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Fabrizio Ravelli
La Caduta degli Dei del Mattone
17 Maggio 2013
Milano
Le micidiali strategie speculative della lunga surreale stagione di urbanistica

Le micidiali strategie speculative della lunga surreale stagione di urbanistica private-oriented crollano, lasciando la città devastata e il futuro tutto da costruire, ci sono prospettive? Intanto il loro regista è diventato ministro delle Infrastrutture. Articoli di F. Ravelli e A. Stella, La Repubblica, Corriere della Sera, 17 maggio 2013, postilla (f.b.)

la Repubblica
Milano la città dei grattacieli “mancati”
di Fabrizio Ravelli

MILANO — «Non ci dormo la notte», confessa Ada Lucia De Cesaris, assessore all’Urbanistica e vicesindaco, che pure ha fama di donna tostissima. Poltrona scomoda la sua, di questi tempi. Prima le è toccata una dura battaglia per mettere un argine alla delirante colata di cemento concepita dalla giunta di Letizia Moratti, e per far passare un Pgt (Piano di gestione del territorio, quello che si chiamava piano regolatore) che fosse un po’ più vicino alla realtà di Milano. E adesso la crisi: il ballo del mattone è finito, la città dei nuovi grattacieli e dei grandi progetti arranca. Non passa giorno che nell’ufficio del vicesindaco non si presenti un costruttore che alza bandiera bianca. «Hanno fatto tutto l’iter, che è durato un paio d’anni. Hanno pagato gli oneri. Arrivano e dicono: non lo faccio più. Quest’anno ho restituito più di 22 milioni di euro di oneri di urbanizzazione». In questo scenario cosa resta dei mega-progetti che nei prossimi anni puntano a cambiare lo skyline di Milano?

PROGETTI RIDIMENSIONATI

L’ultimo segno, fortemente simbolico, della crisi è stata la notizia che dei tre grattacieli dell’area City Life — là dove c’era la vecchia Fiera Campionaria — se ne farà per ora uno solo. Resiste quello progettato da Arata Isozaki. Gli altri due, di Daniel Libeskind e Zaha Hadid, sono rimandati a tempi migliori, se verranno, mentre non si parla più del museo di arte contemporanea. Il progetto Santa Giulia a Rogoredo, dopo le disavventure giudiziarie dell’immobiliarista Luigi Zunino, è impantanato fra bonifiche del terreno — mai fatte, o fatte in maniera truffaldina — e rinunce: non vedranno la luce gli appartamenti ipertecnologici concepiti da Norman Foster. Al Portello — che è forse l’intervento messo meglio — sono alle prese con il famigerato tunnel progettato ancora ai tempi della giunta Albertini, che doveva convogliare il traffico delle autostrade verso i capannoni della Fiera: peccato che la Fiera Campionaria non esista più, e che il tunnel — costato una montagna di quattrini — sia lì in attesa di un’idea per il suo riciclo. Anche a Porta Vittoria, nell’ex-area ferroviaria, le rovinose sorti del costruttore Danilo Coppola stanno rallentando il progetto, e ancora si aspettano i fondi dello Stato per la Beic, la biblioteca europea di informazione e cultura.

Certo, i nuovi grattacieli vengono su come funghi nell’area Garibaldi-Porta Nuova. Poche settimane fa c’era una folla a curiosare nella piazza Gae Aulenti, fra specchi d’acqua e pietre grigie, sotto la mega-sede di Unicredit progettata da Cesar Pelli, che con i suoi 230 metri di altezza (antenna compresa) è l’edificio più alto della nuova Milano. Così come grandi folle si erano riversate a visitare il Palazzo Lombardia, 161 metri, progetto di Pei-Cobb-Freed e Partners, il sogno della megalomania di Roberto Formigoni. I milanesi sono fatti così: dagli qualcosa di nuovo da toccare con mano e accorreranno in massa. Anche i video e le visite guidate agli appartamenti-pilota erano molto seguiti. Ma, con questi chiari di luna, sarà ben difficile piazzare le nuove bellissime “residenze” a 10 o anche 12 mila euro al metro quadro.

