Per esempio il motivo per cui entrano in campo gestori di servizi altrimenti inspiegabili, senza tener presente quell'aspetto diciamo così sessuale, del gonfiare le piume meccaniche: auto più voluminose senza alcun riferimento al carico da trasportare, più costose sia per l'operatore che per la clientela, inutilmente più impattanti dal punto di vista ambientale, locale e non. Apparentemente sembrerebbero senza mercato, e invece non solo ce l'hanno, ma potrebbe essere addirittura prevalente: qualcuno che l'auto status symbol non ce l'ha, ma vuole lo stesso ostentarla a tempo parziale. Di tenore analogo a queste vaghe riflessioni, la notizia recente che dal 31 dicembre l'operatore Car2Go (quello con le Smart bianche presente anche in diverse città italiane) chiuderà il servizio a Minneapolis, dopo essere uscito da altri mercati locali, come Miami, San Diego, ma anche Londra. Più in generale, un articolo del periodico di settore Transportist si chiede se il car sharing abbia un futuro, visto che osservando i grafici si nota sul mercato nordamericano un picco di iscrizioni due anni fa, a cui segue un deciso calo. L'ipotesi, almeno una delle ipotesi, è che la pura ripresa economica dopo la recessione metta in dubbio tutti quei ragionamenti che si sono fatti sulla fine del modello proprietario, vuoi per motivi ambientali, vuoi per evoluzioni organizzative delle imprese, vuoi per innovazioni tecnologiche, in testa a tutte quella dell'auto senza pilota, per cui anche nell'Unione Europea di recente la Commissione sembra aver fissato il traguardo massimo del 2020, cioè dopodomani.
Foto F. Bottini |
Insomma, invece della auspicata demotorizzazione (che va a braccetto, o andrebbe a braccetto, con altri processi virtuosi, dalla smaterializzazione alla ri-urbanizzazione degli stili di vita), il rischio è che ci si ritrovi con un settore auto, e tutto l'insieme degli operatori che danno forma all'ambiente e al territorio, assai fortemente intenzionato a non cambiare affatto modello. Diventerebbero realtà quelle ipotesi molto conservatrici di tanti «futurologi» che dalla stampa in questi anni ci hanno raccontato scenari da cartone animato dei Pronipoti, dove cambiano alcuni dettagli per lasciare identico il resto. La casetta suburbana, magari alimentata a energia solare, ma pur sempre la vecchia villetta, da cui ogni mattina esce l'auto pure elettrica del capofamiglia, rigorosamente in proprietà anche se senza pilota, che lo porterà all'ufficio rigorosamente in un posto diverso e lontano, consumando tempo, spazio, energia, per uno stile di comportamento che pareva e pare ancora privo di senso con le possibilità attuali, anche se caro a certi investitori. E tanti saluti alle aspettative suscitate dagli esordi del car sharing. Ma non può non tornare in mente, però, la vecchia vicenda dello Stereo8, a chi ne conserva qualche memoria, vicenda legata sia all'automobile che al mondo in cui si aggirava facendola da padrona.
La sigla si riferisce a un sistema di ascolto musicale comparso e presto tramontato in Italia a cavallo tra la fine degli anni '60 e i primi '70. Tra le tante cose che a quel tempo si stavano evolvendo, possiamo senza dubbio metterlo al centro, l'abitacolo dell'auto, e insieme quel ruolo di status symbol. Straordinaria ad esempio la memorabile scena del sesso in auto in La Classe Operaia va in Paradiso, di Elio Petri (1971), in cui il protagonista tornitore modello Lulù Massa, interpretato da Gian Maria Volontè, per sedurre la collega Adalgisa squaderna tutti gli attributi erotico-simbolici del caso, dal modello utilitaria ma trendy «che dopo due anni la guardo ancora», al piccolo bar nel cruscotto, alla musica e via dicendo. Il sesso in sé, insomma, all'epoca è poca cosa se lo paragoniamo a tutti i parafernali di contorno, di cui il mitico Stereo8 rappresenta la punta di diamante. Poi le cose si evolveranno diversamente, perché quel particolare tecnico sarà sostituito da un altro lievemente quanto fondamentalmente diverso, l'audiocassetta poi arrivata fino al CD e poi ancora allo streaming eccetera. Entreranno in campo operatori diversi, ma quella rapida sparizione dello Stereo8 in sé e per sé salvo dettagli da elettrotecnici o da speculatori non significa sparizione dell'universo automobile sul territorio: non più semplice mezzo di trasporto, ma vero e proprio prolungamento dell'abitare, dell'essere, senza la quale l'uomo del XX secolo non si sente realizzato.
Ecco: se il car sharing attuale fosse un po' come quel sistema di ascolto musicale in auto di tanti anni fa, intuizione giustissima ma che si trascina qualche tara di cui liberarsi, magari facendo anche finta di estinguersi, tutto tornerebbe a posto. Perché adesso l'intuizione della sostenibilità, degli stili di vita urbani, non legati al possesso ma al valore d'uso, potrebbe benissimo produrre una mobilità assai diversa, dove i veicoli non occupano tutto lo spazio come accaduto per decenni, non sputano veleni nell'aria, non stanno fermi immobili a fare il totem per il 95% della propria esistenza, e non pretendono di fissare per legge a questo scopo infinite superfici asfaltate. Se un operatore di car sharing si ritira, se addirittura ci sono segnali evidenti di calo dell'interesse per quel comparto, certo vuol dire che da qualche parte bisogna cambiare. Ma potrebbe essere, forse dovrebbe essere, anche fuori dall'auto in sé e per sé, magari nell'organizzazione urbana, dei trasporti più intermodali (pare che le nostre Ferrovie ci stiano investendo, in quella direzione), del lavoro e delle comunicazioni. C'è tanto Stereo8, per nulla morto e sepolto, in tutto il nostro attuale casuale frugare in rete alla ricerca di quel passaggio musicale, mentre stiamo sul traghetto delle vacanze. E ci sarà allo stesso modo tanto, tantissimo car sharing in qualche futura pedalata verso un magazzino automatico di mobili ingombranti, che te li carica sul furgone driverless seguendo le indicazioni dello smartphone, o chissà.
Su La Città Conquistatrice il tag Car Sharing (quello Stereo8 non ancora)