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Vittorio Borelli
Quella gabella da 10 euro sul ponte e il duello (in bici) con il rapinatore
21 Aprile 2015
Spazio pubblico
Una specie di racconto in stile chiaroscuro chandleriano, sullo sfondo di un’idea stupida e sbagliata di spazio pubblico per la mobilità dolce pieno di difetti, facilmente rimediabili, ma bisogna pensarci.

Una specie di racconto in stile chiaroscuro chandleriano, sullo sfondo di un’idea stupida e sbagliata di spazio pubblico per la mobilità dolce pieno di difetti, facilmente rimediabili, ma bisogna pensarci. Corriere della Sera Milano, 21 aprile 2015, postilla (f.b.)

Ma che bella giornata di Primavera! Sole caldo, cielo azzurro e un’arietta frizzantina da liberi tutti. Liberi dal lavoro, dallo studio, dai rapporti usurati-usuranti, dalle ipocrisie della quotidianità. In bicicletta, dunque! E via lungo la Martesana, come l’operaio di Prévert in fuga dalla fabbrica. C’è da verificare, tra l’altro, se a Cernusco hanno finalmente alzato le chiuse, se l’acqua è tornata nel canale, insieme ai germani reali, alle gallinelle dal becco rosso, alle nutrie goffe e grassocce, alle bottigliette Heineken, ai sacchetti di plastica Esselunga, ai preservativi Hatù, agli scatoloni di cartone, ai bidet di ceramica, ai pannolini ripieni graziosamente rilasciati dai milanesi d’antan e da quelli acquisiti. La pedalata sciolta e vivace divora in pochi minuti il tratto Melchiorre Gioia-via Padova e affronta con determinazione l’asfalto rosso granulato di via Idro. Il campo nomadi sonnecchia sulla destra. L’orologio dice le 15,30. È tempo di siesta lì dentro. Due ragazzini giocano al pallone tra cocci di vetro e cumuli di macerie. Un cane abbaia senza convinzione, per dovere.

Superata una cancellata d’incerta utilità pratica, ecco il ponticello d’acciaio che porta al sottopasso della tangenziale Est. Di qua Milano, di là Vimodrone e Cologno. La citybike nera da gagà metropolitano s’inerpica sul manufatto modello Alcatraz dai parapetti altissimi. Ed è lì che, in una giornata praticamente perfetta, si verifica l’intoppo, l’incongruo che non t’aspetti: che c... ci sta a fare in mezzo al ponte quel giovanotto smilzo, biondo, con orecchino di perla e tatuaggi d’ordinanza sulle braccia? Più veloci di un flipper digitale, le sinapsi segnalano che la cronaca nera si è già occupata di quel posto e che il giovanotto in t-shirt e pantaloni scampanati alla marinaia potrebbe essere un lontano parente di Ghino di Tacco. Quello che taglieggiava i passanti piombandogli addosso dalla fortezza di Radicofani. Ghino, intanto, ha già spalancato le braccia magre occupando tutto la larghezza del ponticello. Fermarsi e pagare il pedaggio o andargli addosso rischiando di cadere insieme a lui? Fermarsi, ovviamente. Perché è in momenti come questi che fanno sentire il loro peso secoli di civilizzazione e la fragilità che ne deriva. «Dammi 10 euro» intima lui con un tono di voce acuto e vagamente isterico. «Ti conviene. Più avanti ci sono altri che t’aspettano. Ben più cattivi di me».

Lì per lì colpisce, più dell’offesa, la correttezza della sintassi e ancora di più la logica economica della richiesta. Dieci euro, in fondo, sono poco più di quello che se ne va quotidianamente fra lavavetri e mendicanti vari. Resta il fatto che la richiesta produce uno sdoppiamento della personalità. Quella razionale e pragmatica propende per un ragionevole compromesso: rassegnarsi, pagare e filare via. Quella legalitaria e intransigente spinge per assumere l’iniziativa: un bel cazzotto sul naso e magari un calcione tra le palle, come farebbe Bruce Willis. Questa o quella? Né l’una né l’altra, alla fine, ma il tentativo di ipnotizzare il ragazzo di vita con una dotta affabulazione sui rischi immediati e prospettici di una vita border line, dissoluta e violenta. E con la speranza di veder spuntare un altro ciclista, un maratoneta con le Nike, un pensionato delle ferrovie, un birdwatcher con la Nikon, magari un rom onesto. Invece niente.

