La Corte costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi da un ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sulla legittimità costituzionale di due disposizioni della legge urbanistica della Toscana (legge 1/2005), per contrasto con il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (Dlgs 42/2004). La Corte si è pronunciata con la sentenza 20 aprile – 5 maggio 2006, n.182, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di entrambe le disposizioni legislative regionali.
La prima delle suddette disposizioni legislative regionali (il comma 3 dell’articolo 32 della legge toscana 1/2005) prevede che dalla definizione della disciplina dei “beni paesaggistici” operata dagli strumenti di pianificazione regionali, provinciali e comunali, possa derivare la sottrazione di taluni elementi territoriali riconosciuti quali “beni paesaggistici”, o parti di essi, al generale regime di necessaria sottoposizione delle trasformazioni in esse operabili all’ottenimento di speciali autorizzazioni, venendo queste ultime “assorbite” negli ordinari provvedimenti abilitativi delle trasformazioni, finalizzati ad accertare la conformità delle trasformazioni medesime alle regole dettate dalla pianificazione paesaggistica e da quella, sottordinata, a essa adeguata. Tale possibilità è ammessa dal “Codice”, che però la subordina all’essere la pianificazione paesaggistica (ovvero la disciplina paesaggistica dettata dalla pianificazione ordinaria) determinata congiuntamente e concordemente dalle regioni e dalle amministrazioni statali specialisticamente competenti (il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio). Questa condizione non è riportata espressamente dalla legge toscana.
Per il vero, la legge toscana omette anche di chiarire che la possibilità di cui si è detto è prevista, dal “Codice”, solamente con riferimento ai “beni paesaggistici” così qualificati ope legis (e, a mio parere, con riferimento ai “beni paesaggistici” qualificati come tali dalla stessa pianificazione paesaggistica), mentre sono esplicitamente esclusi da tale possibilità i “beni paesaggistici” definiti come tali con specifici provvedimenti amministrativi, evidentemente ritenendosi (per quanto opinabile e discutibile possa essere tale convinzione) che il pregio intrinseco posseduto da questi ultimi beni esiga un controllo puntuale e discrezionale della coerenza con esso delle trasformazioni via via proposte, non bastando alla bisogna la verifica della conformità di tali trasformazioni alle regole definite dalla pianificazione.
Stante la valenza generale che l’opinione della Corte può (deve) assumere, va sottolineato che, nello sviluppare le proprie considerazioni in diritto, la medesima Corte ha assunto che il “Codice” contenga, contestualmente, disposizioni riconducibili sia alla “materia” denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, appartenente alla legislazione esclusiva dello Stato (comma secondo, lettera s., del novellato articolo 117 della Costituzione), sia alle “materie” denominate “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, appartenenti alla legislazione concorrente, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (commi terzo e quarto del medesimo articolo).
Per cui, ha affermato la Corte, relativamente all’insieme delle disposizioni del “Codice”, le regioni “devono sottostare nell'esercizio delle proprie competenze, cooperando eventualmente a una maggior tutela del paesaggio, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato”. Giacché “la tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali è riservata allo Stato […], mentre la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente […]: da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, e, dall'altro, le leggi regionali, emanate nell'esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato”. Cosicché, ha concluso sul punto la Corte, “appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l'intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse ambientale”.
E ha ulteriormente specificato che “in relazione alla pianificazione paesaggistica, lo Stato, nella Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, pone una disciplina dettagliata, cui le regioni devono conformarsi, provvedendo o attraverso tipici piani paesaggistici, o attraverso piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici […]. L'opzione per questo secondo strumento […] comporta che, nella disciplina delle trasformazioni – com'è negli scopi del piano urbanistico –, la tutela del paesaggio assurga a valore primario, cui deve sottostare qualsiasi altro interesse interferente […]”.
La seconda delle disposizioni legislative regionali delle quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale (il comma 3 dell’articolo 34 della legge toscana 1/2005) prevede semplicemente che l’operazione di cui dianzi si è trattato, di sottrazione di taluni elementi territoriali riconosciuti quali “beni paesaggistici”, o parti di essi, al generale regime di necessaria sottoposizione delle trasformazioni in esse operabili all’ottenimento di speciali autorizzazioni, venendo queste ultime “assorbite” negli ordinari provvedimenti abilitativi delle trasformazioni, trovi la sua sede puntualmente individuativa e precettiva nella componente denominata (nella legge toscana 1/2005) “statuto del territorio” dei piani definiti “strutturali” dei comuni (seppure in conformità a quanto previsto dal “piano di indirizzo territoriale” regionale e dal “piano territoriale di coordinamento” provinciale). Ha sostenuto la Corte che, ciò facendo, la disposizione legislativa regionale sottrae “la disciplina paesaggistica dal contenuto del piano, sia esso tipicamente paesaggistico, o anche urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, che deve essere unitario, globale, e quindi regionale, e al quale deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori”.
Ha argomentato infatti la Corte che l’articolo 135 del “Codice” è “tassativo, relativamente al piano paesaggistico, nell'affidarne la competenza alla regione”, che il successivo articolo 143 elenca dettagliatamente i contenuti dello stesso piano e che l'articolo 145 definisce i rapporti con gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province “secondo un modello rigidamente gerarchico (immediata prevalenza del primo, obbligo di adeguamento dei secondi con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative che risultino utili ad assicurare l'ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani)”.
E ha concluso che la legislazione regionale non può porsi “in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela non derogabile”, stante che, come già si è fatto presente, secondo la dottrina della Corte il “Codice” contiene, contestualmente, disposizioni riconducibili sia alla “materia” denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, appartenente alla legislazione esclusiva dello Stato, sia alle “materie” denominate “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, appartenenti alla legislazione concorrente, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Infatti, ha precisato, pur avendo la giurisprudenza costituzionale “ammesso che le funzioni amministrative, inizialmente conferite alla Regione, possano essere attribuite agli enti locali, […] è l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali”.
Vorrei soggiungere che le argomentazioni della Corte costituzionale hanno una valenza che va ben oltre la specifica disposizione, dianzi puntualmente citata, della legge toscana, dichiarata costituzionalmente illegittima. Quantomeno, la collocazione delle disposizioni del “Codice” nell’assetto delle competenze legislative definito dal novellato articolo 117 della Costituzione, e la ricostruzione dei contenuti fondamentali di tali disposizioni (dei quali implicitamente, e talvolta esplicitamente, si riconosce la perfetta aderenza al dettato costituzionale), fanno da un lato giustizia di ogni tesi sulla “equiordinazione” degli strumenti di pianificazione di competenza dei diversi livelli istituzionali, e mettono da un altro lato in crisi gravissima tutte quelle legislazioni regionali che hanno escluso, del tutto o quasi, la possibilità di avere anche efficacie immediatamente vincolanti, e direttamente operative, sia per gli strumenti di pianificazione sovraccomunali che (come per l’appunto nel caso della Regione Toscana) per la “figura pianificatoria” comunale “di primo livello”, di norma denominata “piano strutturale”.
Più generalmente, il “Codice” (soprattutto come novellato per effetto del Dlgs 157/2006) e la dottrina della Corte costituzionale ormai consolidatasi circa lo stesso, pongono a tutte le regioni l’esigenza di una vasta riconsiderazione della propria legislazione afferente alla pianificazione territoriale e urbanistica e di quella (ove e per quanto sia distinta dalla prima) afferente alla tutela dei “beni paesaggistici” (e, in senso lato, dei “beni culturali”), nonché di una profonda (e presumibilmente immediata) rimodulazione di molti propri regolamenti, atti, comportamenti amministrativi riguardanti la gestione delle misure di tutela.