Vezio De Lucia
Subject: Re: urbanisti pubblici
3 febbraio 2003
E' un testo lucido e convincente. Per quanto mi riguarda, non penso di essere presuntuoso se lo trovo "autobiografico", nel senso che riconosco in esso i principi, i valori e i giudizi che hanno informato la mia vita, anche quando sono stato costretto a interrompere il lavoro formale di urbanista pubblico. D'altra parte, proprio come sta scritto nel testo, l'attività urbanistica dovrebbe sempre e comunque essere pubblica. Quest'aspetto spero che possa essere approfondito. Devo confessare che ho letto il documento non senza un po' di invidia, che però, come ci ha insegnato quel grande urbanista pubblico che era Antonio Cederna, diventa facilmente un sentimento positivo: basta trasformarla in ammirazione. Vezio De Lucia
Mariangiola.Gallingani
Rif: urbanisti pubblici
3 febbraio 2003
caro eddy,
il testo sugli urbanisti pubblici è senz'altro condivisibile, tuttavia merita almeno una riflessione di fondo:
la drammatica temperie che si trova a vivere oggi (anche se non da oggi) l'urbanistica pubblica - così come è definita nel testo, nelle sue strette relazioni con ciò che va sotto la definizione di " norma", "garanzia", "legittimità" (ma anche, "legalità"), "principio", "convivenza democratica" - bè, questa situazione di "morte lenta" non riguarda soltanto l'urbanistica, e, soprattutto, non riguarda l'urbanistica in primis.
come è sotto gli occhi di tutti, almeno nel nostro paese, l'oggetto di questo reiterato tentativo di omicidio sono proprio i fondamenti logici che consentono all'urbanistica di essere (o di poter essere ritenuta) ciò che nel testo si dice di lei: esattamente, le norme, il diritto, la legittimità, la stessa nozione di democrazia (vedi la recente vicenda dei giudici e le sue code più o meno discutibili in tema di legittimazione e rappresentanza: conta di più, per seguire le parole di Berlusconi, essere stato eletto dal "popolo", cui costituzionalmente appartiene la sovranità, oppure aver vinto un concorso per un posto di magistrato?).
la malattia mortale, dunque, o almeno le gravi complicazioni che oggi ci troviamo sotto gli occhi, tende secondo me a distruggere prima i fondamenti (non solo dell'urbanistica, ma di molte altre pratiche legate ad un convivere democratico non più ritenuto idoneo), e solo in un secondo tempo, marginalmente, mi verrebbe da dire, ciò che di questi fondamenti vive e da essi trae le ragioni della propria "prassi".
in altre parole, l'urbanistica pubblica potrà (o potrebbe) senz'altro continuare a svolgere i propri compiti di "garanzia" nei confronti del rispetto di ciò che è "legittimo" o costituisce "norma" - così come potrà o potrebbe continuare (o, se proprio vogliamo, "cominciare") a perseguire l'Interesse pubblico.
il fatto è che allo stato sono proprio queste nozioni, interesse pubblico incluso, ad essere oggetto di assalti omicidi, il cui scopo è una violenta e profonda revisione; e alcuni assalti, non da oggi, hanno già avuto successo.
proprio in una situazione come questa, si potrebbe aggiungere, l'urbanista pubblico che si trovi a condividere come "valori" le nozioni oggetto di assalto, come individuo, si trova esposto (o costretto) ad un'esistenza operativa che diviene dapprima solo deprimente, in seguito sempre più schizoide, e che infine, in taluni casi (metaforicamente) sfocia, come è frequente nelle psicosi, nel suicidio:
l'urbanista rinuncia al proprio ruolo, se è fortunato e può permetterselo va in pensione, se non lo è altrettanto cerca occupazioni meno patogene e frustranti, o alle volte combatte e partecipa a gruppi di pressione;
se tuttavia l'urbanista è privo di coerenza etica, la sua vita non diviene affatto "impossibile", e la malattia non conduce alla morte: egli, secondo la migliore tradizione del darwinismo, si adatta - e, naturalmente, continua ad assicurare rispetto della norma e garanzia di legittimità in un contesto in cui norma e legittimità hanno un significato affatto diverso rispetto a quando questa triste storia è cominciata.
e questo proprio perchè l'urbanistica, come il testo riconosce, vanta origini di "disciplina politica" - come tale autonoma da vincoli etici o da finalità sociali proprie, essa stessa legata all'agire politico, intrinsecamente potenziale produttore/sovvertitore di ciò che è "norma".
del resto, non solo l'urbanistica versa in tale situazione; forse si dovrebbe inserire il discorso sugli urbanisti pubblici in quello più ampio di revisione dei fondamenti del diritto...
