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Ilaria Carra
Nasce l’ufficio orti per aiutare i 2.500 contadini di città
17 Ottobre 2015
Milano
La premessa perché lo spazio aperto urbano possa configurarsi (non solo su una teorica mappa) come una rete e una infrastruttura, è la conoscenza.

La premessa perché lo spazio aperto urbano possa configurarsi (non solo su una teorica mappa) come una rete e una infrastruttura, è la conoscenza. La Repubblica Milano, 17 ottobre 2015, postilla (f.b.)

Dare suggerimenti pratici. Ma anche fare rete e agevolare la vita di chi vuole il suo pezzo di terra da coltivare ma non sa bene se può farlo e come farlo. Nasce in Comune l’ufficio Orti, con esperti del settore Verde pronti a rispondere al milanese che vuole dedicarsi alla zappa urbana. Il responsabile della nuova iniziativa è un funzionario dal pollice molto verde che si chiama, nomen omen, BortoloFurloni.

I contadini urbani sono un fenomeno in forte crescita in città. In particolare in questo momento c’è una forte domanda da parte di privati che vogliono trasformare parte del proprio terreno agricolo, appunto, in un fazzoletto da zappare e irrigare. Il punto è che la maggior parte di questi terreni si trova nel Parco agricolo Sud, dal Forlanini al parco delle Risaie e serve comunque un via libera da parte dell’ente parco per poter avviare la pratica. L’ufficio ad hoc creato dal Comune nasce anche per agevolare i cittadini in questa pratica. «Noi facciamo da facilitatori con gli aspiranti contadini — spiega Furloni — e puntiamo anche a far emergere tutti gli appezzamenti coltivati che sono sommersi». In città sono 2.500 gli orti che Palazzo Marino ha mappato. E sono di vario genere.

Ci sono le coltivazioni delle zone assegnate in base al reddito, che crescono ogni anno e per i quali l’amministrazione sta pensando a nuovi criteri per aprire di più ai giovani e ai disoccupati. Ci sono poi quelli nelle scuole, con i nonni di quartiere che se ne prendono cura d’estate: l’anno scorso nella sola zona 5 ne sono nati 20 grazie all’idea del signor Menasce, un pensionato anche consigliere di Zona che ha messo insieme tutor di istituti di agraria, sponsor privati come Brico e Danone, Fondazione Cariplo e il Comune per creare un modello che funziona. Sono in crescita anche gli orti condivisi, strumento di coesione sociale ma anche di lavoro, come nel caso dell’Orto comunitario Niguarda, dove lavora da tre mesi un ragazzo del Mali da poco arrivato in Italia. Ci sono poi gli orti nelle cascine, come a Cascina Sant’Ambrogio, ravvivato dai ragazzi dell’associazione Cascinet con mercatini e feste. E poi ci sono gli orti spontanei, dove cittadini coltivano da anni pezzi di terra abbandonati che l’amministrazione ora punta a far emergere. E l’ufficio (oggi solo telefonico 02/88454127 ma presto con un sito e una mail) servirà anche a questo.

Essendo l’orto riconosciuto nel Piano di governo del territorio come un servizio stanno per essere approvati i criteri con i quali un privato può convenzionare i propri orti con l’amministrazione, prevedendone una quota a tariffe sociali. L’assessore al Verde, Chiara Bisconti: «Così riconosciamo la forte domanda di ritorno alla coltivazione della terra che sentiamo nella nostra città, soprattutto da chi prova piacere a ritrovare rapporto diretto con la terra e il cibo che consuma, anche alla luce della Food Policy appena promossa dal Comune. L’ufficio promuoverà azioni dirette per nuovi orti, ma sarà anche a disposizione per risolvere i problemi. Coltivare un orto — aggiunge — serve a riscoprire la città e i concittadini».

postilla
Forse non si coglie sul serio la potenzialità di questa anagrafe degli orti, se non si torna un istante sull'idea di rete urbana degli spazi aperti, coltivati o non coltivati che siano, e del ruolo che può svolgere in quelle per ora benintenzionate ma abbastanza fumose strategie di sostenibilità e riduzione degli impatti. Hanno un peso non trascurabile, e se si quanto pesano, quantitativamente e qualitativamente, queste superfici sull'insieme della produzione alimentare locale a chilometro zero? La rete che formano è solo virtuale, di rapporti potenziali fra soggetti, oppure si configura chiaramente un sistema fisico tangibile, il cui ruolo può diventare complementarmente chiave in un futuro di maggiore sfruttamento a scopi infrastrutturali degli spazi aperti? Sono solo due delle tantissime domande a cui questo tutto sommato piccolo progetto può rispondere, se riuscirà a decollare dall'attuale fase di «telefono amico del pensionato coltivatore», a quella urbano sociale di infrastruttura verde propriamente detta (f.b.)

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