Un intervento repressivo, l'ennesimo, contro i rischi e i disagi indotti dalla mobilità urbana auto-centrica, non pare riflettere davvero la natura del problema. La Repubblica, 3 novembre 2013, postilla (f.b.)
LIMITE a 30 km orari per le auto in città: la rivoluzione prende corpo. L’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, ha lanciato la sua proposta di modifica del codice della strada e subito il governo ha risposto. Lo ha fatto accorciando i tempi di un progetto che martedì prossimo inizia l’iter legislativo, per «tutelare e garantire la sicurezza nelle aree urbane», come conferma il sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Erasmo D’Angelis. La misura più importante lanciata dai Comuni e recepita dal governo? La possibilità, appunto, «di moderare la velocità massima nei centri abitati a 30 km/h in tutte quelle aree con caratteristiche infrastrutturali che lo consentono, con eccezione delle principali arterie di scorrimento».
Il tema è dibattuto: anche se l’idea di abbassare il limite piace, perché difende gli anelli più deboli della mobilità, ossia utenti delle due ruote e pedoni, restano tanti dubbi: l’Anci è composta da sindaci e assessori che nei loro Comuni non hanno (quasi) mai realizzato nulla del genere. E poi è sotto gli occhi di tutti come in pochissime città si riesca a far rispettare il limite dei 50 all’ora, figuriamoci quello dei 30. Senza contare l’esempio romano, che brucia ancora: nella nuova viabilità intorno al Colosseo è stato da poco introdotto proprio il limite dei 30 km/h, sorvegliato dauna fitta rete di autovelox. Com’è finita? Nessuno sapeva di questi nuovi limiti, segnalati male, con il risultato che è stato multato praticamente chiunque passasse di lì: il limite c’è ancora, ma gli autovelox sono spenti.
In realtà, anche se il passaggio da 50 a 30 porterà non poche polemiche, il progetto dell’Anci è molto più articolato, e non consiste nella semplice imposizione di un limite. Si parla infatti di «una drastica rivoluzione dei principi delle regole della strada ». La proposta prevede, per esempio, che il lato destro delle strade sia libero da parcheggi e dedicato alle piste ciclabili. Si chiedono poi nuovi semafori con la precedenza di ripartenza dei ciclisti e la fine per le due ruote dell’obbligo di utilizzare le corsie a loro dedicate. I sindaci vorrebbero anche impedire ai regolamenti condominiali di vietare il parcheggio negli androni dei palazzi. La rivoluzione dei 30 all’ora, spiega il sottosegretario De Angelis, sarà «il punto di partenza per un’idea nuova di città e di mobilità che risolva la malattia italiana di ritardi accumulati da almeno 15 anni di sostanziale immobilismo con norme tecniche ormai da rottamare ». Siamo il Paese più indisciplinato d’Europa, con 78,5 milioni di multe l’anno, 215.000 al giorno. Per il governo, però, non si tratterà di un attacco frontale alle quattro ruote: «Non è guerra all’auto, ma al suo abuso. Del resto, le nostre città non sono più autocentriche. Ormai c’è una forte domanda di mezzi pubblici, di aree pedonali. E, finalmente, un intelligente investimento sulla bicicletta vista come fattore di modernità». I dati lo confermano: siamo passati dal 2,9% di ciclisti urbani del 2001 al 9% di oggi, con 5 milioni di persone che pedalano per spostarsi da casa al lavoro. E non è un caso d’altra parte che il nostro Paese — a livello europeo — sia secondo solo alla Grecia per numero e gravità di sinistri che coinvolgono le due ruote e i pedoni. È ora di fare qualcosa.
postilla
Difficile non concordare sulle premesse e gli obiettivi di quanto descritto, ma resta una certa perplessità sullo strumento e le specifiche strategie che delinea: PRIMA un nuovo divieto, un cartello, la minaccia di sanzioni, e POI si vedrà. Come sottolinea anche l'articolo, i cartelli (nel nostro paese, poi, dove anche i limiti di velocità paiono decisi con criteri del tutto surreali, e le sanzioni applicate in modo altrettanto discrezionale) quando non corrispondono a comportamenti indotti in altro modo restano solo una pia intenzione. Ovvero, ci sfugge qualcosa, o forse, più probabilmente, siamo di fronte all'ennesima iniziativa estemporanea di qualche esponente politico che cerca visibilità, magari consenso da parte di alcuni settori sociali, ma che susciterà subito le ire di chi, magari con qualche motivo, si sente inutilmente penalizzato. Come sosteniamo da sempre su queste pagine, le città sono un'insalata mista di spazi e comportamenti, e per raggiungere un pur vago equilibrio non basta intervenire solo su un aspetto, e neppure tre o quattro. Occorre pensare in modo complesso, e con tutto il rispetto un paio di cartelli, qualche straordinario dei vigili, e una mano di vernice a tracciare piste ciclabili, non paiono proprio riflettere la complessità urbana (f.b.)