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Luigi Scano
19980612 Le città metropolitane nelle dinamiche del quadro legislativo
8 Luglio 2011
Scritti di Gigi Scano
In relazione al dibattito in corso inseriamo nell’archivio l’intervento svolto al seminario del Centro Universitario Europeo per i Beni culturali, Ravello, 12 e 13 giugno 1998

1. La revisione delle circoscrizioni provinciali

e la delimitazione degli ambiti di competenza

delle città metropolitane nell'originaria legge 142/1990.

Nel contesto della chiara scelta, operata dalla legge 8 giugno 1990, n.142, di configurare un sistema in cui i livelli istituzionali sub-statuali di "governo del territorio" siano tre e non più di tre, si collocava l'"indirizzo di favore" (quantomeno) espresso dalla medesima legge 142/1990 per una revisione delle circoscrizioni territoriali delle province (inequivocabilmente individuate come gli "enti intermedi", subregionali e sovracomunali) che rendesse, al massimo del possibile, efficace ed efficiente l'esercizio delle funzioni per esse previste, funzioni che, in larghissima parte, sono riconducibili al "governo" degli assetti e delle trasformazioni territoriali.

Si vuole rammentare, in proposito, non soltanto la prevista delimitazione degli ambiti di competenza delle costituende città metropolitane, a proposito dei quali è detto che devono comprendere, oltre ad uno dei "grandi comuni" nominativamente indicati, "gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali ed alle caratteristiche territoriali" .

Si vuole anche rammentare che l'articolo 16 della legge 142/1990 si intitola, significativamente, "circondari e revisione delle circoscrizioni provinciali", e che tra l'altro dispone che "per la revisione delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province" si debba tenere conto di alcuni "criteri ed indirizzi", tra i quali, fondamentali, quello per cui "ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente", e quello per cui "ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività produttive esistenti e possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale" (mentre soltanto "di norma la popolazione delle province risultanti dalle modificazioni territoriali non deve essere inferiore a 200.000 abitanti").

In buona sostanza, la legge 142/1990 "stimolava" (e con riferimento ad alcune aree del Paese "obbligava") a procedere ad una verifica della rispondenza delle attuali circoscrizioni provinciali agli ambiti territoriali che sia congruo considerare di competenza di enti territoriali, le province "ordinarie" o (relativamente alle predette aree del Paese) "metropolitane", la latitudine e le caratteristiche delle cui funzioni, quand'anche dovessero essere puntualmente specificate dalla legislazione regionale, erano già configurate dalla stessa legge 142/1990.

In estrema sintesi: poiché le funzioni sia delle province "ordinarie" che delle province "metropolitane" sono riconducibili alla duplice finalità di tutelare l'"integrità fisica" e l'"identità culturale" del territorio con riferimento ad ambiti subregionali (ma sovracomunali) e di perseguire (mediante la pianificazione, la programmazione e l'approntamento dei "servizi reali") lo "sviluppo sostenibile" in tali ambiti, sarebbe necessario che le predette funzioni si rivolgessero a contesti territoriali l'unitarietà della cui configurazione risulti sia dalle dinamiche naturali, e da quelle antropiche storicamente prodottesi, sia dall'elevata intensità interattiva delle odierne dinamiche economiche e sociali. Per cui, al fine di perimetrare gli ambiti territoriali di competenza sia delle province "ordinarie" che delle città metropolitane, sarebbe indispensabile ricorrere ad incroci tra criteri "geomorfologici" e "storici" e parametri "socio-economici", quali quelli volti a misurare i livelli di integrazione casa-lavoro e casa-servizi.

In tale logica avrebbero dovuto collocarsi le "peculiari" operazioni (la cui effettuazione il capo VI della legge 142/1990 attribuiva in prima istanza alle regioni interessate) di definizione dell'esatta perimetrazione degli ambiti territoriali subregionali, individuati in via di prima approssimazione mediante l'indicazione di dieci esistenti comuni (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, ed eventualmente Cagliari), che il legislatore nazionale aveva ritenuto avessero caratteristiche tali per cui risultava opportuno, congruo e necessario fossero governati unitariamente da enti territoriali (province che assumessero la denominazione di città metropolitane e peculiari competenze) aventi contemporaneamente le funzioni tipicamente provinciali ad alcune delle funzioni tipicamente comunali.