ciao, mariangiola
Roberto Gianni
Subject: Re: urbanisti pubblici
3 febbraio 2003
Caro Eddy,
dopo una prima sommaria lettura ti anticipo che condivido il documento e l'iniziativa che esso propone. Mi sembra ben delineata l'analisi di questa fase dell'azione urbanistica e corretta la definizione di urbanista pubblico. Farò avere il documento ai miei amici e colleghi perchè se ne possa fare una discussione approfondita. Mi farebbe piacere di essere sugli sviluppi dell'iniziativa. A presto. Roberto Giannì
Sefano Fatarella
Subject: Re: urbanisti pubblici
3 Febbraio 2003
Che dire: il documento lo sento totalmente mio, dalla prima all'ultima parola. Di più: rispecchia fedelissimamente il mio profondo disagio (incazzatura, come più volte ti ho trasmesso) nei riguardi dell'attuale situazione in cui versa lo stato della cosa pubblica e quindi, inevitabilmente, l'urbanistica per sua stessa definizione e funzione così come storicamente si è determinata. Se il documento è il preludio per la costituzione dell'associazione, va benissimo. Lo mando in giro fra tutti i miei colleghi, pubblici urbanisti, regionali e comunali.
Ciao e complimenti all'estensore.
Saverio Orselli
Subject: urbanisti si cresce!
5 febbraio 2003
Caro ingegnere,
forse la mia visione della società è più amara della sua. E forse no. Non credo affatto che l'aver scoperto il tumore delle tangenti significasse automaticamente aver debellato il male. Né tantomeno aver dato vita ad una sorta di rinascimento. In medicina i cicli di chemioterapia non danno alcuna certezza di estirpare il male e così, nella nostra società, l'aver messo in piazza corruzione e corrotti non ha significato naturalmente ritrovare il senso civico perduto. Al contrario, secondo il mio parere, la gente si è sentita come autorizzata a riappropriarsi di quel che pensava le fosse stato sottratto. Con gli stessi mezzi. Ecco perché se il governo avesse proposto un condono edilizio avrebbe incassato più che con tutti gli altri provvedimentucoli che si è inventato. Grazie a Dio, mi vien da dire, non se la sono sentita di arrivare a tanto, anche se in altri campi si erano già spinti oltre.
Oggi il grave problema è che sembra non esistere più il concetto di interesse pubblico. Neppure là dove era fino a ieri il fiore all'occhiello con cui portare avanti i rapporti sociali.
Se in Comuni dalla parte dei cittadini, si eliminano aree per servizi per accontentare privati che vogliono la villetta in centro o la lottizzazione in collina, non è l'urbanistica in crisi ma la politica e i rapporti sociali. Più ancora di bravi urbanisti, nella pubblica amministrazione occorrono amministratori intelligenti, che sappiano prima di tutto mettere in ordine per priorità il bene collettivo - non solo immediato - e i problemi di visibilità allo scopo di poter essere rieletti. Se in un amministratore prevale il proprio interesse elettorale non c'è urbanista che tenga. Salvo che non porti voti.
Oggi la città più che il luogo della convivenza civile e democratica, sembra il luogo ideale per una sorta di Far West dell'ognun per sé, fatto di paura, di diffidenza, di chiusura, di pretesa di poter fare tutto quel che si vuole (soprattutto in auto) e di impedirlo a tutti gli altri. È in questo scenario che devono trovare il proprio ruolo l'urbanistica e gli urbanisti. E il lavoro è semplice e quasi impraticabile: fare capire alla gente che vive spaventata da tutto, che ci sono modi di pensare la città meno terrorizzanti, con luoghi di incontro aperti e ugualmente sicuri, che non siano parcheggi. Manca a questo proposito nelle finalità proposte - o forse non l'ho saputo leggere - un incontro/confronto con la scuola di ogni ordine e grado. Anzi, soprattutto con le classi dei più piccoli. Perché, al di là di quel che ne può pensare la Moratti, se non si inizia con i bambini a scoprire la città in modo diverso, a disegnarla insieme a misura di tutti - e quindi democratica - rimarrà un discorso di livello elevato. Importante certamente, ma non incarnato. Perché il futuro lo costruiranno loro e, almeno in parte, sarà grazie a loro se potremo superare definitivamente l'idea che è meglio essere furbo che intelligente e appassionato.
Un'ultima segnalazione, legata proprio alla realtà infantile: esiste un vasto assortimento di giochi di simulazione di "urbanistica fai da te" al computer, nella quale il bambino si cimenta con la capacità di costruire città in epoche diverse. Giochi spesso guidati da una logica di economia più che di urbanistica, in grado di fornire al giocatore una visione del mondo limitata al puro guadagno, in linea c on il decadentismo diffuso. Non è forse anche questo un possibile campo di azione?
Mi piacciono le provocazioni.
Meravigliosa la citazione d'apertura.
Buon lavoro