Novant'anni, e sembra ieri, soprattutto per quanto riguarda il modo di concepire e non governare le grandi arterie stradali alimentatrici di sprawl. Corriere della Sera Lombardia, 19 settembre 2014, postilla (f.b.)
«Uniforme, disadorna ma levigatissima, si dilunga come la guida di un corridoio d’albergo, evitando sino al possibile le curve ed ogni contatto, ogni intimità e ogni emozione, il pittoresco e il romantico; arida e muta come un’asta, precisa come una pagina di orario, obbediente a una disciplina, la brevità, e a uno scopo, l’utilitarismo». Doveva apparire davvero strabiliante agli occhi di cronisti dell’epoca, quel grande miracolo che in soli 15 mesi aveva portato un paese in miseria alla ribalta internazionale. L’apertura della Milano-Varese, prima autostrada del mondo, inaugurata il 21 settembre del 1924, proiettava di colpo l’Italia nel futuro in un momento in cui (era l’anno del delitto Matteotti) il regime aveva bisogno di consensi e di un rilancio dell’immagine.
Tutto era nato due anni prima dalla lungimiranza di un imprenditore lombardo, Piero Puricelli,che costruendo strade aveva costruito la propria fortuna. Il suo sogno era quello di realizzare la prima «via per sole automobili», intravedendo le grandi possibilità che lo sviluppo della motorizzazione avrebbe presto avuto. Una vera scommessa se si pensa che all’epoca in Italia circolavano solo 85 mila veicoli.
All’inizio del 1922 Puricelli, proprio mentre stava progettando l’autodromo di Monza (il terzo più vecchio impianto fisso dopo Indianapolis e Brooklands) che sarebbe stato inaugurato a luglio dopo soli 50 giorni di lavori, cominciò a dedicarsi a tempo pieno al suo sogno, quello di unire con un’autostrada Milano a Varese ma anche a Como e al Lago Maggiore. Preparò uno studio di fattibilità è trovò subito l’entusiastico appoggio dall’Aci e dal Touring Club. Il 18 novembre del 1922 costituì la «Società anonima autostrade» e, 5 giorni dopo, a meno di un mese dalla marcia su Roma, andò da Mussolini a illustrare il suo progetto.
Il capo del governo capì al volo che quella era un’occasione da non perdere («grandiosa anticipazione italiana, segno della nostra potenza costruttiva degna degli antichi figli di Roma», avrebbe detto a opera conclusa), anche perchè i costi per la realizzazione, 90 milioni, sarebbero stati a carico dell’imprenditore: un prototipo del tanto sbandierato project financing cui si fa ricorso oggi per costruire le nuove autostrade, ma che allora (come adesso) finì poi per mostrare tutti i suoi limiti. Il duce chiamò il ministro dei lavori pubblici ordinandogli di mettere a punto tutti gli atti necessari per autorizzare l’opera. Fissò il giorno dell’inizio lavori, a Lainate, in cui sarebbe intervenuto con il primo colpo di piccone, e quello dell’inaugurazione. Tra le due date c’erano soltanto 500 giorni per costruire 43 chilometri. Tempi pienamente rispettati.
Fu così un grandioso cantiere quello che si aprì nel maggio del 1923, considerate anche le tecnologie dell’epoca. Ci lavoravano a tempo pieno, 7 giorni su 7, quattromila operai che movimentarono due milioni di metri cubi di terra, costruendo 219 manufatti in cemento, tra cui 35 ponti e 71 sottopassi. Per la pavimentazione (spessa sino a 20 centimetri), realizzata mischiando sassi con sabbia e cemento, furono usati 120 mila metri cubi di pietrisco che venivano trasportati in treno dalle cave di Puricelli alle stazioni più vicine e poi, con vagoncini che si muovevano su appositi binari, sino al luogo di utilizzo.
Per il calcestruzzo Puricelli comprò nelle Stati Uniti cinque grosse betoniere che potevano produrre 1200 metri cubi di conglomerato al giorno. I progettisti trovarono soluzioni all’avanguardia anche per realizzare le opere più impegnative, come il cavalcavia sulla stazione di Milano Certosa (che ancora esiste), tre campate ad arco di 21 metri l’una, il ponte sull’Olona a Castellanza e la galleria di Olgiate Olona. L’autostrada (la prima al mondo, anche se i tedeschi ritengono che il primato vada alla loro Avus, un circuito di prova inaugurato a Berlino nel 1921)aveva solo una corsia per ogni senso di marcia ed era larga tra gli 11 e i 14 metri. A Milano il casello era in viale Certosa all’altezza di Musocco, i dipendenti erano in divisa e avevano l’obbligo di fare il saluto militare. La sbarra si alzava alle sei del mattino e si chiudeva a mezzanotte.
Alla cerimonia di inaugurazione intervenne il re, a bordo di una Lancia Trikappa guidata da Puricelli. Per l’ingegnere fu il coronamento di un sogno ma pure l’inizio di un’intensa attività che lo portò a costruire molte autostrade anche all’estero. Ricevette onoreficenze, lauree honoris causa, il titolo di «conte di Lomnago» e, nel 1929, fu pure nominato senatore.
postilla
Negli anni '20, come si è ricordato anche alla penultima edizione del Seminari di Eddyburg, dedicata alla dimensione metropolitana, insieme alle autostrade nascevano, o provavano a nascere, anche piani territoriali per affrontare l'emergere della nuova geografia urbana indotta dalla compressione spazio-temporale delle autostrade. Come ci spiegava poco dopo (1933) il sociologo Roderick McKenzie, la scala metropolitana si sostituiva in senso identitario, fisico, socioeconomico, a quella urbana così come la grande città industriale delle stazioni ferroviarie, e poi dei tram, aveva soppiantato la città murata della tradizione. Anche nell'area milanese si discuteva della possibilità di questi “piani regionali”, puntualmente sabotati da chi riteneva di sapersi regolare benissimo da solo, ed è continuata così nel dopoguerra facendo saltare i modelli virtuosi del Pim, fino ai nostri giorni della cosiddetta città infinita, che si allarga ad archi concentrici principalmente (guarda un po') dal vecchio asse dell'Autolaghi, all'altrettanto storica Milano-Brescia, via Pedemontana Lombarda. Di piani territoriali, neppure l'ombra, salvo quelli che “recepiscono” passivi un nuovo segmento della mega lottizzazione in corso. C'è un'alternativa? Lo chiediamo spesso (f.b.)