EDILIZIA IN CRISI

Il mercato è in crisi, i prezzi scendono, migliaia di posti di lavoro nell’edilizia sono a rischio. «L’occupazione nell’edilizia è in caduta libera — dice Luca Beltrami Gadola, costruttore, fiero oppositore della giunta Moratti — La crisi è drammatica. Basta guardare ai dati della Cassa edile, che pure si riferiscono solo alle assunzioni regolari, e non illuminano tutto il nero del settore. E se si vanno a vedere gli sfratti e le aste giudiziarie degli immobili, viene freddo». «Sì, il mercato non va bene — ammette Mario Breglia di Scenari Immobiliari, società di ricerca — Ma i numeri significativi non sono tanto quelli dei nuovi progetti. Ogni anno si scambiano 20 mila case, e quelle nuove sono 2 mila. E, per esempio, City Life e Porta Nuova rappresentano 3-400 alloggi. Il vero tema, a Milano, è lo svuotamento degli uffici. Il nuovo terziario si costruisce solo se è già venduto. Ma in 2-3 anni dovremmo avere 1 milione di metri quadri che verranno dismessi. Il mercato soffre perché l’economia va male, e i grandi investitori hanno difficoltà a trovare risorse. E in tempi di sofferenza, il mercato cambia: si comprava sulla carta, ora si aspetta di vedere l’immobile finito». Ma si può imputare solo alla crisi il freno messo al ballo del mattone? Quali sono gli altri fattori in gioco?

PREVISIONI DISSENNATE

La crisi pesa, ma conta anche la pianificazione sbagliata. Il Pgt della giunta Moratti, coordinato dall’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli, era fondato sulla previsione di una Milano (nel 2030) da 2 milioni di abitanti, poi ridimensionata a 1 milione e 700 mila. Vale a dire, quasi 500 mila residenti più di adesso. Uno studio curato dai docenti del Politecnico Matteo Bolocan Goldstein e Luca Gaeta dice questo: le previsioni del Cresme (centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato) fissano la popolazione di Milano nel 2019 fra 1 milione e 329 mila e 1 milione e 335 mila, con un fabbisogno di 282 mila alloggi, 28.200 all’anno. Ma bisogna tener presente anche le 190 mila abitazioni che finiscono sul mercato per morte dei proprietari anziani. «Il piano Moratti — spiega la ricerca — era dimensionato per circa 1 milione e 600 mila abitanti, con il presupposto che l’offerta crea domanda, che il volume edificabile è una variabile indipendente e genera popolazione futura». Una previsione che, usando un eufemismo, si può definire dissennata.

La giunta Pisapia s’è trovata sul tavolo un Pgt che prevedeva 26 nuovi quartieri, e ha deciso — sempre per usare un eufemismo — di “riequilibrare”. Ha tagliato drasticamente l’indice di edificabilità da 2,70 a 0,70, e ha cancellato il criterio di “perequazione” che avrebbe permesso ai proprietari di aree del Parco Sud di “densificare” ulteriormente i loro progetti in altre zone della città. Si trattava, in poche parole, di fare un enorme favore a Salvatore Ligresti, che nell’area di via Stephenson (periferia Nord-Ovest, a ridosso dell’Expo) avrebbe tirato su (con altri) qualcosa come 50 nuovi grattacieli. «Come nelle favole — aveva scherzato l’assessore Masseroli — il rospo di via Stephenson potrebbe diventare un principe se a baciarlo sarà la principessa Pgt». Ora questo progetto, che qualcuno fantasiosamente aveva accostato alla Défense parigina, pare accantonato. Ma quali sfide restano in campo? Quali opportunità? Di cosa ha bisogno il mercato delle costruzioni?

