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Luigi Scano
1999. I beni culturali e ambientali
20 Giugno 2007
Scritti di Gigi Scano
Prime note pubblica quaderni di approfondimento tematico (Prime note zoom). L’ultimo riguarda “I beni culturali e ambientali”, e contiene una serie di articoli di commento del recente decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490. Inseriamo l’articolo dedicato ai ”Piani paesistici negli articoli 149 e 150 del Testo unico"

1. Il comma 1 dell’articolo 149 (“Piani territoriali paesistici”) del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n.352”, dispone che:

Le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il territorio includente i beni ambientali indicati all'articolo 146 mediante la redazione di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali.

Come annotato nell’epigrafe dell’articolo, la disposizione parafrasa quella del comma 1 dell’articolo 1bis del decreto legge 17 giugno 1985, n.312, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n.431. Quest’ultima norma, infatti, stabiliva che:

Con riferimento ai beni e alle aree elencati dal quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dal precedente articolo 1, le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali da approvarsi entro il 31 dicembre 1986.

I beni e le aree elencati dal quinto comma dell'articolo 82 del D.P.R. 616/1977, come integrato dall’articolo 1 del decreto legge 312/1985, coincidono con i beni ambientali indicati all'articolo 146 del Testo unico. Si tratta, cioè, degli elementi territoriali che la prima delle due disposizioni ora citate aveva dichiarato “sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497”, e che l’articolo 146 del Testo unico dichiara, “in ragione del loro interesse paesaggistico”, sottoposti alle disposizioni del Titolo II (“Beni paesaggistici e ambientali”) del medesimo Testo unico. Essi sono:

a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;

b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia anche per i territori elevati sui laghi;

c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1953, n. 1775, e le relative sponde o piede dogli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;

d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;

e) i ghiacciai e i circhi glaciali;

f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;

g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;

h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;

i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;

l) i vulcani;

m) le zone di interesse archeologico. [1]

La disciplina del territorio includente i beni ambientali di cui s’è detto deve essere dettata dalle regioni mediante piani territoriali paesistici oppure mediante piani urbanistico-territoriali che, secondo la disposizione del Testo unico, devono avere “le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali”: non sembra di ravvisare differenze rispetto al disposto dell’articolo 1bis del decreto legge 312/1985, secondo il quale dovevano avere “specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali”.

Non è stabilito, nel Testo unico, diversamente che nel decreto legge 312/1985, un termine per l’adempimento regionale. Del resto, anche nella logica del decreto legge 312/1985 (e della legge di conversione 431/1985), il termine fissato, pure se ritenuto perentorio in quanto munito di effetti sanzionatori dell’inadempimento (o reputato tale), una volta decorso inutilmente, non avrebbe certamente fatto venire meno il dovere/diritto delle regioni a disciplinare (almeno) i beni ambientali di cui s’è detto mediante i previsti strumenti di pianificazione. D’altro canto, si era da più parti notato che, con l'eccezione (almeno secondo i ritmi dei tempi storici) delle montagne per la parte eccedente 1.600, o i 1.200, metri sul livello del mare, tutti i beni appartenenti alle categorie elencate possono subire (e di fatto frequentemente subiscono) variazioni dinamiche nel tempo, quanto a conformazione ed estensione. Per cui assai opportunamente il Testo unico, non ribadendo un termine per l’adempimento regionale, ha indirettamente posto a carico delle regioni l’obbligo di provvedere costantemente, cioè con i necessari aggiornamenti e adeguamenti, a disciplinare mediante la pianificazione i beni ambientali elencati, con ciò perseguendo quella “riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale” che, secondo la sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 1986, n.151, costituisce l’essenziale volontà, e la valenza di “grande riforma” della legge 431/19985.

2. Ad ogni buon conto, nella disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 149 del Testo unico (come già in quella di cui al comma 1 dell’articolo 1 bis della legge 431/1985) appare innanzitutto evidente la più piena presa di coscienza del fatto che può aversi efficace tutela dei valori culturali, paesaggistici e ambientali, riconoscibili in determinati elementi (o contesti di elementi) territoriali, solamente attraverso una pianificata definizione dei modi d'uso e delle trasformazioni in essi ammissibili, le une e gli altri dovendo essere coerenti con le loro specifiche caratteristiche essenziali ed intrinseche, cioè con le "regole" dedotte da tali caratteristiche, al fine di non eccedere le capacità di fruizione e di modificazione tipiche e peculiari dell'elemento, o contesto di elementi, territoriale (o di omogenee loro categorie). Definizione pianificata, per l'appunto, cioè sottratta alla causale successione nel tempo di progetti di intervento ineluttabilmente angusti, in quanto parziali, nonché di altrettanto anguste, in quanto frammentarie, loro autorizzazioni.