Tale peculiarità delle competenze delle città metropolitane escludeva che gli ambiti territoriali relativi potessero avere estensione incoerente da un lato con l'ottimale esercizio delle funzioni tipicamente provinciali, dall'altro con il praticabile esercizio di funzioni tipicamente comunali. In concreto, escludeva sotto il primo profilo che si riducessero all'esistente comune capoluogo con l'aggiunta di qualche comune "di cintura", sotto il secondo profilo che avessero estensione omologabile a quella di esistenti regioni.

Mentre, è più che opportuno sottolinearlo, non escludeva affatto che una o più delle regioni interessate potessero ritenere congrua la coincidenza tra "area metropolitana" e circoscrizione amministrativa dell'esistente provincia. In tal caso, la regione avrebbe potuto, sentiti i comuni interessati (ma non necessariamente avendone avuto pareri favorevoli), con deliberazione del consiglio, proporre al Governo di emanare un decreto legislativo di costituzione della città metropolitana . Per il vero, quest'ultimo provvedimento, nella fattispecie ora ipotizzata, avrebbe potuto non essere affatto previsto dalla legge, potendo ritenersi direttamente operativo il chiaro disposto per cui "nell'area metropolitana la provincia si configura come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria ed assume la denominazione di città metropolitana" .

Ogniqualvolta, invece, risultasse incongruo riconoscere come ambito territoriale di competenza di una città metropolitana esattamente quello dell'esistente provincia, si sarebbe potuto procedere, per quanto direttamente ne conseguisse, a modificare l'assetto delle circoscrizioni provinciali, sia trasferendo territori da una provincia ad un'altra che istituendo nuove province .

Ma tali operazioni non avrebbero potuto condurre a configurare ambiti territoriali di province "ordinarie" incongrui con l'esercizio delle funzioni che la legge sanciva di loro spettanza, come sarebbe stato nel caso di accoglimento di alcune bizzarre ipotesi avanzate negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore della legge 142/1990, tra le quali meritano segnalazione quelle delle "province ciambella" disposte attorno a province erigende in città metropolitane. Al contrario, anche nella ridefinizione delle circoscrizioni delle province "ordinarie", e peculiarmente nell'istituzione di province in connessione con la perimetrazione degli ambiti di competenza di città metropolitane, si sarebbe dovuto tassativamente osservare i criteri dianzi esposti. Come del resto esplicitamente stabilito dal comma 3 dell'articolo 63 della legge 142/1990, ai sensi del quale i decreti legislativi delegati al Governo, anche per la revisione delle circoscrizioni provinciali e/o per l'istituzione di nuove province in conseguenza delle delimitazioni degli ambiti di competenza delle città metropolitane, dovevano essere emanati "con l'osservanza dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 16" della medesima legge 142/1990.

Laddove, per l'appunto, risultasse incongruo riconoscere come ambito di competenza di una città metropolitana esattamente quello dell'esistente provincia, e si dovesse conseguentemente modificare l'assetto delle circoscrizioni provinciali, si sarebbero posti problemi piuttosto rilevanti, peraltro brillantemente risolti dalla legge 142/1990.

E' bene rammentare che, a norma del primo comma dell'articolo 133 della Costituzione, "il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove province nell'ambito di una regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei comuni, sentita la stessa regione".

Ed altresì che, a norma del già citato comma 3 dell'articolo 63 della legge 142/1990, i decreti legislativi delegati al Governo dal comma 1 del medesimo articolo (decreti legislativi che costituiscono "leggi della Repubblica"), devono essere emanati "con l'osservanza dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 16" della medesima legge.

Ed infine che tra tali "principi e criteri direttivi" v'è anche quello per cui "l'iniziativa dei comuni, di cui all'articolo 133 della Costituzione, deve conseguire l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati" .

