la Repubblica del 29 luglio 2007
Venezia, notte sul Canal Grande per scoprire il ponte di Calatrava
di Roberto Bianchin
VENEZIA - Nella notte, sul Canal Grande deserto, la folla muta sulle rive, il dinosauro di cinquanta metri avanza lentissimo, a luci basse, sull´acqua quieta. Non c´è un´onda, non un filo d´aria, solo un´afa che ti scioglie.
Nessuno parla, sembra un film di fantascienza. «Una scena di Blade Runner», dice Marco, un ragazzo biondo. «No, Fellini, la notte del Rex», lo corregge Luca, che si è portato da casa un seggiolino per gustarsi lo spettacolo dal campo della Salute. Ha lasciato per ore la città con il fiato sospeso la lunga notte di Calatrava. Con migliaia di persone sulle rive, in un´atmosfera surreale, a guardare, prima preoccupate e poi contente, il passaggio del grande convoglio che trasporta i primi due pezzi del ponte del celebre architetto che collegherà la stazione con piazzale Roma.
Trattengono il fiato le vecchiette in ciabatte di Riva del Carbon al momento del passaggio sotto il ponte di Rialto, il punto più delicato, dove le distanze sono minime, appena pochi centimetri dalle rive, solo un metro di altezza dalla sommità dell´arcata cinquecentesca. Ma tutto fila liscio. I 25 tecnici della "Fagioli", l´azienda specializzata in trasporti eccezionali che manovra il convoglio, sanno il fatto loro. Sono gli stessi che hanno fatto viaggiare il sommergibile Toti da Cremona a Milano e spostato montagne dall´Arabia al Texas. Le due spalle laterali del ponte, lunghe 15 metri, larghe 7 e pesanti 85 tonnellate, arrivano a destinazione alle 2.30 del mattino con maggiore facilità e tre ore di anticipo sul previsto, dopo un viaggio durato quattro ore e mezza, due e mezza delle quali in Canal Grande. La prima «spalla», dal lato di piazzale Roma, è stata montata ieri. La seconda, lato Stazione, oggi.
La notte del 7 agosto, il secondo tempo del film. Con lo stesso sistema verrà trasportata l´arcata centrale del ponte, lunga 64 metri. Un´impresa ancora più difficile. Ma per camminarci sopra, tra lavori di consolidamento e di abbellimento, come i gradini di marmo e le balaustre di vetro, bisognerà aspettare Capodanno. E poi ci vorranno cinque anni di controlli costanti con una serie di sofisticati strumenti elettronici. Il ponte, che non ha ancora un nome, resterà un «sorvegliato speciale», perché essendo una struttura «spingente», spiegano i tecnici, si dovrà verificare che le fondazioni su cui poggia, che sono il punto più delicato dell´opera, non subiscano «spostamenti significativi». È una telenovela che dura da 11 anni quella del quarto ponte sul Canal Grande. Anni di attese, di errori, calcoli sbagliati, liti giudiziarie, polemiche, baruffe, e di costi triplicati (quasi 11 milioni di euro), che hanno provocato un´inchiesta della Corte dei Conti.
Anche per questo c´erano molti timori per il pericoloso viaggio nella notte, con il Canal Grande chiuso dalle 23 alle 6, niente barche né gondole né vaporetti, i pontili sbarrati, la circolazione pedonale vietata sui ponti e anche su qualche riva e calle. La chiatta «Susanna», un bestione lungo 50 metri e largo 16, che trasporta le due «spalle» fa la sua apparizione a mezzanotte precisa, come da copione, alla punta della Salute, dove comincia a entrare, lentamente, in Canal Grande, favorita dalla bassa marea che proprio in quel momento inizia il suo ciclo, e agevola il passaggio sotto i tre ponti dell´Accademia, di Rialto e degli Scalzi. Tirata con una grossa fune dal «Santa Marta», un pontone di 36 metri, e spinta da dietro dal «Mantova», con altri due barconi di appoggio al fianco, lo «Sparviero» e la «Scomenzera», la gigantesca chiatta era partita alle 22 dal cantiere di Marghera dove hanno costruito il ponte, e alle 23 aveva attraversato il canale della Giudecca. Ma la parte più rischiosa è l´ultima, il percorso in Canal Grande, che l´enorme convoglio occupa quasi interamente nel senso della larghezza, sfiorando le rive, i pontili e le «bricole», i pali di legno ai quali si legano le barche. I veneziani, nell´attesa, discutono e si dividono. C´è chi approva, entusiasta, come Marta, studentessa di lingue («Finalmente un segno di modernità»). Chi è perplesso, come Vittorio Sgarbi («Le rampe sono molto vistose, l´impatto non sarà così innocuo»). E chi disapprova, come Piero, cameriere: «Un´opera inutile. Per andare dalla stazione a Piazzale Roma ci metto 3 minuti in vaporetto e 5 a piedi. A cosa serve il ponte?». Più duro Giorgio, gondoliere: «Soldi buttati. Potevano farci mille altre cose più utili».
