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Alberto Lucia; Magnaghi Carle
APPELLO. Valorizziamo la rinascita del municipalismo italiano
11 Settembre 2011
Appelli
Un appello, per un primo passo essenziale per la difesa del tessuto di base delle istituzioni del potere democratico, premessa per la progettazione di un rinnovato sistema dei poteri locali, dai quartieri allo stato.

Le straordinarie mobilitazioni di fine agosto dei sindaci e amministratori dei piccoli Comuni italiani, minacciati di estinzione da un decreto finanziario del governo di dubbia costituzionalità, hanno evidenziato con forza una consapevolezza diffusa del ruolo di presidio della democrazia nei suoi aspetti comunitari, che la tradizione dei Comuni italiani può ancora svolgere. A maggior ragione questa funzione di presidio è strategica nei quasi duemila piccoli Comuni sotto i mille abitanti minacciati di morte. Questi riguardano per lo più le aree dello spopolamento collinare e montano (un quarto dei Comuni italiani che riguarda non più di un milione e mezzo di abitanti), aree che con fatica cercano di ripensarsi con nuovi equilibri socioeconomici e culturali del dopo-sviluppo industriale delle pianure. Per fare solo un esempio, nella Comunità Montana Alta Langa in Piemonte 35 su 39 Comuni sarebbero stati falcidiati.

Abituati come siamo ormai a vedere le debolezze delle amministrazioni locali (connivenze per ragioni di cassa con la rendita, le operazioni immobiliari, il consumo di suolo, e cosi via), molti di noi (esegeti del paesaggio, associazioni ambientaliste) hanno invocato in tempi recenti poteri forti dello Stato per limitare e controllare i poteri corruttibili dei sindaci e degli assessori. Con ciò dimenticando quanto le mobilitazioni di questi giorni hanno riproposto culturalmente alla ribalta: il ruolo insostituibile, per la democrazia, delle istituzioni di prossimità agli abitanti. Questo soprattutto in una fase storica di vertiginoso allontanamento dei sistemi di decisione economico finanziari dai luoghi di produzione e riproduzione della vita, e di conseguente riconsiderazione, da parte delle comunità reali degli abitanti, dei patrimoni territoriali come beni comuni. E’ in particolare proprio dai piccoli Comuni dimenticati che il ruolo della gestione dei beni comuni territoriali nell’economia può divenire indicazione strategica per il futuro dei nuovi equilibri socioeconomici dell’intero paese.

Per questi motivi, in appoggio agli amministratori e a quanti si sono mobilitati per la difesa dei presidi comunali, consideriamo nostro dovere di intellettuali, da decenni impegnati nella ricerca relativa alle problematiche identitarie e alla progettazione di istituti di democrazia partecipativa, nonché nella formazione universitaria delle nuove classi dirigenti, precisare le ragioni di questo appello, che chiediamo di firmare a quanti lo condividono.

La ripartizione dei nostri Comuni non è una eredità del passato, obsoleta, costosa ed inutile, quindi modificabile in funzione di necessità contabili del momento, e neanche un’icona intangibile da conservare per ragioni di foklore e di immagine, quindi di marketing territoriale. In una visione di lungo periodo che comunque ci rimanda all’antichità romana, la suddivisione del territorio in municipia, arricchita ed accresciuta nel medioevo e nell’età moderna da nuove ripartizioni territoriali – le Comunità poi Comuni – dal nord al sud, dall’est all’ovest, e nelle isole, costituisce l’elemento primario di identificazione delle nostre popolazioni con i loro territori. Unica realtà politica non sovrastrutturale, ma intrinseca, che radica appartenenze, cultura locale, specificità, e in quanto tale attraversa i secoli, dal medioevo, agli antichi stati regionali, alla realtà unitaria. Si può discutere oggi sull’opportunità o meno di eliminare comunità montane, province, regioni, come già si è sempre fatto nel tempo per altre ripartizioni amministrative negli antichi stati regionali e nello stato unitario, in quanto sovrastrutture con un loro valore ed una loro durata nel tempo misurabile su diversi parametri, economici, politici, sociali

