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Maria Cristina Gibelli
In Italia, ci pensa il mercato; invece, in Francia i piani urbanistici diventeranno intercomunali!
10 Febbraio 2018
Esperienze straniere
Negli ultimi 20 anni in Francia la pianificazione territoriale e urbanistica è stata oggetto di numerose riforme legislative: mai di ‘controriforme’, come invece è avvenuto in Italia.

Negli ultimi 20 anni in Francia la pianificazione territoriale e urbanistica è stata oggetto di numerose riforme legislative: mai di ‘controriforme’, come invece è avvenuto in Italia.

Negli ultimi 20 anni in Francia la pianificazione territoriale e urbanistica è stata oggetto, diretto o indiretto, di numerose riforme legislative: quattro le principali, tutte finalizzate a realizzare un modello di pianificazione e gestione della città e del territorio alla scala pertinente; tutte in direzione opposta e contraria rispetto a ‘controriforme’ come quelle che nel nostro paese sono state, per ora fortunamente solo ipotizzate (ma fino a quando???) a scala nazionale (Legge Lupi e Legge Lupi bis), ma purtroppo di fatto già legittimate in molte Regioni: buona ultima la Regione Emilia Romagna

Dal 1967 (quando, con la Loi d’Orientation Foncière, si introdusse un doppio livello di pianificazione articolato nel POS - Plan d’Occupation des Sols -, di scala comunale e molto simile a un nostro PRG di ‘tradizione’, e nello SDAU - Schéma Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme - di scala sopracomunale) al 2000, la pianificazione urbanistica non è stata oggetto di riforme significative.
A partire dal 2000, dopo un decennio di cauta, ma comunque nociva, deregolamentazione, l’attività riformatrice è stata molto intensa: una vera e propria riaffermazione della “puissance de l’état” in materia di governo e pianificazione del territorio. Quattro sono state le leggi più importanti approvate dal 2000 al 2014.

Prima di tutto, una riforma della legge urbanistica nazionale. Con la SRU (Loi Solidarité et Renouvellement Urbains) del 2000, approvata durante il governo Jospin, si è avviato un percorso di innovazione (che verrà ulteriormente arricchito dalle due leggi Grenelle in materia di ambiente del 2009 e del 2010). La SRU sostituisce il Plan d’Occupation des Sols con il PLU (Plan Local d’Urbanisme): il nuovo piano comunale degli usi del suolo, comunque regolativo e prescrittivo, che però si arricchisce di un articolato progetto strategico dell’amministrazione locale formalizzato in tre documenti: Rapport de Présentation, “Projet d’Aménagement et de Développement Durables (PADD)”, e “Orientations d’Aménagement et de Programmation (OAP).
Inoltre, lo SDAU cede il passo allo SCOT (Schéma de la Coherence Territoriale) e, per la prima volta, si sancisce che i PLU debbano essere compatibili con lo SCOT, di competenza delle associazioni intercomunali che dovranno obbligatoriamente esprimere un parere in proposito.

Tre altre leggi più recenti, tutte approvate durante la Presidenza Hollande, hanno di nuovo migliorato sensibilmente le regole del gioco per il governo e la pianificazione del territorio alla scala pertinente: in una direzione per molti aspetti radicalmente innovativa e, appunto, in direzione opposta e contraria a quella, cinicamente e pervicacemente deregolativa, seguita (indipendentemente dalle maggioranze al potere) dai governi nazionali e regionali del nostro paese.

La prima ha istituito i governi metropolitani - “Loi de modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles (MATPAM)” del 2014: una legge, molto complessa e articolata, che riconosce e legittima percorsi diversi per realtà metropolitane differenti, privilegiando un modello di governance multilivello, inquadrato comunque da rilevanti dispositivi di comando e controllo per quanto attiene alla ridistribuzione delle competenze.

