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Fabrizio Bottini
Urbanistica Quotidiana
2 Ottobre 2011
Esperienze straniere
Il quotidiano di centrodestra britannico Telegraph si oppone alla svolta neoliberista perché devasta il territorio. Una fronda interna all’approccio governativo? Non proprio

Probabilmente molti lettori di eddyburg se ne ricorderanno, della campagna contro la legge cosiddetta Ammazzaparchi, campagna vittoriosa perché contro i progetti di una parte dello schieramento politico di centrodestra riuscì a coalizzarsi un insieme di forze molto trasversale, dall’ambientalismo, ai partiti dell’opposizione di centrosinistra, e in modo determinante sino ai rappresentanti della base leghista, che sulle tematiche del territorio e dell’identità aveva da sempre giocato i propri consensi. Premessa indispensabile, questa, se si vuol cercare di leggere in modo non del tutto teorico e/o ideologico quanto sta accadendo oggi su scala infinitamente più ampia e diversificata in Gran Bretagna, dove notoriamente si discute della riforma delle leggi nazionali urbanistiche, in una prospettiva sostanzialmente “semplificatrice” e con notevoli deleghe decisionali a enti locali e interessi particolari.

Sono proprio questi interessi particolari che iniziano a configgere, forse preannunciando le modalità di confronto future, quando si indebolirà di molto la garanzia di equidistanza della legge, col previsto taglio da oltre 1.000 a meno di 100 pagine del planning framework che struttura gli obiettivi di massima delle trasformazioni territoriali. Il quotidiano popolare a orientamento conservatore The Telegraph ha annusato l’aria, in un paese dove la campagna da sempre, nella realtà e/o nel mito, fa parte integrante dell’identità nazionale, dove anni fa ha avuto notevole eco lo studio sistematico della CPRE sui vantaggi per la salute e l’economia della contemplazione del paesaggio, e dove tanti dei deputati tories vengono eletti in collegi rurali. Così più o meno dal momento in cui le associazioni per la difesa del paesaggio – National Trust e CPRE in testa – hanno iniziato a far muso duro nelle fasi di consultazione allargata sul progetto preliminare di legge, il quotidiano ha lanciato una propria campagna: Giù le mani dal nostro territorio!

Che si struttura attorno a una raccolta aperta di opinioni dai cittadini comuni, e di interventi di osservatori privilegiati, politici, esponenti della società civile, giornalisti ecc. A dare il tono forse basta il breve testo che introduce le opinioni dei cittadini:

"Il governo propone una riforma del sistema di decisione urbanistica, secondo la quale le amministrazioni locali dovranno in ogni caso essere “preventivamente favorevoli a progetti di trasformazione sostenibili”. Sostituendo i rigidi vincoli sulle costruzioni in aree rurali in vigore sin dagli anni ‘40.

La maggioranza parlamentare ritiene che così si possa risolvere la crisi delle abitazioni, con problemi di sovraffollamento e persone del tutto prive di casa che rischiano di sfuggire del tutto al controllo, se non si interviene approvando la riforma urbanistica. Ma gli ambientalisti rispondono che invece il governo “sta anteponendo a tutto vantaggi economici di breve termine”.

Siete convinti che così si devastino le campagne? Dobbiamo proteggere ad ogni costo le zone rurali del paese? Si sta davvero mettendo “il guadagno a breve termine” davanti a considerazioni ambientali di più lungo periodo?

Oppure siete d’accordo con le riforme chieste dal governo di coalizione? É giusto mettere prima di tutto le esigenze della popolazione? Con queste riforme si risolve la crisi della casa? É l’unico modo per aiutare chi vorrebbe comprarne una, e allentare il problema del sovraffollamento? Chi si oppone alla riforma è solo un NIMBY?"

Forse val proprio la pena di partire da quest’ultima considerazione, dalla parolaccia nimby, che curiosamente di solito è proprio accostata all’altro aggettivo, quello di territorio locale, su cui il ministro per le aree urbane Eric Pickles sta impostando il braccio secolare della Big Society di David Cameron. Scorrendo le risposte (una dozzina quelle disponibili in homepage, più o meno) del pubblico pare emergere da una lato una notevole articolazione di opinioni, dall’altro colpisce quanto due o tre generazioni di buona urbanistica abbiano saputo far germinare, anche nei lettori di un quotidiano per nulla elitario. Si va da chi sposa senza dubbio la causa della casa per tutti, senza badar più del dovuto alla tutela, ai difensori a spada tratta della campagna luogo di identità, a considerazioni decisamente articolate e mature, come la necessità di rivedere prima le politiche sulle aree urbane dismesse (che i conservatori hanno molto intiepidito), o evitare forzature come quella posizione “preventivamente favorevole alle trasformazioni sostenibili” senza chiarire cosa sia o non sia sostenibile.

Gli interventi di testimoni privilegiati e specialisti appaiono naturalmente più sfumati e con meno sorprese, il quotidiano li propone già raggruppati in Favorevoli e Contrari, e anche qui naturalmente ci sono le posizioni che privilegiano aspetti socioeconomici, come quelle governative sulla casa, la crisi, il rilancio delle imprese, o il mondo ambientalista e associativo più incline, per usare le parole della presidente National Trust Fiona Reynolds, a esaminare gli aspetti di “fretta eccessiva” con cui si vorrebbe far partire un meccanismo che rischia di provocare “conseguenze imprevedibili, aumentare la confusione, determinare incertezze nel settore edilizio e ansietà nella popolazione e fra le amministrazioni”.

Ricordando l’intervento di George Monbiot che sul Guardian ( riproposto anche su questo sito) giudicava un po’ populista la mossa del Telegraph con la sua campagna parallela alle associazioni ambientaliste, viene da pensare però a quale tono avrebbe potuto avere, nel nostro paese, una iniziative del genere, magari sulle pagine del il Fatto oppure sull’altro versante del Giornale, e come in realtà si possano già vedere spesso scontri ben più confusi e faziosi nella stampa locale. In conclusione, ferma restando da parte del sottoscritto una certa diffidenza nell’atteggiamento di “equidistanza” quando si tratta di temi tanto direttamente legati sia alla società che all’ambiente come in questi casi, suscita una certa invidia guardare da lontano tanta e diffusa maturità, anche se ovviamente non sfuggono prevedibili forzature, o pure e semplici balle.

Ovviamente potremmo anche noi sviluppare una discussine a quei livelli. Come?

Facile: dopo aver approvato e gestito con continuità un sistema moderno e democratico di planning per un paio di generazioni o giù di lì. Da dove si comincia?

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