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Sergio Caserta
Per qualche ettaro in più
24 Dicembre 2017
Proposte e commenti
il manifesto bologna, 23 dicembre 2017. Una critica argomentata dell'orrenda legge urbanistica approvata da un consiglio regionale indegno della tradizione della "regione rossa"

il manifesto bologna, 23 dicembre 2017. Una critica argomentata dell'orrenda legge urbanistica approvata da un consiglio regionale indegno della tradizione della "regione rossa"

In Emilia Romagna d’ora in avanti se un costruttore, armato di “accordo operativo”, incontra un sindaco armato di Pug (Piano Urbanistico Generale)…la pianificazione è cosa morta. Ironicamente si può far riferimento agli indimenticabili “spaghetti western” di Sergio Leone, ma in effetti il far West dell’urbanistica, è stato codificato nei settantasette articoli della legge regionale 218/2017 “disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”.

Una legge che pone pomposamente al primo articolo, alla lettera a) del comma 2, l’obiettivo di “contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi eco sistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici”.

Concetto che ribadisce e specifica all’articolo 5 del capo II, “La Regione Emilia-Romagna, in coerenza con gli articoli 9, 44 e 117 della Costituzione e con gli articoli 11 e 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, assume l’obiettivo del consumo di suolo a saldo zero da raggiungere entro il 2050.

Infine lo sancisce, fornendo la misura massima di consumo di suolo all’articolo 6 Quota complessiva del consumo del suolo ammissibile comma1. In coerenza con l’obiettivo del consumo di suolo a saldo zero di cui all’articolo 5, comma 1, la pianificazione territoriale e urbanistica può prevedere, un consumo del suolo complessivo pari al tre per cento della superficie del territorio urbanizzato… fatto salvo quanto previsto dai commi 5 e 6.

E qui sta il trucco: mentre da un lato si definiscono obiettivi e limiti apparentemente stringenti al consumo di suolo, nello stesso tempo si elenca una lista di eccezioni al computo:

(Art 6 comma 5) “Non sono computate ai fini del calcolo della quota massima di consumo del suolo di cui al comma 1, le aree dei lotti di pertinenza che, dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono utilizzati per la realizzazione: a) di lavori e opere pubbliche o di opere qualificate dalla normativa vigente di interesse pubblico, previa obbligatoria valutazione che non sussistono ragionevoli alternative di localizzazione che non determinino consumo di suolo; b) di interventi di ampliamento e ristrutturazione di fabbricati adibiti all’esercizio di impresa ovvero di interventi di nuova costruzione, nella medesima area di pertinenza o in lotto contiguo, di fabbricati o altri manufatti necessari per lo sviluppo e la trasformazione di attività economiche già insediate; c) di nuovi insediamenti produttivi di interesse strategico regionale che siano oggetto di accordi per l’insediamento e lo sviluppo, di cui all’articolo 7 della legge regionale 18 luglio 2014, n. 14 (Promozione degli investimenti in Emilia-Romagna) o che presentino i requisiti di cui all’articolo 6, comma 1, della medesima legge regionale come specificati con apposito atto di coordinamento tecnico; d) di parchi urbani ed altre dotazioni ecologico ambientali; e) di fabbricati nel territorio rurale funzionali all’esercizio delle imprese agricole; f) di interventi per il parziale recupero della superficie di edifici non più funzionali all’attività agricola, demoliti ai sensi dell’articolo 35, comma 3, lettera e).
(Art.6, comma 6) “Non sono computate altresì nella quota massima di cui al comma 1 le aree utilizzate per l’attuazione delle previsioni dei piani urbanistici previgenti, ai sensi dell’articolo 4”, (vale a dire i 250 Kmq che si dice voler portare a 70Kmq).

Dunque, per un lungo periodo transitorio (tre anni più due) tutti gli interventi ricompresi nelle categorie elencate all’articolo 6 potranno essere realizzate senza che vadano a riempire il carnet del tre per cento, cosicché quella premessa di riduzione dai previsti 250 km quadrati di nuove edificazioni contemplate nei piani precedenti ( cd diritti acquisiti) ai 70 Km quadrati complessivi fino al 2050, in realtà sarà 70 Km quadrati più quanto dei precedenti 250 si riuscirà a realizzare, senza limitazione nei successivi cinque anni: un bel modo di ridurre,(in linea teorica potrebbero addirittura risultare 250 (già previsti e realizzabili) più i 70 prevedibili (relativi al 3% concesso): ovvero 320 Km quadrati.

La legge poi enuclea agli articoli 7,8 e 9 l’altro grande obiettivo enunciato: puntare decisamente sulla “rigenerazione urbana” come grande leva di un nuovo sviluppo del settore, finalizzato a conseguire una più alta attrattività urbana e quindi una rinnovata fase di crescita economica. Lo strumento è individuato, alla lettera c del terzo comma dell’articolo 7, nella possibilità di riqualificazione fondata su interventi “di addensamento e sostituzione urbana”, anche incrementali, che, con particolare riferimento ad aree strategiche della città ovvero ad aree degradate, marginali, dismesse o di scarsa utilizzazione edificatoria, prevedono una loro significativa trasformazione che può comportare la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati, degli spazi aperti e della rete stradale, l’inserimento di nuove funzioni e la realizzazione o adeguamento delle dotazioni, delle infrastrutture e dei servizi pubblici nonché l’attuazione di interventi di edilizia residenziale sociale. Conseguentemente, agli articoli successivi si definisce un corposo elenco di premialità, detrazioni fiscali, aumenti volumetrici e standard differenziati, tali da definire un regime di favore rispetto a qualsiasi altro tipo di edificazione, anche in contrasto a norme nazionali. Una logica che fa scrivere a Roberto Camagni docente emerito di Economia urbana, uno dei più qualificati esperti in materia:
“La mia critica (alla legge) si basa su tre valutazioni:

