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Tomaso Montanari
Salviamo il centro di La Spezia
4 Settembre 2013
Spazio pubblico
E’ possibile oggi, e soprattutto è giusto, modificare radicalmente i luoghi sensibili della città senza coinvolgere i cittadini? C’è chi pensa di no; anche noi, ma.... Il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2013, con postilla

E’ possibile oggi, e soprattutto è giusto, modificare radicalmente i luoghi sensibili della città senza coinvolgere i cittadini? C’è chi pensa di no; anche noi, ma.... Il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2013, con postilla

Il sindaco Massimo Federici (Pd) è deciso a rifare Piazza Verdi, che è uno dei pochi luoghi di La Spezia che è uscito indenne dai bombardamenti, nonché un prezioso esempio di spazio pubblico razionalista. In un primo momento, la soprintendenza (basandosi su dati inesatti) ha autorizzato un progetto che prevede largo uso di cemento e l’abbattimento di pini di 70 anni. Ma, una volta insediato Massimo Bray, il Mibac ha chiesto alla stessa soprintendenza e alla Direzione regionale della Liguria di approfondire la questione, e stabilire quali siano i veri obblighi di tutela relativi a Piazza Verdi. Nel frattempo, i cittadini protestano. Un appello, che ha già raccolto 1.300 firme, denuncia che “l’intervento snatura irrimediabilmente l’identità del luogo, cancellandone in modo irreversibile la memoria storica, smantella la piazza esistente inserendo elementi estranei e di qualità architettonica discutibile, al posto delle alberature centrali: portali e pilastri luminosi, vasche squadrate che non si armonizzano con i palazzi circostanti”.

Ci si chiede ancora una volta come sia possibile pensare di stravolgere una piazza centrale di una città, senza coinvolgere i cittadini, cioè i legittimi titolari dei diritti sulla città, calpestando un diritto sancito dalla nostra Costituzione e ignorando che la Comunità europea dispone che i progetti co-finanziati Ue siano condivisi con la popolazione. La battaglia dei cittadini della Spezia è una battaglia di civiltà, in difesa di un bene comune e dell’assetto storico di una piazza italiana, che appartiene al patrimonio culturale del Paese, tanto più in una città che ha perduto parte del suo patrimonio artistico e che dovrebbe concentrarsi sulla conservazione di quello residuo operando interventi di restauro, rispettosi dei valori identitari, e non avventurarsi in discutibili operazioni milionarie di facciata del tutto decontestualizzate. Del progetto di Daniel Buren si può pensare ciò che si vuole (io lo ritengo assai brutto), ma ciò che davvero non capisco è come un sindaco di sinistra, invece di concentrarsi sulle periferie, preferisca gingillarsi con un centro storico che può solo rovinare. E questo non è un problema estetico: è un problema democratico.

postilla
Neanch’io voglio entrare nel merito della qualità del progetto (che peraltro anche a me sembra bruttissimo). E non sono pregiudizialmente contrario all’introduzione di elementi contemporanei nella città antica. Ma so che la città non è solo le sue pietre, ma anche la comunità che la vive. So anche che per gli spezzini Piazza Verdi è un simbolo vivo della continuità della sua storia attraverso i drammi e le distruzioni: era l’unico spazio pubblico rimasto indenne dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e rispettato nella ricostruzione postbellica. Decidere di cambiarne vistosamente l’aspetto senza aver preventivamente discusso delle diverse ipotesi progettuali con i cittadini è stato un errore grave: imperdonabile in una fase di crisi delle istituzioni e delle altre forme di rappresentanza democratica. Intestardirsi significa intendere il ruolo di eletto come potere arrogante anziché come servizio alla collettività.
Ciò detto, non concordo con l’affermazione conclusiva di Montanari, che mi sorprende esca proprio dalla sua penna. Se davvero Montanari condividesse quello che gli è scappato dovrebbe rimproverare Ignazio Marini che ha coraggiosamente ripreso l’antico disegno, avviato da Luigi Petroselli, di liberare l’area dei Fori per far ripartire proprio dal centro antico il ridisegno di una nuova Roma, e avrebbe criticato, a Napoli, la prima giunta Bassolino, che proprio dalla liberazione dalle auto della centralissima Piazza Plebiscito (che qualche sprovveduto vorrebbe oggi rinnegare) avviò il “Rinascimento napoletano”, culminato nell’approvazione del PRG del 2004
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