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Diciamo NO al progetto di legge urbanistica della regione Emilia Romagna!
26 Gennaio 2017
Proposte e commenti
In occasione della giornata di studio "Fino alla fine del suolo, La nuova disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio", indetta dai gruppi consiliari del Movimento 5 Stelle e de L'Altra ER" l'associazione di promozione sociale

In occasione della giornata di studio "Fino alla fine del suolo, La nuova disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio", indetta dai gruppi consiliari del Movimento 5 Stelle e de L'Altra ER" l'associazione di promozione sociale eddyburg . ribadisce le sue posizioni sulla devastante proposta. Riferimenti in calce


Per molti urbanisti italiani l’esperienza dell’Emilia Romagna, anche prima dell’attuazione dell’ordinamento regionale, ha rappresentato un modello fertile e virtuoso, e senza confronti nel nostro Paese, di buona pianificazione urbanistica e territoriale. Basti ricordare la prestigiosa Consulta urbanistica regionale che contribuì in modo determinante alla formazione del decreto ministeriale sugli standard del 1968. In anni più recenti, in attuazione della cosiddetta legge Galasso, la regione Emilia Romagna (assessore Felicia Bottino) si è dotata di un esemplare piano paesistico che ha tutelato con rigore le risorse storiche e ambientali della regione. Anche i comuni sono stati protagonisti di buone pratiche: in primis Bologna – in particolare al tempo degli assessori Giuseppe Campos Venuti e Pierluigi Cervellati – , ma anche Modena, Reggio Emilia e altre realtà locali che sono state a lungo un riferimento obbligatorio della cultura urbanistica, non solo italiana.

Ma a partire dagli anni Ottanta del Novecento, il primato dell’Emilia Romagna è andato progressivamente in crisi: gli strumenti urbanistici dell’ultima generazione hanno ceduto alla filosofia della globalizzazione, del privatismo, della contrattazione. È stata anche cancellata la tutela integrale dei centri storici che da Bologna era stata esportata in tutto il mondo.

Ed eccoci all’ultimo progetto di legge regionale sulla tutela e l’uso del territorio che compie un irresponsabile svolta deregolativa che, di fatto, delegittima la stessa disciplina urbanistica. Il progetto di legge, che nelle prossime settimane dovrebbe essere approvato dalla Giunta regionale, prevede una strumentazione urbanistica comunale articolata in: piano urbanistico generale (Pug) e accordi operativi. Spetterebbe al Pug stabilire “la disciplina di competenza comunale sull’uso e la trasformazione del territorio” (art. 29, c. 1, lettera a). Ma come? La novità dirompente è che “il Pug “non può [corsivo nostro] stabilire/definire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato e di quelle di nuova urbanizzazione, né dettagliare gli altri parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili, con la sola eccezione degli interventi attuabili per intervento diretto” (art. 32, c. 4 e art. 37, c.1).

Quindi, ed è bene sottolinearlo, secondo il progetto di legge alla “disciplina di competenza comunale sull’uso e la trasformazione del territorio” è addirittura inibito di “stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato e di quello urbanizzabile, né dettagliare gli altri parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili”.

Com’è possibile? A chi spetta allora, se non al piano urbanistico comunale, di definire la capacità edificatoria e i parametri urbanistici? La risposta sta nel testo di legge: spetta agli accordi operativi derivanti dalla negoziazione fra l’amministrazione comunale e gli operatori privati che abbiano presentato al comune un’apposita proposta (art. 37, c. 3), da approvare in 60 giorni: in tempi evidentemente proibitivi per i comuni! E siffatti accordi “sostituiscono ogni piano urbanistico operativo e attuativo, comunque denominato” (art. 29, c. 1, lettera b). La conseguenza è un piano urbanistico comunale privo di contenuti dimensionali e localizzativi: in pratica, non si saprà quante saranno e dove saranno ubicate le nuove residenze, le attività produttive, le attrezzature e i servizi.

Un altro contenuto inaccettabile della nuova legge urbanistica è quello relativo al contenimento del consumo del suolo. Il testo di legge statuisce che ogni comune potrà prevedere un consumo di suolo pari al 3% del territorio urbanizzato. Quest’espansione è destinata a opere d’interesse pubblico e a insediamenti strategici “volti ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio” (art. 5, c. 2). Non sono consentite nuove edificazioni residenziali, a meno che non siano destinate ad attivare interventi di rigenerazione del territorio urbanizzato e per interventi di edilizia residenziale sociale (art. 5 c. 3).

Non sono invece computati ai fini del calcolo del 3%: i suoli per opere d’interesse pubblico per le quali non sussistano ragionevoli alternative; gli ampliamenti di attività produttive; i nuovi insediamenti produttivi d’interesse strategico regionale; nonché gli interventi previsti dai piani urbanistici previgenti autorizzati entro tre anni dall’approvazione della nuova legge (art. 6, c. 5). Si mettono così al sicuro i cosiddetti diritti acquisiti, ed è stato calcolato che, alla fine, tenendo conto anche delle discutibili modalità di individuazione della superficie urbanizzata, il consumo di suolo consentito sarà di gran lunga superiore, fino al doppio o al triplo, del previsto 3% della superficie urbanizzata. Come nei piani urbanistici degli anni della grande espansione.

Trascuriamo altri contenuti del progetto di legge – in particolare quelli relativi al possibile ridimensionamento degli standard e alle complicazioni che il nuovo labilissimo assetto della strumentazione comunale determinerà nei riguardi della pianificazione sovraordinata –. Tornando agli accordi operativi, secondo la proposta di legge potranno essere elaborati e presentati esclusivamente dalla proprietà fondiaria. Al comune spetteranno soltanto l’assurda verifica di conformità nei confronti di una pianificazione di fatto delegittimata in quanto priva di disposizioni cogenti, e la negoziazione con i privati in materia di dotazioni, infrastrutture e servizi. In assenza di proposte private, il comune non potrà dunque decidere alcunché, meno che mai elaborare propri piani urbanistici.

Si tratta di un progetto di legge che renderà leggendaria l’autonoma capacità d’intervento, il talento e l’inventiva dei comuni e degli enti locali dell’Emilia Romagna dei trascorsi decenni.

Di fronte a questo ennesimo tentativo di rottamazione della pianificazione, eddyburg sollecita le associazioni nazionali che hanno tra i loro obiettivi la tutela del territorio in tutte le sue componenti (naturalistche, storiche, paesaggistiche, culturali,) ad attivarsi per evitare che la proposta della RER, diventi il cavallo di Troia per l'ulteriore imbarbarimento della legislazione italiana in materia

Riferimenti

Una puntuale ed ampia analisi critica del progetto di legge è contenuta nel documento della sezione emiliano-romagnola di Italia nostra, che trovate qui in eddyburg. Vi segnaliamo anche, sempre su eddyburg, la lettera aperta ai governanti della Regione E-R, e gli articoli di Enzo Righi, di Ilaria Agostini e di Giovanni Lo Savio., scritti per i nostri frequentatori

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