Il convoglio è scortato da cento uomini tra vigili, agenti e pompieri. Il sindaco, Massimo Cacciari, lo segue su una barca della protezione civile. Il primo passaggio difficile è a mezzanotte e un quarto, sotto il ponte dell´Accademia, il secondo 15 minuti dopo, alla curva stretta di Palazzo Grassi, che Dario Borsetti, al timone dello «spintore» Mantova, esegue preciso, con un colpo di biliardo, facendo la barba all´enorme teschio di lattine che annuncia la mostra d´arte moderna. Ma il punto più pericoloso è il passaggio sotto il ponte di Rialto. «Il momento più impegnativo», confida Salvatore Vento, dirigente dei lavori pubblici. La chiatta, secondo i programmi, doveva arrivarci alle 2 e impiegarci due ore e mezza per passarci sotto. Arriva con un´ora di anticipo, e lo passa, senza intoppi, in mezz´ora.
Lenta, anche se non lentissima, e precisa. Quando la sua sagoma sbuca dall´altra parte, all´1.35, e deve curvare ancora per imboccare diritto il «Canalasso», parte il primo applauso dalla folla. La tensione si scioglie, sopra il ponte un gruppo di ragazzi si mette a ballare e a cantare l´inno di San Marco, «le glorie del nostro leon». Finire il viaggio poi è un gioco da ragazzi. Come montare la prima delle due «spalle». Il sindaco Cacciari è visibilmente soddisfatto. «È andato tutto nel migliore dei modi», si complimenta con gli operai. Ma la telenovela non è finita. Il viaggio di Calatrava sarà ancora lungo. E la prossima notte sarà un´altra notte col cuore in gola.
il manifesto, 29 luglio 2007
La lunga notte di Calatrava
di Roberto Ferrucci
Sono qui, dice in perfetto dialetto veneziano l'uomo al telefonino, probabilmente alla moglie. Sono bloccato da questo «cancaro» di ponte di Calatrava. Pochi metri più in là, a Piazzale Roma, una squadra di tecnici sta lentamente facendo combaciare il primo braccio del nuovo ponte sul Canal Grande. Buona parte dei veneziani sono come questo tizio. Detestano tutto quello che si cerca di fare in questa città, soprattutto se intralcia la loro tranquillità, i loro percorsi e, soprattutto, i loro affari. Per tutto questo, dunque, sono poi del tutto - e colpevolmente - indifferenti allo scempio del Mose. Perché non li intacca direttamente, distrugge solo la laguna, quello, non i loro immediati dintorni. Egoisti sfrenati, i veneziani. Incapaci anche solo di intuire l'evento comunque epocale che in questi giorni Venezia sta vivendo. Perché al di là di tutte le polemiche il ponte di Calatrava è un evento epocale. Per gran parte dei veneziani, invece, una rottura di balle. Non proprio per tutti, a dire il vero. Perché se stamattina, sabato, sono poche decine ad accompagnare di pupille il lento amplesso fra il braccio versante Piazzale Roma alla spalla che lo sorreggerà per sempre - un appropinquarsi lentissimo come un corteggiamento fatale - erano in migliaia, la notte prima, a essersi dati appuntamento lungo le rive del Canal Grande e sopra ai suoi altri tre ponti per veder passare Susanna, una chiatta lunga cinquanta metri e larga sedici, sulla quale sono state collocate le spalle del ponte, ottanta tonnellate l'una. La prima trasportata la notte fra venerdì e sabato, la seconda fra sabato e domenica. Il 7 e 8 agosto toccherà poi al corpo centrale. Sì, una Venezia curiosa e partecipe c'è ancora. Non c'è solo chi spreme i turisti ma anche chi fa resistenza perché questa città non imbocchi la deriva disneylandiana che sembra sempre più inevitabile. Allora immaginateveli, questi veneziani, darsi in parte, qualche centinaio, appuntamento alla Biennale Teatro, per vedere «L'ultima casa», spettacolo scritto da Tiziano