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Fabrizio Bottini
Terrorizziamoci da soli a casa nostra
31 Agosto 2017
Spazio pubblico
Su fronte della sicurezza urbana pare spesso, anzi quasi sempre, materializzarsi l'antica metafora delle «convergenze parallele» che però non si incontrano mai (segue)

Su fronte della sicurezza urbana pare spesso, anzi quasi sempre, materializzarsi l'antica metafora delle «convergenze parallele» che però non si incontrano mai (segue)

Su fronte della sicurezza urbana pare spesso, anzi quasi sempre, materializzarsi l'antica metafora delle «convergenze parallele» che però non si incontrano mai, se per caso si incontrano fanno finta di non conoscersi e tirano dritto continuando a convergere ciascuna per conto proprio. Qualche giorno fa un paio di gonzi eletti da par loro nelle file della Lega, riuscivano con la propria goffaggine mediatica se non altro a mettere in luce un episodio di cronaca che altrimenti sarebbe passato del tutto inosservato. Dato che le informative parlavano di una rapina stradale in cui erano coinvolti cittadini cinesi e italiani, i leghisti col classico automatismo da social network (che come noto non prevede di leggere, ma di far gorgogliare qualche parola chiave nel minestrone del pregiudizio) subito se ne sono usciti con un perentorio comunicato, a stigmatizzare la «inerzia del governo contro l'invasione di immigrati». Coprendosi di ridicolo, perché sarebbe bastato appunto leggere le due prime righe delle note informative, per scoprire che c'era una ragazza cinese, che aveva assai goffamente quanto spettacolarmente sventato un tentativo di «scippo veicolare» da parte di due italianissimi minorenni in motorino.

Il raggio di luce inopinatamente gettato dai due razzisti padani a prescindere sul fatto, consentiva però di vedere meglio una serie di dettagli piuttosto utili a iniziare a sviluppare un ragionamento sulla sicurezza urbana, e farlo a distanza di sicurezza di qualche anno luce da immigrazione o altre fantasie malate. C'è una ragazza, viaggia in auto attraversando uno slargo urbano, e viene affiancata dai due scippatori in motorino, che notata la borsetta (colpevolmente lasciata in bella vista sul sedile del passeggero col finestrino spalancato) provano ad arraffarla al volo. Lei si spaventa, sorpresa, fa una manovra azzardata forse maneggiando il volante senza neppure pensarci, risultato l'auto si ribalta, il motorino cade, uno degli scippatori si allontana e l'altro rimane lì a terra. Il bilancio alla fine pare addirittura festoso: due illesi, e l'unico ferito per niente grave. Ma ci sono ancora altri dettagli su cui val la pena soffermarsi, a partire dall'auto, una di quelle piccole elettriche in car sharing molto popolari soprattutto tra i giovani, che nonostante il ribaltamento spettacolare e i danni alla carrozzeria, ha dimostrato di essere molto sicura, visto che la ragazza non si è fatta niente, salvo lo spavento. Ma siamo ancora sicuri che in termini di sicurezza la vicenda si sia conclusa così gloriosamente? Certo che no.