Per il vero, una tale consapevolezza era già sostanzialmente presente nella relazione con la quale il Ministro dell’educazione nazionale, Giuseppe Bottai, aveva presentato alla Camera, il 15 giugno 1939, il disegno di legge destinato a dare luogo alla legge 29 giugno 1939, n.1497 [2]. Ed era centrale nelle elaborazioni delle commissioni che avevano operato, lungo quasi tutto l'arco degli anni '60, al fine di proporre una riforma dei sistemi di tutela dei beni culturali. [3]

Tale raggiunta piena consapevolezza, peraltro, era apparsa, all’indomani dell’entrata in vigore della legge 431/1985, contraddittoria con la prescrizione che a tale definizione pianificata fosse fatto obbligo di pervenire solamente con riferimento ai luoghi ed ai beni vincolati (ai sensi della legge 1497/1939) ope legis, e non anche a quelli vincolati con specifici provvedimenti amministrativi. In effetti, tale contraddittorietà pareva la risultanza di un difetto di coordinamento, anche alla luce delle disposizioni di cui ai successivi articoli 1 ter e l quinquies della medesima 431/1985 per cui le aree sottoposte ad “immodificabilità” transitoria (sino all’entrata in vigore dei prescritti strumenti di pianificazione) erano individuabili, oltre che tra i luoghi vincolati ope legis, anche tra quelli vincolati con specifico provvedimento amministrativo.

Sta di fatto che la discrasia ora lamentata sussiste (e non può non sussistere) nell’articolo 149 del Testo unico, il cui comma 2 precisa che “la pianificazione paesistica prescritta al comma 1 è facoltativa per le vaste località indicate alle lettere c) e d) dell’articolo 139”, e cioè per “le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”, nonché per “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”, vincolati, e vincolabili, con i procedimenti disciplinati dagli articoli da 140 a 143 del medesimo Testo unico.

3. I piani territoriali paesistici erano previsti e regolati dall'articolo 5 della legge 1497/1939 e dagli articoli 23 e 24 del relativo regolamento approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n.1357.

Successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8, con il primo comma dell'articolo1, ha trasferito alle Regioni a statuto ordinario “le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di urbanistica”, concernenti, tra l'altro, l'approvazione dei piani territoriali di coordinamento, dei piani regolatori generali e delle relative varianti, dei piani particolareggiati e delle relative varianti, dei regolamenti edilizi comunali e dei programmi di fabbricazione, la concessione del nulla osta all'autorizzazione comunale dei piani di lottizzazione, nonché “ogni altra funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato” nella materia dell'urbanistica. Pur in presenza di una formulazione generale e onnicomprensiva quale quella ora riportata, il medesimo articolo1 del D.P.R. 8/1972 ha stabilito, con il successivo quarto comma, che “il trasferimento predetto riguarda altresì la redazione e la approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all'articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497”. La formulazione della norma rendeva esplicito come non venisse affatto considerata rientrante nell'"urbanistica" la finalità cui è preordinata la redazione e approvazione dei piani territoriali paesistici, e come, al contrario, il trasferimento delle relative funzioni venisse disposto solamente, come affermerà la Corte costituzionale, “a causa della inscindibilità esistente tra l'attività urbanistica e la tutela delle bellezze naturali”. [4]

Per effetto del trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative concernenti la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici è stata comunque conferita alle regioni medesime la possibilità di legiferare in merito sia alle caratteristiche (contenuti tipici ed elementi costitutivi) di tali "figure pianificatorie", sia agli aspetti procedimentali inerenti la loro redazione, adozione, pubblicazione, approvazione, sia infine ai livelli istituzionali e/o agli organi competenti per le fasi dell'accennato procedimento.

