La solita prospettiva pur affascinante ma tutta centrata su architetture e stili di vita, forse manca di cogliere il nocciolo ambientale ed economico della sostenibilità urbana e di un diverso equilibrio fra natura e artificio. La Repubblica, 17 agosto 2015, postilla (f.b.)
Un'esplosione di verde. Un paradiso terrestre moderno e tecnologico. Una metropoli punteggiata dalla natura, con torri vegetali che svettano verso l’alto, fasci di edere e rampicanti che scendono a cascata dai tetti. Un corridoio ecologico di 23 torrette foto-catalitiche. Un parco naturale realizzato in spirali ascendenti e ricoperto da alghe. Torri termodinamiche con balconi che ospitano gli orti urbani.
La “Ville des lumières” riprogetta se stessa. Angosciata da un inquinamento sempre sottovalutato, Parigi si proietta nel futuro e si candida ad essere la “Smart city mondiale” del 2050. Si è candidata all’Unesco come patrimonio dell’umanità. Avviato nel giugno del 2014, il progetto è stato affidato all’architetto belga Vincent Callebaut e allo studio d’ingegneria Setec. L’idea parte dall’obiettivo di ridurre del 75% le emissioni dei gas entro 35 anni.
Il verde è quindi il cuore della pianificazione che vedrà punteggiare di natura tutti i 20 arrondissement di Parigi. Su 40 mila interpellati, ben 20 mila si sono detti pronti a collaborare con idee e suggerimenti. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha creato un’applicazione con la quale chiunque può spedire via web una segnalazione di arredo, la proposta di restauro di una facciata, la creazione di uno spazio verde che renda più accogliente il quartiere, il condominio, uno scorcio annacquato dal grigio e dal cemento.
Se si naviga sul sito del progetto, messo in rete dal Comune, sembra di attraversare la città di Pandora, quella del film “Avatar” di James Cameron. I plastici disegnano palazzi ornati da cascate di verde che scendono dai tetti; edere che avvolgono cornicioni e balconi; aiuole e prati che separano strade; ciuffi di bambù e boschetti di alberi e piante che in modo armonico dividono le vie dalle piazze. La Torre Montparnasse, l’unica che svetta in una città risparmiata da grattacieli, è stata lo spunto di una rivoluzione urbanistica. Costruita nel giugno del 1940, ha sempre rappresentato il cuore del fermento culturale. Le trasformazioni degli anni 70 l’hanno confinata nel degrado. «Il quartiere», sostenne un anno fa Jean-Louis Missika, vicesindaco e incaricato all’urbanistica, «è spento. Va ripensato e rilanciato».
La torre diventa così l’“Atelier di Montparnasse”: un laboratorio di progettazione architettonica al quale aderiscono i sindaci delle circoscrizioni. Il dibattito ruota attorno a tre programmi di riabilitazione: spazi verdi sui tetti dei parcheggi, grandi aiuole e prati negli incroci, punti ecologici che dividono i boulevard. Il piano non si limita a un accurato make-up. Con il verde si punta a energie alternative: da quella positiva (Bepos) da ricavare negli immobili di grande altezza, fino all’idroelettrica prodotta dai circuiti delle acque.
Non si tratta di filosofia urbanistica. Il piano è già operativo. Assieme al grande progetto è scattato quello destinato a tutta la popolazione: «Il verde fai da te». Su 1200 proposte 250 sono state selezionate e finanziate. Entro un mese, gli ideatori riceveranno a casa un kit di giardinaggio con terra vegetale e semi da piantare. La parola d’ordine è “vegetalizzare”. La Parigi del futuro conserverà l’assetto lineare voluto dal barone Haussmann. Assieme ai simboli religiosi e laici della Francia moderna: tra le torri ecologiche spiccheranno sempre le Sacre Coeur e la Tour Eiffel. La storia non si cancella ma le città cambiano: invece del grigio dominerà il verde.
Alessandra Baduel, «Buona idea ma i costi la renderanno irrealizzabile» (intervista all'architetto del verde Paolo Pejrone)
Beati loro che possono pensare a questo, diventare primi al mondo nella costruzione del verde pubblico. Però sarà di certo costoso e non credo tanto rapido come i francesi si propongono». L’architetto di giardini e progettista paesaggistico Paolo Pejrone commenta così la novità di Parigi.
Architetto, Parigi dedita al verde con emissioni ridotte del 75% entro il 2050. Le sembra possibile?
«Parigi è sempre stata un luogo di sperimentazione sul verde, fin da Napoleone III e a cominciare dal suo dono alla città del Bois de Boulogne, primo parco pubblico francese. Non mi stupisco affatto. Ma credo che si tratti anche di un progetto che avrà i suoi costi» .
Si va dai tetti verdi ai balconi coltivati.
«Parigi ama stupire, gli inglesi hanno giardini e parchi bellissimi fatti in maniera più pacata. In ogni caso, ben venga che la città diventi un territorio di sperimentazione verde sotto gli occhi del mondo. La cosa che mi piace di più è l’idea dei boschetti fra le vie. Non credo affatto nel verde verticale, invece: non è né facile, né sostenibile. La verticalità è innaturale e rende le piante totalmente dipendenti dall’uomo, bisognose quindi non di una normale cura, ma di giardinieri molto esperti».
I costi prevedibili?«Sono enormi. Per l’acqua e per le cure. Ma soprattutto trovo sbagliato immaginare uno sviluppo così poco spontaneo per le piante: ci si avvicina al mondo dei bonsai, con radici e teste degli alberi tagliate, ovvero a un certo culto della sofferenza » .
E gli orti sui balconi?«Una buona idea, ma solo se davvero ben tenuti. E’ tutto molto bello, innovativo, ma come sempre poi la realizzazione dipende solo da una cosa: la passione delle persone».
postilla
Come spesso accade in certe descrizioni della metropoli futura, si colgono elementi superficiali di indubbia attrattività, senza però chiedersi «cosa ci sta sotto» davvero. E qui le risposte sono almeno due, non necessariamente in contraddizione: ci sta sotto solo un po' di interesse professionale e immobiliare, se diamo retta a questa visione tutta di progetti singoli, cascate di verzura, terrazze e tetti verdi al posto delle coperture tradizionali; oppure ci sta sotto il tema della sostenibilità interpretato in senso proprio, da una amministrazione che ha scelto di declinare seriamente, e strategicamente, un paio di concetti, ovvero le «infrastrutture verdi» e i dibattuti «servizi dell'ecosistema». Tutte queste bellissime emergenze di verzura soprattutto privata, altro non solo che i terminali capillari di un ben più vasto sistema che da un lato collega la città alla campagna senza soluzioni di continuità (una sorta di rete ecologica continua in senso proprio), dall'altro viene usata in alternativa ad altre «infrastrutture grigie» tradizionali per scopi di depurazione dell'aria, dell'acqua, e per altre funzioni come la mobilità dolce o l'agricoltura urbana. E, inquadrato in questo modo il problema, saltano anche tutte le obiezioni del paesaggista che ci trova una incongruenza economica, nella «Parigi Verde»: se sappiamo leggere l'economia alla scala adeguata, tutto si tiene molto bene, se invece caschiamo nel solito equivoco dei boschi verticali molto carini ma nulla più che giocattoli per chi se li può permettere, non cogliamo il punto. Infrastrutture verdi vuol dire proprio infrastrutture, cose indispensabili, solo che stavolta costano meno e impattano molto meno. A Parigi l'hanno capito (f.b.)