L'impedimento radicale che potrebbe derivare dall'inerzia dei comuni interessati a trasferimenti da una ad un'altra circoscrizione provinciale, od alla istituzione di nuove province, avrebbe potuto essere ovviato grazie al comma 3 dell'articolo 16 della legge 142/1990, per cui "ai sensi del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione le regioni emanano norme intese a promuovere e coordinare l'iniziativa dei comuni [...]". Tali "norme" regionali pare poco discutibile debbano intendersi come "norme legislative". Quanto all'"area interessata" di cui parla il comma 2 dell'articolo 16 della legge 142/1990 si deve ritenere essere l'area formata (soltanto) dai comuni che dovrebbero rientrare nella circoscrizione della provincia di nuova istituzione, oppure dai comuni che dovrebbero trasferirsi da una ad un'altra circoscrizione provinciale (per cui ove tale trasferimento dovesse riguardare un singolo comune sarebbe sufficiente la sua pronuncia) . Naturalmente, affinché potesse realizzarsi, ed essere verificata, la condizione voluta dalla legge 142/1990, cioè il conseguimento dell'adesione ad una proposta "della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa", tutti i comuni interessati avrebbero dovuto pronunciarsi su di una, precisa, identica proposta, quand'anche formulata dalla regione territorialmente competente nell'esercizio della riconosciutale funzione di promozione e di coordinamento.

Peraltro, l'ipotesi principale e "normale" di mutamento delle circoscrizioni provinciali e di istituzione di nuove province non avrebbe potuto non restare quella della autonoma iniziativa comunale.

Per cui anche il risultato di promuovere l'istituzione di una "nuova provincia" che assumesse la denominazione di città metropolitana avrebbe potuto essere raggiunto, a seguito di iniziativa di uno dei comuni interessati, al verificarsi della ripetutamente indicata condizione.

Successivamente, la proposta che fosse stata avvalorata nei termini previsti (cioè che avesse ottenuto "l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati") avrebbe dovuto conseguire il parere del Consiglio regionale, a norma del primo comma dell'articolo 133 della Costituzione. In tale occasione, al Consiglio regionale avrebbe dovuto essere richiesto di contestualmente pronunciarsi a favore del riconoscimento della "nuova provincia" quale città metropolitana.

2. Inadempienze e nuovi provvedimenti legislativi

[omissis]

3. Il riordino delle circoscrizioni comunali

[omissis]

4. Le funzioni delle province e delle città metropolitane.

Il comma 1 dell'articolo 19 della legge 142/1990 dispone che "la legge regionale, nel ripartire tra i comuni e la città metropolitana le funzioni amministrative, attribuisce alla città metropolitana, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale e debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell'area metropolitana, nell'ambito delle seguenti materie:

a) pianificazione territoriale dell'area metropolitana;

b) viabilità, traffico e trasporti;

c) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell'ambiente;

d) difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti;

e) raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche;

f) servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale;

g) servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano".

Sottolineato come competa alla "legge regionale" ripartire le funzioni amministrative fra i comuni e la città metropolitana, occorre innanzitutto chiarire come non sia affatto una "bizzarria", od una "lacuna", della legge 142/1990, la mancata indicazione di un termine per tale adempimento regionale, giacché, con buona pace degli estensori della Circolare 7 giugno 1990, n. 17102/127/1, del Ministro dell'interno, non è affatto vero che l'adempimento regionale di cui qui si ragiona sia "preliminare ed indispensabile per la emanazione dei decreti legislativi delegati", e men che meno che "la esecutività della ripartizione delle funzioni [...] divenga operante con il recepimento di quanto disposto dalla legge regionale nel suindicato atto normativo statale".

Quanto stabilito dal comma 1 dell'articolo 19 della legge 142/1990 non è, infatti, che una peculiare fattispecie di quell'attività legislativa alla quale le regioni sono chiamate dai primi due commi dell'articolo 3 della stessa legge, a norma dei quali "le regioni organizzano le funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province", conformandosi ai "principi" della legge nell'identificare "gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio".

Del resto, il comma 3 dell'articolo 19 della legge 142/1990, per cui "ai comuni dell'area metropolitana restano le funzioni non attribuite espressamente alla città metropolitana", non è che un ribadimento ed una specificazione del comma 1 dell'articolo 9 della stessa legge, per cui "spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardino la popolazione ed il territorio comunale [...] salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze".

Si tenga inoltre presente che i "settori", indicati dal primo comma dell'articolo 14 della legge 142/1990, nei quali "spettano alla provincia le funzioni amministrative che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale", sono agevolmente riconducibili a "materie" di competenza regionale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, e che i predetti "settori" quasi coincidono con le "materie" elencate al comma 1 dell'articolo 19 della stessa legge 142/1990.

