità e direzioni del tutto inedite rispetto a quelle tracciate dai grandi boulevards del barone Haussmann.
Ogni architetto ha tessuto il telaio urbano alla sua maniera con scenari che non sono mai gli stessi. Se l'atelier di Jean Nouvel sogna di fare di Parigi un grande giardino irrigato da cui crescono, come alberi artificiali, delle ecocittà verticali, lo studio di Bernardo Secchi e Paola Viganò coltiva l'idea di una città porosa, permeabile e isotropa fondata su una struttura ecologica di zone umide e tre tipi di spazi definiti dalle velocità: alta (automobili), media (trasporto pubblico), bassa (percorsi pedonali e ciclabili).
Da parte sua, il gruppo Descartes di Yves Lyon propone di densificare le aree verdi e di piantare una foresta per la produzione dell'energia e la regolamentazione del clima, mentre Roland Castro immagina di trasformare i grigi quartieri delle villes nouvelles in colorate oasi lungo il fiume, e gli olandesi MvRDV lanciano una provocazione riducendo Parigi a una città piccola e compatta per liberare i suoli e creare dei parchi eolici e solari.
Le proposte sono ancora allo studio, ma in ogni caso la variabile in gioco è quella della durata in un regime di vincoli fluttuanti e costantemente mutevoli. Ecco allora che il progetto del Grand Paris si prefigura come un'occasione concreta per elaborare una «terza città» capace di andare oltre il determinismo del Moderno e l'utopia di una città perfetta. È interessante riprendere le parole di Jean Nouvel che in un'intervista ha detto: «Il progetto Grand Paris è già lì. I dieci milioni di parisiens sono lì, il territorio è lì. Si tratta dunque di trovare la giusta forma per organizzare quello che già esiste e costruire le condizioni per far vivere meglio la gente». Questa dichiarazione che parte dall'ovvietà di ciò che c'è, suona una rivoluzione culturale nel paese di Cartesio e di Le Corbusier (svizzero ma francese d'adozione) dove il pensiero razionalista moderno si è espresso in termini di tabula rasa e di costruzione del nuovo a partire dalle cancellazioni. Il progetto Grand Paris-Paris Métropole rovescia i termini della questione e parte dal riconoscimento dell'esistente.
Per ora siamo solo ai primi passi e le incognite sono tante, ma la vicenda del Grand Paris merita attenzione, perché rappresenta forse l'occasione per realizzare un urbanesimo sensibile che adotti come strategie di progetto, il recupero e il riciclo per trasformare e investire di nuovi significati ciò che è a disposizione. Si sa che i francesi non mancano di coraggio e ogni volta che hanno voluto, hanno saputo rimettere in gioco le loro certezze. Sarà il Grand Paris il piano Haussmann del XXI secolo?
Nota: sul medesimo argomento si vedano in eddyburg anche le raccolte di articoli precedenti; di seguito in allegato un documento originale con le idee del sindaco di Parigi Delanoe sulle riforme territoriali (f.b.)