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Federico Rampini
L’ultimo sogno di Bloomberg: “Dopo New York sindaco a Londra”
7 Aprile 2015
Città quale futuro
Discussione apparentemente surreale sulla necessità di mantenere la competitività della metropoli, e vaghe tendenze autoritarie tecnocratiche, non dissimili da quelle nostrane.

Discussione apparentemente surreale sulla necessità di mantenere la competitività della metropoli, e vaghe tendenze autoritarie tecnocratiche, non dissimili da quelle nostrane. La Repubblica, 7 aprile 2015, postilla (f.b.)

Come i chief executive, le star del calcio o i direttori d’orchestra. Anche il mestiere del sindaco diventa transnazionale, intercambiabile su un mercato cosmopolita. Ne sono convinte le due capitali della globalizzazione, New York e Londra. I giornali delle due metropoli si appassionano per un presunto scoop: Michael Bloomberg, tre volte sindaco della Grande Mela, starebbe sondando la possibilità di candidarsi a governare Londra. Bloomberg ha lasciato un ricordo eccellente dei suoi 12anni alla guida di New York: un periodo segnato dalla grande crisi di Wall Street nel 2008, ma anche da straordinari cambiamenti nell’urbanistica, il crollo della criminalità, gli investimenti nell’arte, i miglioramenti ambientali. Non stupisce che Londra possa corteggiarlo. L’importazione di politici stranieri diventerebbe una regola, visto che l’attuale sindaco della capitale inglese, Boris Johnson, è nato a New York 50 anni fa. E finora ha la doppia nazionalità. A quella americana ha detto di voler rinunciare, solo di recente, per ragioni fiscali e forse per puntare alla poltrona di premier. In quanto a Bloomberg, la nazionalità britannica non ce l’ha, ma potrebbe chiederla... “honoris causa”? Investitore emerito, Bloomberg ha creato a Londra la seconda sede della sua fondazione filantropica, che elargisce donazioni pari a 460 milioni di dollari all’anno.

A dare credibilità a Bloomberg come suo successore, è stato proprio Johnson. Nella sua column sul Daily Telegraph , ha spezzato una lancia in favore di un “secondo” sindaco americano (lui, Johnson, comunque non si ricandiderà al termine del suo mandato l’anno prossimo). Lo ha fatto col suo solito stile: ironico, eccessivo, sopra le righe. Ma al di là delle provocazioni e del patriottismo municipale – “caro Mike, vecchio amico, solo la guida di Londra per te sarebbe una vera promozione” – il commento di Johnson è davvero istruttivo. Nell’elencare le qualità delle due metropoli anglosassoni, coglie un tratto distintivo del nostro tempo. Tra i punti di forza che hanno in comune, il sindaco di Londra enumera una lista che include “musei e gallerie d’arte; sale di concerti; università di eccellenza mondiale”. Aggiunge il fatto che “sia New York sia Londra possono vantare una straordinaria diversità etnica, con circa 300 lingue parlate dai loro abitanti”. Esalta le strategie comuni alle due metropoli per allargare il verde pubblico, le piste ciclabili; la fioritura di start-up tecnologiche nel tessuto dell’economia urbana. Ricorda il fenomenale crollo della criminalità. Naturalmente Johnson promuove la sua Londra dandole voti superiori (“per la prima volta abbiamo scavalcato New York e Parigi come destinazione del turismo mondiale”). E tuttavia il suo elenco è un riassunto perfetto di ciò che distingue le nuove tecnopoli del terzo millennio. Le città che hanno più successo, che creano più ricchezza e posti di lavoro, hanno queste caratteristiche: investono molto nell’università e nella cultura; sono multietniche e associano i grandi flussi d’immigrazione con un calo evidente dei reati. Non a caso, città come queste eleggono dei sindaci sui generis. Imprenditore post-politico, visionario, audace, Bloomberg è un miliardario liberal, che non ha dimenticato le sue origini povere, ed era democratico fino a quando il suo partito rifiutò di dargli la nomination. Avendo costruito la più grande agenzia d’informazione finanziaria del mondo, e una fortuna personale di oltre 36 miliardi, è il 13esimo uomo più ricco del pianeta. Ma ha messo il suo patrimonio al servizio di cause progressiste: la lotta contro la lobby delle armi, il cambiamento climatico, i danni sociali del junk-food. Johnson, ex giornalista, in parte ha cercato di assomigliargli: ha unito posizioni liberiste in economia, e progressiste sui temi valoriali.

Il tormentone a favore di una candidatura Bloomberg a Londra è anche strumentale. Johnson nell’incoraggiare l’amico americano lo “avverte” che Londra rischia di diventare inospitale qualora il Labour vinca le prossime elezioni nazionali. Come se Barack Obama avesse impaurito gli investitori esteri allontanandoli dall’America... In quanto al New York Post di Rupert Murdoch, che avalla questa storia: non perde mai un’occasione per rimpiangere Bloomberg e attaccare l’attuale sindaco “socialista” di New York, Bill de Blasio. Accusato di occuparsi troppo delle categorie meno abbienti. Johnson vanta che Londra ha superato New York per il numero di addetti alla finanza (320.000). Non è un buon segno: gli inglesi hanno attratto speculazioni ad alto rischio, che le nuove regole americane mettono al bando.

postilla
Forse non sfugge, al lettore attento, la sottile analogia fra le forme sovranazionali di questo abbastanza surreale dibattito sul governo delle aree metropolitane, e certe nostre riforme nella stessa materia. Là dove i conservatori neoliberali puntano esplicitamente verso una sostituzione della classica rappresentanza locale con una maggiore importanza delle imprese e del capitale nella gestione delle gradi città (di fatto Bloomberg sarebbe un manager nominato, non certo un sindaco eletto, salvo referendum confermativo), le città metropolitane italiane in quanto enti di secondo grado, rispondono ai medesimi criteri di massima, salvo l’intermediazione dei partiti, che potrebbero localmente decidere anche di passare a forme di partecipazione più diretta dei cittadini. Insomma un dibattito certo da non perdere di vista, questo sulla efficienza e competitività metropolitana, perché ci interessa tutti molto da vicino (f.b.)

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