Per converso, sarebbe ben "bizzarro" se, infrangendo un criterio generale assunto dalla legge 142/1990 (che in ciò si differenzia profondamente dalla previgente legislazione) le funzioni amministrative delle città metropolitane fossero minuziosamente indicate (ed irrigidite) in provvedimenti legislativi statali.

Come sarebbe ben "bizzarro" se le regioni definissero quali funzioni normalmente comunali debbano competere, sostanzialmente nell'ambito dei "settori" in cui normalmente vengono identificate le funzioni provinciali, a quelle province che assumono la peculiare denominazione di città metropolitane, in aggiunta alle funzioni che debbono competere ad esse come alle province "ordinarie", prima di avere compiutamente (salve, come è ovvio, successive modificazioni) definito le funzioni di queste ultime.

Si ritiene, pertanto, assolutamente legittimo, ed assai ragionevole, e molto opportuno, che la definizione delle precipue funzioni delle città metropolitane, da parte delle leggi regionali, proceda nel contesto di quella complessiva riconsiderazione della loro legislazione afferente le diverse "materie" che palesemente le regioni debbono condurre per adeguarla ai "principi" della legge 142/1990.

Senza che alla compiuta definizione di tali funzioni debbono essere subordinati, né logicamente né temporalmente, la delimitazione degli ambiti di competenza delle città metropolitane, la susseguente "costituzione [...] delle autorità metropolitane", il riordino delle circoscrizioni territoriali dei comuni interessati.

Ad ogni buon conto, a norma dell'articolo in esame, la città metropolitana ha due ordini di funzioni:

- quelle proprie di ogni altra provincia;

- quelle che la legge regionale riterrà di attribuirle sottraendole ai comuni ricadenti nel suo ambito di competenza, esclusivamente all'interno delle "materie" elencate (e l'elencazione pare dover essere tassativa).

Come s'è già rilevato, le predette "materie" quasi coincidono con quelle, elencate dal comma 1 del precedente articolo 14, nelle quali spettano alle province "le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale", con alcune differenze alle quali non pare si debba attribuire consistente rilevanza.

Quanto ai criteri per discernere, nell'ambito delle elencate materie, le funzioni amministrative da attribuire alle città metropolitane da quelle da lasciare residuare ai comuni rientranti nel loro ambito territoriale, non sembra che quello del "precipuo carattere sovracomunale" delle stesse sia di soverchio aiuto, stante che è difficile apprezzarne la differenza dall'"interesse provinciale" e dall'inerire "vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale", indicato come criterio ordinario per individuare le funzioni amministrative di competenza delle province.

Forse è più utile il criterio per cui le funzioni amministrative da attribuire alle città metropolitane "debbono, per ragioni di economicità e di efficienza, essere svolte in forma coordinata nell'area metropolitana". Ciò considerando che, al di fuori delle aree alle quali siano preposte città metropolitane, parrebbe che lo svolgimento in forma coordinata di funzioni amministrative di competenza comunale debba avvenire solamente attraverso le forme di cui al Capo VIII della legge 142/1990.

Resta da capire se ed in che misura i predetti criteri siano funzionali a disegnare le precipue funzioni della città metropolitana (non coincidenti con quelle ordinariamente provinciali in quanto assorbenti funzioni ordinariamente comunali) in materia di "pianificazione territoriale".

A tal fine, sembra innanzitutto opportuno ritornare alle caratteristiche che si ritiene posseggano, in termini distintivi, alcuni ambiti territoriali subregionali, tali da legittimarne l'individuazione quali ambiti di competenza di province che assumono una peculiare denominazione, e peculiari funzioni.

In estrema sintesi, si può asserire che i predetti ambiti sono connotati, oltre che da una particolare ricchezza e complessità di funzioni, e da una cospicua presenza di funzioni "rare", da una straordinariamente elevata distribuzione nell'intero ambito (o nella sua più gran parte) di funzioni fortemente integrate e complementari, cosicché, tra l'altro, in essi la mobilità giornaliera raggiunge livelli di peculiare incidenza e densità (non comprimibili sotto determinate soglie, quand'anche se ne persegua e realizzi l'eliminazione delle componenti "patologiche").

Per converso, ai soggetti istituzionali competenti a "governare" tali ambiti territoriali spetta, assieme, di mantenere, e tendenzialmente di arricchire, la complessità funzionale, e particolarmente la dotazione di funzioni "rare" (anche come componente strategica della competizione internazionale), e di conservare le "qualità", o di conferire "qualità" (fisiche, formali, funzionali) alla totalità degli ambiti, per ragioni sia di equità redistributiva tra tutti i loro cittadini/contribuenti, sia di supporto alle "funzioni eccellenti".

