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Irma d’Aria
Come la natura può far passare stress e ansia
12 Maggio 2015
Nostro pianeta
Forse non ci voleva tutta questa ricchezza di prove scientifiche per confermare il fatto, piuttosto ovvio, che anche noi siamo parte dell’ambiente naturale, ma qualche riflessione sulla città si evoca comunque.

Forse non ci voleva tutta questa ricchezza di prove scientifiche per confermare il fatto, piuttosto ovvio, che anche noi siamo parte dell’ambiente naturale, ma qualche riflessione sulla città si evoca comunque. La Repubblica, 12 maggio 2015, postilla (f.b.)

“Tutti i giorni per almeno un’ora, meglio se di mattina presto e in pianura”: è la prescrizione che potrebbero farci in futuro medici di base, specialisti e pediatri. La cura in questione è fatta di “bagni di natura”, e la prescrizione prevede esposizione costante e prolungata a luce naturale, alberi, fiori e tutto ciò che rende la natura una forza in grado di guarire. Trascorrere del tempo in mezzo al verde aiuta ad allentare lo stress e a rilassarsi. Il motivo è stato studiato da alcuni ricercatori giapponesi che hanno indagato sul cosiddetto metodo shinrinyoku («bagno nella foresta») scoprendo che i vari elementi di un bosco, come l’odore del legno, il suono dell’acqua che scorre e, più in generale, il paesaggio, donano una sensazione di rilassamento e riducono lo stress. Nei partecipanti allo studio si è verificato un abbassamento dei livelli di cortisolo (l’ormone associato allo stress), una riduzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna.

«La natura provoca effetti opposti a quelli causati dallo stress - conferma David Lazzari, presidente della Società Italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia - influendo direttamente su parametri come pressione sanguigna, battito cardiaco, glucosio e cortisolo. Questi effetti sono potenziati e amplificati se il tempo trascorso in mezzo alla natura è costante e di qualità». Molti, infatti, restano connessi a telefonini e simili. «In un parco, in mezzo ad un bosco, in montagna o al mare — prosegue Lazzari — senza rendercene conto facciamo anche cromoterapia ed aromaterapia perché i colori e gli odori delle piante contribuiscono a farci star meglio».

Ma la natura non agisce solo come anti- stress. Demenza, Alzheimer, depressione, diabete, asma: anche in questi campi la natura ha dimostrato di avere un effetto terapeutico. Ben diciassette studi hanno evidenziato che la presenza di spazi verdi nelle case di cura può aiutare a gestire meglio i sintomi di demenza. Di recente i ricercatori dell’università di Exeter hanno scoperto che i giardini naturali riducono l’agitazione di questi pazienti, incoraggiando e promuovendo invece il rilassamento. Anche i ricercatori dell’università del Michigan hanno scoperto che la memoria a breve termine può essere migliorata del 20% stando a contatto con la natura o anche solo guardando immagini di paesaggi naturali. E ancora, uno studio condotto dall’università dell’Essex, nel Regno Unito, ha dimostrato che fare attività fisica in campagna riduce la depressione in circa il 70% dei casi mentre i ricercatori dell’università dell’Illinois hanno rilevato che tra 400 bambini con diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/ Iperattività (ADHD), quelli che abitualmente giocavano all’aperto avevano una migliore concentrazione, oltre ad essere più calmi, rilassati e felici.

La natura può essere prescritta anche per alleviare i sintomi dell’asma. A dirlo sono i risultati di uno studio condotto dalla Portland State University che hanno dimostrato che gli alberi svolgono un ruolo fondamentale nel ridurre i livelli di biossido di azoto, un inquinante che irrita le vie respiratorie. Insomma, la scienza conferma che la natura può essere terapeutica. Ma attenzione a cosa si intende per “natura”. «Camminare all’aria aperta o in un parco cittadino non sempre è l’ideale se il livello di inquinamento è alto — avverte Antonio Maria Pasciuto, presidente dell’Associazione Italiana Medicina Ambiente e Salute — perciò, prima di correre su un viale alberato o in un parco cittadino meglio chiedere al Comune i dati sulla qualità dell’aria». Il problema sta proprio nell’accessibilità ad una “natura sana” visto che, secondo le statistiche, nei prossimi anni il 70% della popolazione mondiale vivrà in città.

Ecco perché ora gli scienziati stanno lavorando per arrivare a capire qual è la “giusta dose” di natura che i medici potrebbero prescrivere. In una ricerca che sarà pubblicata sul numero di giugno della rivista BioScience, un gruppo di biologi e medici dell’American Institute of Biological Sciences tenterà di studiare gli effetti dell’esposizione alla natura utilizzando il metodo dose-risposta a cui si ricorre per studiare gli effetti dei farmaci. In pratica, i ricercatori vogliono capire che “dose” di natura serve ad un paziente per ottenere un effetto sulla salute. Solo così si potrà passare da un generico invito ad una vera e propria prescrizione in cui indicare tempi, modalità e frequenza. Con un’unica avvertenza: «Chi soffre di stress cronico e iperattività — conclude Lazzari — ha difficoltà a rilassarsi e vive in un continuo stato di tensione, per cui quando si trova in mezzo alla natura sta male, diventa insofferente. E poi c’è chi ha paura degli animali o una vera e propria fobia per i luoghi non controllati». Anche la natura può avere controindicazioni. Il suono dell’acqua che scorre e l’odore del legno sono ottimi alleati A giugno sarà reso noto uno studio che ne misura la quantità necessaria.

postilla
Forse non è noto a tutti che, a fianco di queste (piuttosto diffuse da tempo anche dalla stampa di informazione generale internazionale) ricerche sul rapporto tra frequentazione del verde e benessere psicofisico, ce ne sono altre, altrettanto sistematiche, sul rapporto con alcune forme urbane, che in buona sostanza riguardano disponibilità di spazi verdi, qualità di questi spazi, e effettiva accessibilità e fruibilità. A questo proposito potrà forse suonare strano, ma torna in campo l’antica intuizione della cosiddetta Cité Jardin Vertical corbusieriana, e in genere l’idea razionalista di sviluppare gli spazi privati degli alloggi in verticale, per lasciare la maggior parte possibile di spazio pubblico e a verde disponibile. Il fatto che ciò poi coincida con la formazione delle famigerate «periferie disumane» non dovrebbe di per sé spingere, come invece di fatto è avvenuto, proprio a quella revisione dei rapporti fra edificato e spazi aperti, magari addirittura a favore di quei «quartieri giardino immersi nel verde» forieri di tanti altri guai, ambientali e sociali. Speriamo piuttosto che le nuove ricerche sui rapporti ottimali fra i vari tipi di spazio verde e naturale, possano dare indicazioni più precise anche per nuove forme urbane, sostenibili e abitabili, oltre quell’antica vaga intuizione novecentesca (f.b.)

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