Ghino, comunque, non ha alcuna intenzione di lasciarsi irretire da una morale che suona palesemente strumentale nelle circostanze date. Sulle sue labbra sottili affiora un ghigno che sa di angoli bui, di lacci emostatici, di farmacie notturne, di carabinieri maneschi. Con gesto teatrale affonda la mano destra nella tasca dei pantaloni e ne estrae qualcosa di luccicante che assomiglia molto al manico di un coltello a serramanico. Il gesto abbassa di qualche centimetro la cintura dei pantaloni e scopre l’elastico degli slip neri marcati Ascot. Che i 10 euro gli servano per comprarsene altre due paia di ricambio?

È chiaro a entrambi che lo stallo non può durare a lungo. Ok, vada per i 10 euro. Purché si salvino i documenti, l’orologio, il cellulare e la citybike... D’altronde, non è forse questa la nuova banalità del male? Non quella della Arendt, fondata sulla violenza dell’ideologia, quella sminuzzata e minimalista di questi tempi mediocri.

Con studiata e lenta rassegnazione l’affabulatore frustrato prende a ravanare nello zainetto alla ricerca del portafogli. Ancora nessuno all’orizzonte. A poche decine di metri auto e camion sfrecciano ronfando sulla tangenziale. È in questo preciso momento che avviene la mutazione. Mentre gli viene allungata una banconota nuova da 10 euro, il cordiale Dr Jekyll diventa l’irascibile Mr Hyde e si avventa brutalmente sul bersaglio grosso: il portafogli. Ma il legittimo proprietario del medesimo, che già mal sopportava il Dr Jekyll, non è per niente disposto a subire Mr Hyde.

Seguono lunghi secondi di strattonamenti e spintonamenti. Più un certo numero di vaffa reciproci. Finché Mr Hyde, a cui non fa difetto il senso della tragedia shakespeariana, torna a infilare la mano nella tasca destra. Quella del serramanico. Una mossa ad effetto che chiude di fatto la partita.
Il ragazzo con l’orecchino di perla prende il portafogli, se lo mette in tasca come fosse il suo e, dando prova di lodevole moderazione, si disinteressa dell’orologio e di tutto il resto. Poi si allontana, con aria svagata e passo dinoccolato, verso il campo rom. Lui che rom non è di sicuro. «Perché i rom che vivono lì — spiegano al commissariato di polizia — hanno tutti la pelle olivastra».
«Ma restituisci almeno i documenti, accidenti a te!».

Il portatore di mutande Ascot non accenna nemmeno a fermarsi. Si limita a lanciare il portafogli verso il Lambro. Da che mondo è mondo le vittime non meritano che disprezzo. Ma il parapetto di ferro è alto e il portafogli ricade sul ponticello. Aperto. Con tutti i suoi simboli di modernità e benessere in bella evidenza: il bancomat, le carte di credito, l’abbonamento dell’Atm, la tessera sanitaria e quella del Fai, la patente di plastica rosetta..

postilla

In premessa, va dato merito all’autore dell’articolo di aver più volte sottolineato come l’aggressore sia molto presumibilmente un coatto locale, nulla a che vedere con la solita fauna misteriosa che tanto piace ai razzisti securitari per le loro campagne elettorali. Perché da quelle parti c’è anche una solida presenza di cosiddetti campi rom, e ci mancavano pure quelli, ma il problema è un altro, e si chiama ahimè progettazione di spazi pubblici, e specificamente qui di un corridoio di mobilità dolce. I nostri “tecnici” qui si sono espressi al meglio nel concepire, per la sicurezza di chi lo percorre il corridoio, quanto di più insicuro possibile, ovvero un budello senza uscita di centinaia e centinaia di metri, fatto di varie barriere insuperabili (muri di recinzione, il canale, il fiume, le spalle del ponte, il puzzolente sottopassaggio della Tangenziale … qualcuno forse ne avrà visti degli scorci a una comunicazione alla Scuola di Eddyburg) su entrambi i lati. Così, dentro alla sequenza di budelli cul-de-sac si forma naturalmente una trappola, sempre pronta a scattare appena cala sotto una certa soglia la dissuasione degli “occhi sulla strada”. Un caso frequentissimo di sventatezza tecnico-progettuale in senso lato: niente vie di fuga, niente possibilità di controlli qualsivoglia: quanti spazi pubblici di fatto abbandonati del genere conosciamo? Luoghi dove si avventura solo quel genere di spedizione organizzata, o il solitario impavido atleta sprezzante del pericolo? Ognuno di noi ne potrebbe elencare centinaia, e la questione è sempre la stessa, che rinvia a un paio di principi semplicissimi: il cul-de-sac e la privatizzazione di fatto. Ricostruite una rete, stimolate le attività permanenti, e avrete risolto gran parte del problema, ma vallo a spiegare ai tizi de “il problema è un altro” (f.b.)

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