È su questo aspetto, della attribuzione di competenze all’ente metropolitano, che le due leggi, quella francese e quella italiana (la sciagurata, ma ormai pienamente delegittimata, legge Del Rio, approvata nello stesso anno) divergono in maniera sostanziale - oltre che sulle risorse finanziarie attribuite: cospicue nel primo caso, inesistenti nel secondo. Le Métropoles hanno ricevuto per delega tutte le funzioni di rilevanza metropolitana, sostituendo a pieno diritto i Comuni: economia, ambiente, società, grandi servizi, infrastrutture e, naturalmente, tutte le competenze in materia di pianificazione: Schéma de cohérence territoriale/SCOT, tutti i grandi progetti di rilevanza metropolitana, costituzione di riserve fondiarie, pianificazione di settore, politica della casa - e in particolare per l’edilizia residenziale pubblica -, gestione di tutti i dispositivi contrattuali Stato/comuni in materia di finanziamenti per le politiche sociali urbane, regia e controllo dei grandi progetti in partenariato pubblico/privato di trasformazione urbana che richiederanno una approvazione congiunta Metropoli/Comuni, gestione di tutte le risorse finanziarie allocate dal centro per la realizzazione di edilizia sociale e, infine, pianificazione dei trasporti metropolitani.

Tutte le14 potenziali Métropoles previste dalla legge si sono già costituite come tali senza porre indugi, pur avendo previsto la legge dei percorsi flessibili e a geometria variabile: probabilmente, grazie anche alle cospicue dotazioni finanziarie garantite al nuovo livello di governo. Ma il numero sembra destinato ad ampliarsi: già ne sono previste altre 4 entro il 2018. Da sottolineare poi che tutte le Métropoles sono istituzioni locali a fiscalità propria: una riforma federalista con la quale la nostra legge sulle ectoplasmatiche Città Metropolitane non ha alcun elemento in comune.

La istituzione dei governi metropolitani non è stata che un passaggio (anche se certamente importante) di una più ampia riforma delle amministrazioni locali che ha già ridimensionato il numero delle Regioni (che sono passate da 22 a 13) e che, sempre nel 2015, ha ridisegnato la struttura amministrativa del paese attraverso la Legge n. 991 del 7 agosto 2015 “portant nouvelle organisation territoriale de la République” (NOTRe): una legge che razionalizza e semplifica un sistema amministrativo plurilivello, troppo articolato e frammentato, reso inefficiente dalle molteplici sovrapposizioni di competenze e divoratore di risorse pubbliche, che i francesi hanno sempre definito icasticamente "millefeuille territorial”.

Vengo ora all’ultimo dispositivo normativo importante, approvato nel 2014: si tratta della legge ALUR (Loi pour l'accès au logement et un urbanisme rénové) che affronta il problema del disagio abitativo e della crisi degli alloggi con l’intento di “favoriser l'accès de tous à un logement abordable”. Al Titolo IV (Moderniser les documents de planification et d’urbanisme), la legge inquadra le misure relative alla politica della casa in una prospettiva virtuosa di riforma complessiva del modello di pianificazione urbanistica e territoriale. Infatti, la seconda parte del titolo della legge - “urbanisme rénové”- si traduce nell’articolato non solo nell’obbligo perentorio alla copertura del territorio nazionale con i piani di area vasta intercomunali (SCOT) là dove ancora non sono stati approvati, ma, e questo è l’aspetto più innovativo, nell’obbligo al trasferimento alle associazioni intercomunali delle competenze, oggi comunali, in materia di elaborazione dei piani urbanistici d’uso dei suoli: tutti i piani di destinazione d’uso dei suoli (PLU) dovranno essere dunque sostituiti da PLUi (Plans Locaux d’Urbanisme intercommunaux) poiché ritenuti lo strumento operativo più adeguato per una gestione efficiente delle risorse territoriali.

La legge ALUR ha previsto un trasferimento automatico delle competenze di elaborazione del PLUi alle associazioni intercomunali, secondo una tempistica rigidamente determinata: una caducità dei POS a partire dall’1 gennaio 2016 con il rischio per le amministrazioni locali, se non risultassero a quella data avviati i lavori per la revisione, di essere sottoposte al Règlement national d'urbanisme che limita drasticamente le possibilità di trasformazione urbanistica per le associazioni intercomunali che non abbiano avviato la procedura di PLUi. Contribuisce all’ottimismo sul successo di questa decisione così radicale anche il fatto che le spese relative alla elaborazione e gestione del piano risulterebbero, secondo una valutazione ex ante, letteralmente dimezzate: un incentivo alla cooperazione intercomunale anche su una materia tradizionalmente amministrata con grande spirito di autonomia dai Comuni.