Non tutte le regioni hanno peraltro utilizzato la sopra descritta possibilità di legiferare, sicché per alcune di esse adempiere alla disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 149 del Testo unico (come, prima, a quella di cui al comma 1 dell’articolo 1 bis della legge 431/1985) mediante il ricorso a piani territoriali paesistici implicherebbe il dovere fare riferimento alle disposizioni della legge 1497/1939 e del regio decreto 1357/1940 (il quale ultimo il Testo unico, con il comma 2 dell’articolo 161, dispone resti in vigore fino all’emanazione di un nuovo regolamento) vuoi per gli aspetti contenutistici, vuoi per quelli procedimentali, vuoi per entrambi. Il fatto è che le prescrizioni di cui all'articolo 23 del regio decreto 1357/1940 attinenti i contenuti tipici dei piani territoriali paesistici appaiono assolutamente inadeguate all’obiettivo di redigere piani che disciplinino, con finalità di tutela, le vastissime componenti territoriali vincolate ope legis, che le disposizioni procedimentali di cui all'articolo 24 del medesimo regio decreto appaiono totalmente non pertinenti, e che le disposizioni procedimentali di cui all’articolo 5 della legge 1497/1939 (non granché pertinenti, per il vero) non possono trovare applicazione stante l’integrale abrogazione, disposta dallo stesso Testo unico, della legge da ultimo citata.

Per converso, dall’intervenuta abrogazione della legge 1497/1939 pare doversi far discendere anche la conseguenza della caducazione della limitazione (precedentemente fatta derivare da buona parte della dottrina, e dalla giurisprudenza prevalente, dalla lettera del primo comma dell’articolo 5 della legge) della facoltà di formare piani territoriali paesistici alle “vaste località” di cui s’è detto dianzi, nonché, grazie all’entrata in vigore della legge 431/1985, ai luoghi ed ai beni vincolati ope legis.

4. In buona sostanza, il comma 1 dell’articolo 149 del Testo unico, (come già il primo comma dell'articolo 1 bis della legge 431/1985) si limita a sancire l'obbligo, per le regioni, di provvedere a regolamentare adeguatamente. con strumenti di piano, le trasformazioni e gli usi dei luoghi e dei beni vincolati ope legis, e la facoltà di procedere analogamente con riferimento ad ogni altro elemento territoriale riconosciuto meritevole di tutela per ragioni di interesse culturale e ambientale, la qual cosa può bene ritenersi principio fondamentale della legislazione dello Stato, anche in riferimento al dettato del secondo comma dell'articolo 9 della Costituzione.

Fermi restando il predetto obbligo, e la predetta facoltà, è amplissima la potestà regionale di individuazione e scelta dei modi e delle forme in cui darvi seguito, purché non siano sostanzialmente "elusivi" dell'obbligo medesimo, in quanto non coerenti con le finalità per cui l'obbligo è posto.

5. Il comma 3 dell’articolo 149 del Testo unico dispone che:

Qualora le regioni non provvedano agli adempimenti previsti al comma 1, si procede a norma dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dall'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Il riferimento pertinente è al secondo comma dell'articolo 4 del D.P.R. 616/1977, come modificato dall'articolo 8 della legge 59/1997, il quale stabilisce che:

Il Governo della Repubblica, tramite il commissario del Governo, esercita il potere di sostituzione previsto dall'articolo 2 della legge n. 382 del 22 luglio 1975.

A sua volta, l’articolo 2 della legge 382/1975 specifica che:

In caso di persistente inattività degli organi regionali nell'esercizio delle funzioni delegate, qualora le attività relative alle materie delegate comportino adempimenti da svolgersi entro termini perentori previsti dalla legge o risultanti dalla natura degli interventi, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, dispone il compimento degli atti relativi in sostituzione dell'amministrazione regionale.

Per il vero, “la redazione e la approvazione dei piani territoriali paesistici” non costituiscono funzioni delegate, ma funzioni trasferite (dal quarto comma dell’articolo1 del D.P.R. 8/1972). E, per le funzioni trasferite, non si danno, né possono darsi, disposizioni afferenti l’esercizio di “poteri sostitutivi”.

C’è per converso da rammentare che, a seguito dell’entrata in vigore della legge 431/1985, la circolare del Ministro per i beni culturali e ambientali 31 agosto 1985, n. 8 (Applicazione della legge 8 agosto 1985, n. 431) aveva affermato che, per effetto del secondo comma dell'articolo 1 bis della stessa legge 431/1985 (secondo il quale, in caso di inadempimento regionale nei termini, “il Ministro per i beni culturali e ambientali esercita i poteri di cui agli articoli 4 e 82 del D.P.R. 616/1977”), lo stesso Ministro , in caso di inadempienza delle regioni nel termine prescritto dal primo comma del medesimo articolo, avrebbe esercitato il “potere sostitutivo nella redazione dei piani paesistici”.