CASE LOW COST

Il mercato residenziale, dove pure i prezzi scendono, non ha poi certo gran fame di abitazioni a 10 mila euro al metro, quanto di case e anche affitti abbordabili dalla classe media, dalle giovani coppie, dagli anziani. È quella che si chiama — genericamente — residenza sociale o social-housing, e che nel Pgt Moratti vedeva alcuni progetti possibili all’interno degli ex-scali ferroviari. Sono alcune aree sterminate, il cui futuro — vista la crisi — è ancora in alto mare. Il vicesindaco De Cesaris lavora perché la residenza sociale trovi spazio nel futuro di Milano: «Le scelte che abbiamo fatto trovano conferme, perché riequilibrano, e ci permettono di agire senza gigantismi. Negli scali ferroviari il Pgt precedente prevedeva alcuni obblighi di residenza sociale. Noi stiamo proponendo di ridurre alcuni piani, mantenendo però l’attenzione a quel che chiede il mercato, cioè case a basso costo e in particolare ad affitto moderato».

Mica facile, fino a quando gli investimenti saranno condizionati solo dall’alta redditività. Che è poi il criterio che ha contribuito ad aggravare la crisi. Al centro c’è l’idea di città che deve stare alla base della progettazione, e che deve essere un’idea lungimirante: i Pgt lavorano sull’arco dei decenni. «Bisogna partiredall’ideacheivaloricresconoperlaqualitàurbana complessiva — dice Giancarlo Consonni, docente diUrbanisticaalPolitecnico—Laqualitàladetermini. Invece si fanno super-appartamenti, si fanno specie di bunker di lusso, quando il vero valore è la città. E la città è quel che trovi quando esci di casa». Al professor Consonni i nuovi progetti non piacciono: «Trovo fallimentare l’intera area Garibaldi- Porta Nuova, che sembrava trionfale e ora mostra la corda ».Un’areacheporta il peso di una pianificazione duratadecenni, da quando la si immaginava come nuovo Centro direzionale, e che l’inserimento di molta residenza — però di lusso, smisurata in altezza oppure bassa ma sovrastata da grattacieli alti 150 metri — non ha sostanzialmente modificato.

Ora si cerca, in qualche modo, di adattarsi alla crisi, o anche di trasformarla in opportunità. Il Comune spera di convincere gli imprenditori a ridurre i propri profitti, magari riconvertendo con l’aiuto dell’amministrazione il terziario sfitto in residenza accessibile. Un modello — fatto di incentivi fiscali e credito facilitato — già adottato in Inghilterra. La crisi, a volte, può servire. Basti pensare che il Parco Sempione, l’area verde più grande dentro Milano, fu un regalo del crack della Banca Romana, a fine Ottocento. C’era un progetto di lottizzazione per abitazioni di lusso, finirono i quattrini e spuntarono gli alberi.

Corriere della Sera Gli emiri sul tetto di Milano: il Qatar compra i grattacieli
di Armando Stella

MILANO — Porta Nuova, provincia araba di Doha. Non sarà il paesaggio di Cala di Volpe, l'incontaminata dreaming Sardegna da cartolina, ma anche questa è «diversificazione degli investimenti». Architetture vertiginose. La Milano proiettata verso l'Expo, rigenerata nel tessuto e rimodellata nelle forme: torri tagliate come diamanti; un Bosco verticale da abitare; il nuovo quartier generale Unicredit e un'ambiziosa Biblioteca degli alberi, quando verrà. Gli emiri erano già rimasti affascinati dalla Costa Smeralda e ne avevano conquistato i resort. Ora hanno raggiunto la terraferma. Operazione in grande stile: sono saliti sul tetto di Milano. Il fondo sovrano Qatar Holding ha ufficializzato ieri l'acquisto del 40 per cento di Porta Nuova, il piano di sviluppo immobiliare da oltre due miliardi di euro che sta rivoltando e costruendo su 290 mila metri quadrati del centro città, nei quartieri Garibaldi-Repubblica, appena oltre la cerchia monumentale dei Bastioni spagnoli: «Il progetto — è l'annuncio, o forse l'auspicio — imprimerà una trasformazione radicale per il Paese e creerà valore per tutti i soggetti coinvolti». In sintesi: il Qatar scommette sul real estateitaliano augurandosi che si riprenda, e renda. Intanto, suggerisce Manfredi Catella, «va colto il segnale di fiducia» trasmesso da questa partnership: «Agli occhi del mondo — riflette l'ad di Hines Italia, società capofila di Porta Nuova — è arrivata un'immagine di Milano vincente, competitiva, solida e affidabile».