Ne deriva che correlativamente alla peculiare quantità dei fenomeni suscettibili di avere rilevanza per la totalità di ognuno degli ambiti di cui si tratta, deve essere particolarmente incisiva la competenza decisionale (e di intervento) degli enti territoriali ad essi preposti. Cosicché alle città metropolitane debbono essere riconosciute competenze di determinazione degli "usi del suolo" ben più estese e pregnanti di quelle da attribuirsi alle province ordinarie, quand'anche non necessariamente da esercitarsi con la stessa pervasività in ogni parte (e relativamente ad ogni aspetto) dell'ambito di competenza.

In secondo luogo sembra opportuno muovere dal punto di vista dell'ottimizzazione delle attività e delle tecniche pianificatorie, per riflettere sulle caratteristiche che dovrebbe assumere la specifica pianificazione territoriale di competenza delle città metropolitane.

La definizione di tali caratteristiche dovrebbe effettuarsi in un contesto di superamento sia della dicotomia tra piani esclusivamente "strutturali" e piani in ogni loro parte "immediatamente operativi", sia del metodo della pianificazione "a cascata", nel quale ogni atto pianificatorio interviene a disciplinare ogni "oggetto territoriale", in termini di successive specificazioni prescrittive sempre più dettagliate in ragione del ridursi dell'estensione degli ambiti interessati.

E si dovrebbe altresì fare tesoro degli stimoli derivabili dagli esiti positivi, così come dai limiti e dai fallimenti, delle esperienze condotte in altri Paesi. In particolare si dovrebbe considerare che, per esempio nell'esperienza inglese, assai prima dell'eliminazione tatcheriana del livello metropolitano, l'attribuzione a tale livello solamente della componente "strutturale" della pianificazione, ed il riconoscimento alle municipalità delle competenze relative alle concrete trasformazioni urbanistiche, aveva prodotto una drammatica perdita di visione complessiva della città costruita e di controllo ed indirizzo delle sue trasformazioni.

Si potrebbe pertanto, in via di prima approssimazione, stabilire che la pianificazione di competenza delle città metropolitane tenga unitariamente luogo sia della pianificazione ordinariamente provinciale che di quella ordinariamente comunale (ed abbia, di norma, contenuti prescrittivi immediatamente vincolanti ed operativi, e quindi adeguatamente specificata formulazione) per quanto attiene alla più gran parte delle componenti territoriali da assoggettare a disciplina conservativa delle caratteristiche esistenti, nonché per quanto attiene le infrastrutture, le attrezzature, gli impianti di interesse pubblico e di rilevanza "metropolitana" (cioè sovracomunale) sotto il profilo dell'ambito territoriale di riferimento e/o dell'incidenza degli effetti sull'assetto fisico e/o relazionale.

Quanto agli ulteriori contenuti della pianificazione ordinariamente comunale, essi dovrebbero essere attribuiti alla pianificazione "metropolitana" relativamente all'insieme dei territori dei comuni, rientranti nell'ambito di competenza della città metropolitana, in cui siano riconoscibili caratteri di continuità insediativa urbana, restando invece appannaggio della pianificazione comunale relativamente ai territori dei comuni non aventi tali caratteri. Spettando di norma ai comuni la formazione degli strumenti di pianificazione integrativa, salvo che si tratti di garantire l'attuazione di specifiche previsioni della pianificazione "metropolitana" ovvero di disciplinare ambiti unitari interessanti il territorio di più di un comune.

E' appena il caso di fare presente che, ove venisse approvato nel testo varato dal Senato il disegno di legge, più volte ricordato, presentemente all'esame della Camera dei Deputati, tutte le riflessioni sino ad ora condotte in merito alle funzioni delle città metropolitane non avrebbero ragion d'essere, giacché non sarebbe riproposto l'articolo 19 della legge 142/1990, e ci si limiterebbe da un lato ad asserire che "la città metropolitana [...] acquisisce le funzioni della provincia", da un altro ad affermare che le funzioni della città metropolitana sono indicate nel relativo statuto, adottato dall'"assemblea" dei rappresentanti degli "enti locali territoriali interessati".

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