E che la Corte costituzionale, con sentenza 24 giugno 1986, n. 153, pur riconoscendo “improprio” il riferimento ai poteri sostitutivi previsti per le funzioni regionali delegate dall'articolo 4 del D.P.R. 616/1977, ha affermato che il medesimo riferimento va interpretato “in senso pregnante”, e ha concluso che “spetta allo Stato, in caso di mancata redazione dei [ piani di cui all'articolo 1bis della legge 431/1985] entro il 31 dicembre 1986 da parte delle Regioni, provvedere, sollecitate e sentite le Regioni stesse, all'adozione [...] dei piani paesistici”.

Più recentemente la stessa Corte Costituzionale, con sentenza 6 - 13 febbraio 1995, n. 36, ha dichiarato che “spetta allo Stato disporre [...] la sostituzione dell'amministrazione regionale della Campania con il Ministero per i beni culturali e ambientali ai fini del compimento degli atti necessari per la redazione e l'approvazione del piano territoriale paesistico” (in verità, la Regione Campania, ricorrente, non ha eccepito sul punto del rientrare le funzioni attinenti la formazione dei piani paesistici tra le funzioni delegate, ma ha sostenuto l’assenza del requisito fondamentale della persistente inattività degli organi regionali).

C’è infine da rilevare che potrebbe aversi inadempimento non soltanto per totale inattività regionale nei termini prescritti, ma anche qualora i provvedimenti regionali fossero "elusivi , cioè non sostanzialmente conformi agli obiettivi di tutela posti dalla legge. E da chiedersi se anche in tale caso debba (e possa) trovare applicazione il comma 3 dell’articolo 149 del Testo unico, nella forma dell’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo.

6. Il comma 3 dell’articolo 149 del Testo unico si limita a disporre che, fermi restando gli obblighi di rimessione in pristino, o di alternativo pagamento di una indennità pecuniaria, posti a carico di chi abbia trasgredito alle disposizioni poste a tutela dei beni paesaggistici e ambientali (comunque “vincolati”), il Ministero per i beni e le attività culturali, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e con la regione, può adottare misure di recupero e di riqualificazione dei suddetti beni “i cui valori siano stati comunque compromessi”.

7. Il comma 1 dell’articolo 150 del Testo unico dispone che:

Le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda i valori ambientali, con finalità di orientamento della pianificazione paesistica, sono individuate a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

L’articolo da ultimo citato stabilisce che “hanno rilievo nazionale i compiti relativi alla identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del paese”, e che tali compiti “sono esercitati attraverso intese nella Conferenza unificata” (Stato, regioni, città e autonomie locali).

Può essere interessante l’asserzione per cui per quanto riguarda i valori ambientali le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale dovrebbero assumere la valenza di “orientamento della pianificazione paesistica”, la quale compete, almeno in primo luogo, alle regioni. E si potrebbe sostenere che un comportamento pianificatorio regionale, afferente i beni paesaggistici e ambientali, contraddittorio con gli stabiliti “orientamenti”, configurerebbe una elusione degli obblighi posti in capo alle regioni tale da dare luogo all’esercitabilità dei poteri sostitutivi da parte del Governo. Fermo peraltro restando che la definizione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, avente tale valenza di “orientamento”, avrebbe dovuto realizzarsi non soltanto nella Conferenza unificata, ma anche attraverso “intese”, cioè sulla base dell’adesione di tutti i soggetti interessati.

8. Il comma 2 dell’articolo 150 del Testo unico dispone che:

I piani regolatori generali e gli altri strumenti urbanistici si conformano, secondo l'articolo 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e le norme regionali, alle previsioni dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali di cui all'articolo 149. I beni e le aree indicati agli articoli 139 e 146 sono comunque considerati ai fini dell'applicazione dell'articolo 7, n. 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come sostituito dall'articolo 1 della legge 19 novembre 1968, n. 1187.

Il riferimento, del primo periodo della disposizione ora riportata, alle “norme regionali”, conduce ad escludere che con la disposizione medesima si sia voluto affermare che l’efficacia dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali (aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali) non può che essere quella riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza ai piani territoriali di coordinamento di cui all’articolo 5 della legge 1150/1942, cioè consistente unicamente nell’obbligatorio adeguamento a tali piani degli strumenti di pianificazione generali comunali.