La legge ha inevitabilmente scatenato forti opposizioni, soprattutto da parte dei costruttori per quanto riguarda la prima parte relativa alle misure molto interventiste di regolamentazione del mercato delle abitazioni; ma anche per il PLUi: in questo caso le perplessità sono state avanzate da alcune grandi città, fra cui Lille. Il governo Valls 2, in merito a questo secondo conflitto, ha stabilito che i comuni più grandi (quelli che ospitano il 25% della popolazione urbana del paese) possano opporsi al piano urbanistico intercomunale. Ma la maggior parte dei governi metropolitani sta costruendo, sia pure con tempi dilatati, il consenso dei sindaci (la Métropole de Lyon ha già elaborato i ‘suoi’ PLUi; la Métropole du Grand Paris li sta elaborando: per 12 territoire intercomunali (già istituzionalizzati come Etablissements Publics Territoriaux - EPT) e che hanno una dimensione demografica di almeno 300.000 abitanti).

Il PLUi diventerà dunque, sia pure in tempi più dilatati rispetto a quelli previsti dalla legge, il nuovo piano urbanistico: un piano che vuole costruirsi su un progetto comune alla bonne echelle e che detterà anche le regole in merito alla trasformazione dei suoli dei singoli territori comunali. Obiettivo: garantire una maggiore coerenza delle scelte insediative su un territorio, quello delle associazioni intercomunali (ormai completamente realizzate sul territorio francese dopo la grande riforma del 1999) che costituisce oggi la scala pertinente, perché in esso si svolgono la maggior parte delle relazioni quotidiane e perché in esso si è sviluppato un forte senso di appartenenza della comunità insediata.

Il PLUi, elaborato in concertazione con gli élus dei singoli comuni, avrà un orizzonte di 10-15 anni; disciplinerà aménagement, trasporti, politiche per la casa, ambiente, clima e attività economiche. Come il ‘vecchio’ PLU, il PLUi dovrà essere costituito da: un Rapport de Présentation, dal PADD e dall’OAP; ma, soprattutto, come il precedente PLU, il PLUi costituirà lo strumento urbanistico regolamentare e prescrittivo alla scala locale. Indubbiamente, il PLUi ha costituito un ‘grande balzo in avanti’ nel percorso riformatore dell’urbanistica francese; una sfida impegnativa, ma davvero lungimirante: la co-pianificazione può infatti rafforzare la solidarietà fra comuni; garantire una maggiore coerenza fra il piano di inquadramento strategico (SCOT) e le procedure autorizzative a scala comunale in materia di concessioni edilizie; garantire una gestione più sostenibile delle risorse territoriali limitando la dispersione insediativa e il consumo di suolo, grazie anche alle competenze in materia di trasporti e di tutela paesaggistico-ambientale.

Come concludere queste considerazioni?
Ovviamente, e in primo luogo, sottolineando che in Francia le riforme propendono per garantire una trasformazione insediativa ancorata a regole: buone regole di destinazione d’uso dei suoli, sia pur rivisitate alla scala territoriale pertinente e supportate da visioni e strategie condivise. Non vi è alcuna traccia, né nelle leggi passate né in quelle più recenti, di ‘innovazioni’ quali la perequazione urbanistica (men che meno quella ‘estesa’), il mix funzionale libero, la possibilità per i privati di proporre progetti di trasformazione/rigenerazionee urbana in deroga agli strumenti urbanistici vigenti e affidati a procedure di approvazione semplificate ….e tutte le varie inverosimili affabulazioni e neologismi con i quali di fatto si è premiata la finanza immobiliare negli ultimi decenni nel nostro paese.

Le riforme urbanistiche recenti del Bel Paese nulla condividono con le riforme sperimentate in Francia: in Italia, le riforme legislative si sono tutte indirizzate, se si eccettuano pochissimi casi di eccellenza – che sono già stati, o potrebbero essere nell’immediato futuro, delegittimati al mutare delle maggioranze o, semplicemente, dei governatori regionali, sindaci o assessori di riferimento all’interno di maggioranze stabili – a favore della rendita e della deregolamentazione; non certo della tutela del territorio come bene comune. L’ultima conferma di questa davvero devastante preferenza per il mercato è arrivata con la approvazione di una riforma urbanistica regionale che ha inverato il sogno (e nostro incubo) di Maurizio Lupi: da parte di una Regione, l’Emilia Romagna, stabilmente amministrata dalla ‘sinistra’ e vera testimonial in passato della buona urbanistica.

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