1. è errata l’interpretazione di fondo che si dà della crisi del settore edilizio e delle difficoltà recenti dei processi di riqualificazione e rigenerazione urbana;

2. è errata e irresponsabile l’attribuzione di tanti privilegi e sconti economici alle attività di riqualificazione e rigenerazione urbana in quanto largamente inefficace nel raggiungere gli obiettivi che la legge si propone e, d’altra parte, perniciosa per la finanza pubblica locale;

3. è contraddittoria la logica che lega gli obiettivi da raggiungere agli strumenti, per la massima parte legati all’iniziativa privata, che si propongono.

Uno degli aspetti più emblematici di questa vicenda è infatti la mole e l’autorevolezza delle critiche piovute sulla proposta di legge da parte dei più qualificati urbanisti ed esperti d’Italia, che hanno evidenziato lo spirito di totale subalternità dell’articolato agli interessi dei poteri forti e la destrutturazione totale del concetto e del primato della pianificazione pubblica, concetto che è stato per decenni elemento distintivo delle politiche urbanistiche della regione e che ne hanno fatto a lungo autorevole e riconosciuta esempio di più avanzato governo del territorio. Un scelta scellerata che si concretizza nel disarmare la pianificazione di ogni possibilità d’incidere sulle scelte ad esclusivo vantaggio dei privati, come specificato agli articoli 31 e seguenti, fino nel più delicato ambito dei centri storici:

(art 31 comma 6). “Per motivi di interesse pubblico e in ambiti specificamente determinati del centro storico, il Pug può disciplinare specifici interventi in deroga ai principi stabiliti al comma 5, lettere a),b) e c), da attuare attraverso l’approvazione di accordi operativi. Il Pug può inoltre individuare le parti del centro storico prive dei caratteri storico architettonici, culturali e testimoniali, nei quali sono ammessi interventi di riuso e rigenerazione, ai fini dell’eliminazione degli elementi incongrui e del miglioramento della qualità urbanistica ed edilizia dei tessuti urbani, ed è ammesso l’aumento delle volumetrie preesistenti”.

Prosegue (all’art 33 comma 2)

“In considerazione degli obiettivi generali stabiliti ai sensi del comma 1, la strategia per la qualità urbana ed ecologico ambientale definisce l’assetto spaziale di massima degli interventi.Tali indicazioni di massima possono essere modificate in sede di accordo operativo senza che ciò costituisca variante al Pug, fermo restando il soddisfacimento del fabbisogno definito dalla strategia stessa.

Da questa breve panoramica, relativa solo ad alcuni degli articoli più emblematici, si vuole rendere chiaro che la portata di questa legge, sull’intero sistema della pianificazione pubblica, potrà determinare conseguenze molto gravi, ed anche conflittuali rispetto ad importanti prerogative e limiti definiti dalla Costituzione e dalle leggi nazionali (anche relative alla fiscalità obbligatoria).

In definitiva, non è stata sufficiente la mobilitazione delle più importanti associazioni ambientaliste, Legambiente e Italia Nostra, prese di posizione dello stesso ANCI, ancorchè non rese pubbliche. Inascoltati gli appelli dei convegni promossi dalle forze di sinistra e dei M5S, con la partecipazione di importanti esperti, critiche riunite in un libro Consumo di luogo (ed Pendragon) che ha avuto una larghissima diffusione. Alla fine, la sordità della giunta Bonaccini e dell’assessore al ramo Donini, ha determinato l’impossibilità del tentativo a lungo portato avanti con generosità da alcuni consiglieri regionali della sinistra, di migliorare attraverso emendamenti per quanto possibile la legge. Alla fine, anche le più ragionevoli proposte di modifica sono state respinte: il richiamo dei cosiddetti “poteri forti”, le imprese edilizie private e cooperative, si è fatto sentire, con tutto il loro condizionate peso di autentici ed unici “stakeholder”. E la Giunta ha piegato la schiena alla voce del padrone.

L’amarezza di coloro che hanno fatto di tutto per migliorare una pessima legge, fa posto alla convinzione che sarà necessaria ancora una forte mobilitazione e un attento monitoraggio per evitare che la speculazione metta le mani su importanti parti del territorio, come sta già avvenendo a Bologna ad esempio ai Prati di Caprara. Una classe politica che fonda le chance di ripresa economica su un ciclo edilizio vetusto ed arretrato non rappresenta un buon auspicio, e prevalgono di gran lunga considerazioni pessimistiche sul futuro. Il voto unitariamente contrario dei gruppi della sinistra e dei M5S, oltre alla lega, il voto favorevole alla legge del solo PD, sono la dimostrazione di un non splendido isolamento.

l'articolo è tratto da "il manifesto bologna"ed è qui reperibile in originale

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