Si deve infatti rammentare che il trasferimento alle regioni, operato dal primo comma dell'articolo1 del D.P.R. 8/1972, di tutte “le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di urbanistica”, implicava il conferimento alle regioni medesime della possibilità di legiferare in merito alle caratteristiche, ai procedimenti formativi e alle efficace di tutte le "figure pianificatorie", con il solo limite del rispetto dei “principi fondamentali delle leggi della Repubblica”. E che la peculiare (limitata) efficacia riconosciuta ai piani territoriali di coordinamento di cui all’articolo 5 della legge 1150/1942 non è stata ritenuta “principio fondamentale” né dalla più gran parte delle regioni, che hanno, a partire dalla fine degli anni ‘70, conferito agli strumenti di pianificazione territoriale regionali (e provinciali) anche efficacia immediatamente prevalente sui piani sottordinati, prescrittiva erga omnes e direttamente operativa, né dal governo nazionale, che non ha sollevato eccezioni avverso tali previsioni, né dalla Corte costituzionale, la quale anzi, con la sentenza 26 giugno 1990 n. 327, ha riconosciuto la piena legittimità costituzionale delle leggi regionali che conferiscano agli strumenti di pianificazione territoriali sovraccomunaIi tale pregnante efficacia.

Quanto al secondo periodo della disposizione dianzi riportata, non può riconoscerglisi altra valenza che quella di sancire che i beni paesaggistici e ambientali (comunque “vincolati”) devono essere in ogni caso, cioè, particolarmente, ove non siano oggetto di disposizioni di piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali (aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali), adeguatamente disciplinati dagli strumenti di pianificazione generali comunali, giacché questi ultimi, a norma dell'articolo 7, n. 5, della legge 1150/1942 (come sostituito dall'articolo 1 della legge 19 novembre 1968, n. 1187), devono tra l’altro indicare “i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico”.

9. Il comma 3 dell’articolo 150 del Testo unico dispone che:

Le regioni e i comuni possono concordare con il Ministero speciali forme di collaborazione delle competenti soprintendenze alla formazione dei piani.

Desta stupore che tale possibilità non sia esplicitamente riconosciuta anche alle province, le quali, per contro sono l’unico soggetto istituzionale considerato dall’articolo 57 del decreto legislativo 112/1998, laddove, al comma 1, dispone che:

La regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento provinciale di cui all'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n.142 assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le amministrazioni, anche statali, competenti.

[1] Il comma 2 dell’articolo 146 del Testo unico, parafrasando il sesto comma dell’articolo 82 del D.P.R. 616/1977, precisa che non sono sottoposte alle disposizioni del Titolo II, quand’anche rientranti nelle componenti territoriali elencate, le “aree che alla data del 6 settembre 1985:

a) erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A e B;

b) limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione, erano delimitate negli strumenti urbanistici a norma del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 come zone diverse da quelle indicate alla lettera a) e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati a norma dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865”.

Il comma 3 dell’articolo 146 del Testo unico, parafrasando il sesto comma dell’articolo 82 del D.P.R. 616/1977, precisa che non sono sottoposti alle disposizioni del Titolo II i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua di cui alla lettera c) dell’elenco “che, in tutto o in parte, siano ritenuti irrilevanti ai fini paesaggistici e pertanto inclusi in apposito elenco redatto e reso pubblico dalla regione competente” fermo restando che “il Ministero [...] può tuttavia confermare la rilevanza paesaggistica dei suddetti beni”.

[2] Camera dei fasci e delle corporazioni - Documenti - Disegni di legge e Relazioni -XXX legislatura – I° della Camera dei fasci e delle corporazioni - disegno di legge n. 221. Il dibattito alla Camera è riportato in: Camera dei fasci e delle gente corporazioni -Commissioni legislative - XXX legislatura – I° della Camera dei fasci e delle corporazioni - Seduta del 22 maggio 1939 – XVII. Il dibattito al Senato è riportato in: Senato del Regno - Commissione educazione nazionale e cultura popolare - XXX legislatura – I° della Camera dei fasci e delle corporazioni - Seduta del 5 giugno 1939 - XVII.

[3] La prima Commissione è costituita, in adempimento alla legge 26 aprile 1964, n.310, con decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1964, e diviene e resta nota come “Commissione Franceschini” dal nome del suo presidente, l’on. Francesco Franceschini. La seconda e la terza commissione, entrambe presiedute dal prof. Antonino Papaldo, sono insediate dal governo, rispettivamente il 9 aprile 1968 e il 31 marzo 1971.

[4] Sentenza 24 luglio 1972, n. 141.

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