Scarpa e portato in scena dalla compagnia Pantakin nell'ambito della rassegna Goldoni e il teatro nuovo. Risate e applausi per un'opera che racchiude in sé la tradizione e la genialità di uno scrittore, Scarpa, che ha fatto sua - lo sanno bene i suoi lettori - non soltanto la lezione goldoniana. Applausi, dunque, e dopo la terza chiamata in scena di attori, regista, Michele Casarin, e autore, tutti sul Ponte dell'Accademia, ché sono quasi le ventitré e tra poco il pezzo di ponte passerà qua sotto. Questo, di legno, è già quasi pieno di gente. Dell'altro, quello di Calatrava, si parla da anni. Ritardi su ritardi, intoppi su intoppi, imprecazioni su imprecazioni, e stanotte, finalmente, è la notte. L'atmosfera è quella che respiri nelle feste popolari (c'è stato il Redentore, qui, un paio di sabati fa). C'è quella complicità collettiva sempre più rara, ormai. I turisti si domandano stupiti che cosa stiano guardando tutte quelle persone appoggiate al parapetto, sguardo puntato, per ora, verso il nulla. Qualcuno sfoggia il suo più che improbabile inglese per spiegare che un nuovo bridge nascerà stanotte. Sembra vuoto, in effetti, il paesaggio davanti gli sguardi di chi è appoggiato al parapetto. E anche se qualcuno domanda quando iniziano i Foghi (d'artificio, quelli del Redentore), lo spettacolo stupefacente è il Canal Grande piatto, vagamente immobile, del tutto privo del moto ondoso perpetuo che da sempre frastaglia il suo stare instabile. Qualcuno la guarda incantato, la superficie dorata non più graffiata ma accarezzata di luci, tirarsi via compatta, liscia e nitida, da qua sotto fino alla Salute. Mai vista, prima. Ma la gente è concentrata sul fondo, l'imbocco del canale, Punta della Dogana. Da lì apparirà Susanna, la chiatta e il suo pezzo di ponte sopra. Intanto, i lampeggianti blu della polizia municipale sono il segnale di qualcosa di imminente. Ecco vedi, dice qualcuno, laggiù. Ma laggiù è una motonave in arrivo da Punta Sabbioni. C'è l'ansia per l'evento o forse l'urgenza di raggiungere finalmente il letto. Nemmeno qua sopra soffia un filo d'aria. Ci si fa vento con ciò che capita e le due ragazze col ventaglio sono le più circondate. Alle 23.53, eccolo, esclama qualcuno. All'improvviso appare il corteo, aperto da Francesca, la barca d'assistenza. Si chiama come me, sorride una ragazza qua vicino, orgogliosa di partecipare per interposto natante all'evento epocale. Dietro, la superchiatta, ma non c'è nessuna Susanna, nei dintorni, a rivendicarne l'omonimia. L'equipaggio di tecnici è schierato a prua, caschetti gialli, tute arancione, pettorine rosse. Sembrano i Village People, ride Francesca. Ma l'evento è in atto, con tutta la sua simbologia. La gente cerca di riconoscere il pezzo di ponte. Qualcuno dice che brutto colore, è rossonero. Ma non sarà quello il colore finale, credo. La velocità è al ralenty. Ognuno può godersi in tempi più che dilatati il passaggio di questo urbanistico «c'ero anch'io».
In coda, a chiusura del corteo, il tanto evocato sindaco Cacciari, camicia grigia, pantaloni beige, capelli e barba che sembrano farsi un baffo dell'afa atroce. «Abbiamo previsto l'imprevedibile», ha ripetuto in questi ultimi giorni. E cioè il passaggio sotto al Ponte di Rialto, manovra che richiederà un paio d'ore, roba da notte inoltrata e arrivo in Piazzale Roma alle cinque e trenta del mattino Chissà chi porterà cappuccino e brioche agli abilissimi piloti di quegli enormi cosi. I più vanno a letto. Speriamo di non sentire un botto, verso le due, dice qualcuno. Se viene giù lo faranno rifare a Calatrava pure quello, esclama un altro.