Il Comune non può essere una questione numerica, né meramente burocratico/amministrativa. Le odierne amministrazioni comunali sono la traduzione contemporanea dell’essere Comune, che si affianca alle precedenti, diverse nei secoli, continuando ad esprimere organi di governo locale. L’entità territoriale e numerica di ogni nostro Comune è una entità unica, costruita sul lungo o medio periodo, che traduce un modo di essere. Queste cellule, che per essere vitali vanno preservate nella loro unicità, contengono tutte le potenzialità che rendono il nostro paese così unico e così grande, pur nella sua complessità e nelle difficoltà che ne conseguono. La civiltà occidentale ci è debitrice di questa forma di governo locale, il cui principio abbiamo esportato in Europa. Che l’ha fatta sua e la difende gelosamente. Non a caso la Francia, Stato storicamente centralizzatore per antonomasia, non ha mai toccato l’individualità territoriale e la conseguente esistenza amministrativa dei suoi oltre 36.000 Comuni. Anche nella sua riforma territoriale in corso, volta a “rafforzare il binomio comune-intercomunalità che rappresenta il livello che offre la maggior capacità di risposta alle aspettative dei cittadini in termini di progettazione del territorio e gestioni dei servizi di prossimità”, riafferma “la preminenza del comune nell’organizzazione territoriale”.

Ci sono state nella nostra storia, pre e post unitaria, altre riforme di accorpamento, come quella Leopoldina che ha riguardato il Granducato di Toscana nella seconda metà del Settecento o quella del 1928 voluta dallo stato fascista. Tutti gli amministratori che hanno governato o governano Comuni nati da accorpamenti conseguenti a riforme di questo tipo possono raccontare come l’identificazione unica degli abitanti nelle nuove realtà accorpate non si sia mai di fatto realizzata e come questo abbia pesato e pesi sulla gestione del locale.

Anche se la gestione dei loro servizi richiede oggi capacità manageriali, i Comuni non sono aziende. Nella nostra cultura le aziende non generano e non mantengono attraverso le generazioni la carica simbolica e identificativa, che ogni nostro Comune, indipendentemente dalla sua entità e dalla sua collocazione geografica, possiede. Di questa il sindaco è investito in quanto eletto, e la sua figura non può essere ridotta a quella di un qualsiasi ufficiale di stato civile, pena il venir meno della coincidenza fra rappresentanza e identificazione.

Fin dalle sue origini, ogni Comune è stato e continua ad essere luogo di primaria e vera identificazione dei suoi abitanti, di quelli nati al suo interno come di quelli, da sempre numerosi, provenienti da fuori. Attraverso l’acquisizione di pratiche sociali, “stili di vita”, abitudini e percezioni che fanno di ogni nostro connazionale, di qualunque origine esso sia, innanzi tutto il cittadino di un Comune. Da secoli è sul territorio del Comune che si misura e si realizza l’integrazione reale dell’individuo. E’ questa una nostra specificità che non possiamo accettare di veder cancellare per ignoranza politica. I decreti legge non possono modificare la coscienza sociale. Al massimo le impongono degli adeguamenti, i cui costi sociali sono comunque da valutare.

Mantenere la ripartizione territoriale dei Comuni significa assumere la nostra storia nella sua interezza, anche come condizione imprescindibile di una concezione del federalismo fondata sulla partecipazione e sulla solidarietà, a partire dal municipio e dalle sue reti. Significa anche accettare tutto quanto ci ha portato ad essere uno stato nazionale, attraverso molti secoli di non unità politica. Imporre nuove ripartizioni su basi meramente numeriche significa non solo ignorare i fondamenti della nostra cultura, il nostro modo specifico di fare politica, ma privare i futuri cittadini del nostro Paese di una ricchezza secolare che è loro di diritto, qualunque sia la storia individuale che li ha portati ad essere, per nascita o per scelta, italiani.

Per questo chiediamo al sistema politico, abbandonando definitivamente l’infelice ipotesi di scioglimento/accorpamento dei piccoli Comuni, di prendere soprattutto coscienza della loro rilevanza vitale.

Per aderire: www.societadeiterritorialisti.it

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