Le prime voci sullo shopping di grattacieli griffati (Cesar Pelli e Stefano Boeri tra le firme) s'erano diffuse un mese fa, dalla Londra dei magazzini Harrods (altro business di Doha), ed erano pessimiste: «Il Qatar è in trattativa per acquistare alcuni edifici del distretto Porta Nuova, visto che la crisi economica italiana spreme (squeezes, ndr) il promotore americano Hines...». L'iniezione di risorse assicurata dall'emiro Hamad Bin Khalifa Al Thani consente al gestore italiano di «rafforzarsi e riprendere slancio»: «La società — rimarca Catella — si conferma come un'importante piattaforma domestica d'investimento e gestione per conto di investitori nazionali e internazionali». Il centro di Milano non è la Costa Smeralda, qui il fondo sovrano non ha acquistato un blocco di palazzi: «Resta minoritario e partecipa al progetto». La prospettiva è di lungo periodo. Il crollo del settore immobiliare ha stressato i calendari, rallentato le vendite (uffici e appartamenti sono stati collocati per metà) e fiaccato le imprese (la ditta del Bosco ha appena lasciato il cantiere: troppi debiti, sostituita). C'è da lavorare, insomma.

La notizia dell'accordo ha avuto l'effetto d'un tranquillante sugli scambi dei titoli immobiliari in Borsa. Riprende Catella: «Il territorio è la risorsa naturale più importante che abbiamo. Territorio nel suo significato più ampio: paesaggio, turismo, qualità, salute, università... Solo valorizzando le nostre ricchezze possiamo riattivare un motore strategico per la ripresa del Paese». L'aveva detto con parole analoghe, a novembre, l'ex premier Mario Monti: «Chi pensasse che queste operazioni di acquisizioni, di investimenti esteri in Italia siano modi per svendere società o beni italiani, farebbe un grandissimo errore...». Sei mesi fa il fondo strategico di Cassa depositi e prestiti aveva firmato con Qatar Holding per una joint venture da 2 miliardi di euro. La società mista ora c'è. La sede è in corso Magenta al 71. Sono tre chilometri dalla zona di Garibaldi-Repubblica.

Il fondo sovrano aveva già investimenti enormi nell'eurozona: Barclays plc e Credit Suisse, Harrods e London Stock Exchange, Lagardere e Porsche. In Italia, fino a ieri, un meraviglioso pezzo di Sardegna e gli affari con Cassa depositi e prestiti. Ora si sono aggiunti i grattacieli di Porta Nuova. Ma nei dossier dell'emiro compaiono anche aziende del settore alimentare e della moda. I prossimi obiettivi.

Postilla

Pare che tutto sia finito bene, le solite Borse tirano il sospirone di sollievo, l'ultimo chiuda la porta eccetera, e invece no, non è proprio finito tutto bene, come ci conferma da anni la discussione sulle nuove strategie di politica estera sviluppate dal Qatar, e da molti paragonate ad una vera e propria "jihad virtuale". Che va ben oltre la pura acquisizione di maggioranze azionarie, come ho provato a riassumere brevemente tempo fa in questa nota dal titolo L'Urbanistica come Alternativa all'Esercito (f.b.)
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