E invece eccolo qua, la mattina dopo. Penetrazione perfetta fra braccio e spalla poco dopo mezzogiorno, addirittura in anticipo sulle tabelle. Ponte di Rialto sempre lì, calpestato da migliaia di sandali e infradito. Stanotte si replica, settimana prossima pure. E a Ferragosto sandali e infradito non si negheranno nemmeno a quel «cancaro» di Ponte di Calatrava. Che sarà bellissimo, statene certi.
www.robertoferrucci.com
il manifesto, 29 luglio 2007
Cinque secoli di fallimenti E ora il «valenciano»
di Maurizio Giufrè
La storia, a volte, si ripete, come nel caso dell'architettura veneziana. Cinque secoli fa il progetto di Andrea Palladio per il ponte di Rialto fu abbandonato perché la «risoluzione ben ferma di non cangiar nulla allo stato attuale delle cose» - come scrisse Antoine Rondelet nel suo «Saggio storico sul ponte di Rialto in Venezia» del 1841 - risultasse la «principal causa» dell'abbandono di una così «splendida soluzione» riducendola, nel 1587, al solo disegno inciso per «I Quattro libri dell'architettura» dell'architetto vicentino. Fortuna migliore non l'ebbe neppure Tommaso Temanza che, ideati nel 1780, non vide mai realizzati i suoi tre ponti per la sistemazione della Riva degli Schiavoni. Analoga sorte ha riguardato, infine, anche il ponte in pietra degli ingegneri Torres e Briazza, sostituito dal 1933 da quello «provvisorio» dell'ingegnere Eugenio Miozzi.
La vicenda del ponte di Santiago Calatrava si inscrive in questa lunga serie di fallimenti che hanno la loro origine nelle complesse relazioni instaurate tra i poteri pubblici, sempre più autoreferenziali, e i processi che concorrono agli affidamenti degli incarichi sia dei progetti sia dell'esecuzione delle opere. Se si scorre, però, la cronaca dell'architettura dal dopoguerra ad oggi i fallimenti nel capoluogo lagunare sono stati di ben altra misura, al punto che quello del ponte in questione risulta di scarsa rilevanza. I progetti non realizzati del Masieri Memorial sul Canal Grande di Frank Lloyd Wright, dell'ospedale di Le Corbusier e del centro congressi per la Biennale di Louis Kahn sono gli emblematici esempi che nessuna architettura contemporanea in programma - dal Nuovo Palazzo del Cinema alla «Venice Gateway» di Frank Gehry - potrà mai risarcire.
Il ponte di Santiago Calatrava, asciutto ed essenziale, non ha nulla delle dissonanze della sua Shadow Machine che nel 1993 accompagnò la sua prima presenza in laguna: una copertura di dodici elementi di calcestruzzo armato che si muovevano lentamente come le costole di un immaginario organismo vertebrato. Dove mai è approdata la sua ricerca sul movimento delle strutture, l'elasticità e l'equilibrio dei materiali, cardini della ricerca espressiva dell'architetto valensiano, è difficile dirlo. Anche i suoi recenti ponti italiani nello snodo autostradale di Reggio Emilia risentono di questa riduzione espressiva, indice di un collaudato e ormai ripetitivo repertorio tecnologico e formale pronto all'uso in qualsiasi contesto.
All'inizio degli anni novanta i suoi ponti strallati, ad arco o a pilone componevano una casistica che assumeva un altissimo carattere distintivo nel paesaggio urbano. Quegli studi che coniugavano sapiente riflessione sulla tecnica dell'acciaio e ricerca estetica sembrano oggi essersi esauriti in soluzioni scontate, insistendo sui componenti hi-tech dal candido effetto tonale, e come per Palladio il «non cangiar nulla» dimostra a volte di essere fatale.
il manifesto, 29 luglio 2007
La città lagunare lancia un ponte verso il futuro
di Orsola Casagrande
Il primo pezzo del ponte della discordia è stato dunque messo in posa. Venezia avrà il suo quarto ponte sul Canal Grande, il quattrocentotrentunesimo complessivamente. Disegnato dall'architetto spagnolo Santiago Calatrava dopo undici anni di polemiche, «baruffe», gioie e dolori, il ponte sta per diventare finalmente realtà (non prima di ottobre). Il progetto, da profani, è davvero mozzafiato. Il ponte infatti sarà in acciaio, vetro e pietra d'Istria. I costi di realizzazione fanno per la verità altrettanto sobbalzare: oltre 10 milioni di euro contro i due previsti undici anni fa.