Fanno trapelare alcune fonti, che quel ribaltamento, in effetti abbastanza singolare visto il posto, la velocità, la dinamica complessiva, si debba al concorrere della sorpresa, ma soprattutto della manovra del tutto inconsulta effettuata subito dopo aver sollevato lo sguardo dallo smartphone. Insomma, di comportamenti che fanno a cazzotti con un minimo di prudenza urbana, la ragazza ne avrebbe sommati due in un colpo solo: lasciare il finestrino aperto con la borsa in bella vista sul sedile, in una zona piena di semafori e rallentamenti a fil di cordolo, e concentrare la propria, di vista nonché di attenzione, sullo schermo della protesi elettronica anziché sulla strada da cui sono sbucati gli aggressori.
Lo fanno spessissimo, giovani o meno giovani, ma qui siamo dentro un'auto in condivisione, che fa di tanti aspetti dell'innovazione tecnologica e organizzativa una bandiera, in pratica un veicolo che funziona in sinergia, con lo smartphone (si individua, si sblocca, si collega all'utente, al suo conto corrente …) perché non fare in modo che si possano anche controllare limiti di velocità locale, o uso improprio del trabiccolo? Sicuramente qualcuno risponderà in modo evasivo, dicendo che si chiede troppo, o che è «il mercato baby» a sconsigliare questa intrusione nella libertà e stili di vita dell'utente, ma resta il dubbio. Perché per una volta l'ambiente fisico urbano sembra aver fatto piuttosto bene il proprio mestiere, a differenza di altri casi: velocità relativamente ridotta, visibilità, spazio di manovra ma non a sufficienza per danneggiare altri.

Ma si diceva siamo nel campo delle convergenze parallele che non si incontrano mai, avanzano, migliorano, combinano certamente qualcosa di buono, ma si lasciano una larga scia di questioni irrisolte da mancato virtuoso incrocio, quando invece basterebbe così poco. Basterebbe la voglia, e un'idea di fondo, si potrebbe dire. Così come accaduto nella recente, e abbastanza analoga, epidemia del New Jersey, diventato all'improvviso il protagonista delle campagne guerreggianti e ringhiose dell'assessorame nazionale e non solo. Barriere da cantiere e corsia stradale provvisoria che sbocciano ovunque, più che altro a testimoniare che «lassù qualcuno pensa alla tua sicurezza», e quasi di sicuro sono altrettanto inutili a perseguirla davvero, l'incolumità del cittadino. Hanno iniziato a proliferare, nelle città europee e italiane, dopo i vari «attacchi terroristici veicolari» verso cui si sono indirizzati i cosiddetti radicalizzati online, quella forma di guerriglia in franchising a tempo parziale praticata da dilettanti allo sbaraglio, anche se con un numero spropositato di vittime. L'arma, come noto, è un veicolo a motore lanciato sulla folla, e la barriera di cemento New Jersey, già utilizzata per esempio nei posti di blocco della polizia a restringere le carreggiate, parrebbe davvero in prima istanza una misura diretta ed efficace.

Osserva però uno studioso di terrorismo e politica internazionale, che per funzionare davvero come dice, questa politica degli sbarramenti veicolari dovrebbe in teoria chiudere tutte le strade potenziale obiettivo: impraticabile, non ultimo per questioni di costi e tempi. Ma impraticabile, aggiunge lo studioso, anche perché il New Jersey con la sua invadenza autoritaria svuota di senso l'idea di spazio pubblico inclusivo che sarebbe, a ben vedere, il perfetto antidoto al progetto totalitario del terrorismo (che non a caso colpisce in quei luoghi, oltre a considerarli il ventre molle della nostra civiltà urbana). Se chi, rappresentante eletto da noi cittadini per interpretarne in senso alto le aspirazioni, cercasse davvero di proteggere la collettività e la cultura che la sottende, volesse davvero trarre conclusioni coerenti, ne dedurrebbe che la migliore reazione all'uso di veicoli-proiettile nello spazio pubblico identitario da distruggere, è quello di ridurre quasi a zero la contundenza del proiettile, rafforzando l'identità. Ovvero, scendendo assai terra terra, regolamentare in ogni modo (velocità, accessibilità, modo d'uso) la circolazione dei veicoli a rischio negli spazi pubblici, attraverso organiche politiche di traffic calming, perseguite sia con trasformazioni fisiche, sia con strumenti smaterializzati high tech che ormai abbondano, sia con una adeguata pedagogia comportamentale, che comprende anche consapevolezza e autodifesa. Lasciando che dietro minacciose barriere grigiastre stiano i ridicoli guerrieri a fumetti di Sturmtruppen.

Vedi anche: Dal New Jersey alla città

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