La polemica più decisa è stata quella delle associazioni delle persone diversamente abili. Infatti il progetto non prevedeva, e questo non ha fatto onore a Calatrava, l'accesso per chi deve muoversi in carrozzina. Alla fine si è risolto con una ovovia che trasporterà da una riva all'altra chi non può camminare.
Il nuovo ponte sarà il primo sul Canal Grande dopo più di un secolo dalla costruzione ad opera degli Austriaci dell'ultimo ponte che attraversa il canale principale di Venezia, il ponte degli Scalzi di fronte alla stazione di Santa Lucia. L'idea iniziale, della prima giunta Cacciari, era quella di collegare Piazzale Roma, luogo d'accesso intermodale di mezzi pubblici e privati su gomma e su acqua, alla ferrovia, che oggi è una ferrovia di testa e nel futuro sarà anche il punto d'arrivo di un nuovo servizio regionale di "metropolitana a cielo aperto". Attraverso una gara internazionale di appalto, indetta dalla giunta Cacciari e basata sulla selezione non di un'idea progettuale ma del curriculum del progettista. Una volta scelto e affidato il progetto a Calatrava, l'architetto spagnolo ha proceduto seguendo alcune direttive esplicite indicate dal comune di Venezia. Prima di tutto c'era l'indicazione di un ponte che fosse collegamento tra mezzi di trasporto diversi ma che si inserisse armonicamente nell'ambiente particolare di Venezia.
Lo scoglio più difficile si è rivelato, giustamente, quello dell'accessibilità che doveva essere per tutti. Così nel 2003, di fronte alle proteste, l'allora sindaco Costa e, con maggiore reticenza, Calatrava hanno invitato le associazioni a presentare idee di accessibilità che si potessero applicare al progetto originale. Sul tavolo dell'architetto sono arrivate sette proposte elaborate da una squadra di trenta progettisti.
Con la messa in posa ieri notte dei primi due conci laterali le polemiche possono dirsi concluse. «Un'operazione di indubbia complessità, ma anche di grande fascino», ha detto l'assessore comunale ai Lavori pubblici di Venezia, Mara Rumiz. Ora si attende il trasporto del concio centrale - lungo 60 metri e pesante 270 tonnellate - che avverrà nella notte tra il 7 e l'8 agosto e sarà posizionato l'11 e il 12 agosto. Mara Rumiz ha ricordato anche che la posa sul Canal Grande di una grande opera di architettura contemporanea è un preciso segnale per Venezia, a non guardare soltanto al suo glorioso passato, ma a calarsi nel contemporaneo, anzi a proporsi come città-modello del contemporaneo, proiettata al futuro.
Perché abbiamo messo a questa rassegna stampa il titolo “bella cazzata”?
Il primo termine perché probabilmente è un bell’oggetto . Non lo abbiamo ancora visto, ma persone che stimiamo dicono che lo è, e del resto gli ingegnosi oggetti di Calatrava sopo generalmente belli. Del resto, valuteremo l’adeguatezza dell'aggettivo quando l’oggetto apparirà in tutto il suo probabile splendore.
Il secondo termine perchè il ponte è un errore almeno per tre motivi:
(1) non ci sono ragioni nell’assetto della città e delle sue previste trasformazioni che lo giustifichino; il percorso tra piazzale Roma e stazione ferroviaria si abbrevierebbe al più per uno o due minuti;
(2) perché spendere oltre 10 milioni di euro per una struttura inutile è uno spreco incredibile quando mancano i soldi per l’abitazione sociale, per la bonifica delle zone inquinate nello stesso centro storico, quando languono i lavori per il risanemento dei canali ecc. ecc.);
(3) perché, soprattutto, è da rifiutare l’deologia che sta alla base delle giustificazioni del ponte: che a Venezia servano altri monumenti, anzicchè la messa in valore delle qualità che storia e natura hanno già prodotto nel suo assetto; che Venezia debba diventare omogenea (per valori, simboli, funzioni, modi di abitare e lavorare) a qualsiasi altra città contemporanea.