Osservazioni al disegno di legge in materia di valorizzazione aree agricole e di contenimento del consumo di suolo.
Art. 1 Si propone una definizione più mirata delle motivazioni a cui risponde la legge:
1. La presente legge detta principi fondamentali per la conservazione e la valorizzazione dei terreni agricoli, al fine di promuovere l'attività agricola -necessaria anche nel contenimento dissesto del territorio - riconoscendole un ruolo fondamentale per il perseguimento di un rapporto equilibrato tra sviluppo delle aree urbanizzate e aree rurali, al fine di contenere e progressivamente azzerare il consumo di suolo libero, nonché per la tutela del paesaggio in attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio e dell'art. 9 della Costituzione.
Al comma 2, si ritiene più opportuna la seguente definizione: Le politiche di tutela e valorizzazione del territorio e del paesaggio agricolo e di contenimento del consumo del suolo e di sviluppo territoriale sostenibile sono coordinate con la sono attuate mediante la pianificazione paesaggistica prevista dalle disposizioni della Parte Terza del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
Al comma 3, si ritiene fortemente limitativa la definizione di aree agricole in rapporto alla loro destinazione in seno agli strumenti urbanistici vigenti. Occorre infatti tenere presente che in tutta Italia gli strumenti urbanistici vigenti hanno fino ad oggi previsto ampliamenti dell'urbanizzato in funzione di scenari di sviluppo economico e demografico largamente eccedenti le verosimili proiezioni, generalmente basandosi sull'assunto che i nuovi bisogni insediativi fossero sempre e comunque corrispondenti ad ampliamenti dell'urbanizzato, considerando il tessuto urbano come 'consolidato' non solo nel suo perimetro ma anche nelle sue funzioni, e trascurando così sistematicamente i vuoti funzionali lasciati alle spalle dai nuovi fronti urbani. Pertanto, la gran parte delle aree considerate “urbanizzabili”, non solo non saranno realisticamente urbanizzate, ma in molti casi risulta opportuno vengano fatte oggetto di revisione, onde verificare se i bisogni insediativi ivi localizzati non possano trovare altra, e più idonea, localizzazione all'interno del perimetro del tessuto urbano consolidato. Inoltre, il concetto di piani urbanistici 'vigenti' senza alcuna indicazione di soglia temporale fa sì che la semplice acquisizione dell'attributo di 'vigenza' di un piano urbanistico, indipendentemente da quando venga approvato, determina il venir meno automatico della attribuzione di area agricola: non è pertanto superflua la specificazione di una 'vigenza' entro l'entrata in vigore della presente legge, o comunque una scadenza temporale adeguatamente ravvicinata. Si richiede in ogni caso di definire le aree agricole in funzione del loro stato di fatto (come già avviene ad esempio nella legislazione della regione Lombardia), includendo anche le aree forestali:
“Ai fini della presente legge costituiscono terreni agricoli tutte le superfici interessate dalla presenza di suoli produttivi o comunque vegetati, coltivati, incolti o forestali, comunque non interessate libere da edificazioni e infrastrutture allo stato di fatto. Sono fatte salve le aree per le quali sono stati rilasciati titoli edilizi alla data di entrata in vigore della presente legge”
Art. 2 commi 1-4 e 9-10 Si riterrebbe molto opportuno, in incipit, introdurre un riconoscimento e una attribuzione valoriale al suolo: il suolo è un bene comune e una risorsa naturale fondamentale della Nazione. La progressiva espansione di aree urbanizzate e di usi del suolo concorrenti con la produzione vegetale determina effetti ambientali estremamente gravi ed una erosione irreversibile delle potenzialità produttive derivanti dalle lavorazioni agricole e forestali dei suoli e delle vegetazioni
La definizione di una soglia massima di superficie agricola 'edificabile' e il meccanismo di applicazione prospettato dalla norma (secondo una logica discendente, dal Governo, alle Regioni, ai Comuni) è una opzione di regolazione del consumo di suolo che non ci sentiamo di condividere stante la definizione di cui al primo articolo. In base alla lettera del testo, essa verrebbe infatti definita per sottrazione rispetto al suolo agricolo residuo alle previsioni urbanistiche vigenti in essere o future: ferma restando la possibilità di edificare per effetto di previsioni urbanistiche vigenti, si tratterebbe di una possibilità ulteriore, attualmente non data, di trasformare aree agricole. La proposta diventa ovviamente interessante se la definizione di area agricola viene modificata e resa aderente all'effettiva consistenza delle superfici agricole, e se la soglia di incremento, coerentemente con lo spirito della iniziativa legislativa, viene definita ad un livello molto inferiore al tasso annuo di variazione registrato negli ultimi decenni con riguardo alla componente 'superfici edificate', tenendo conto del patrimonio edilizio inutilizzato, sotto-utilizzato e recuperabile e se la stessa soglia di incremento ricomprende al suo interno anche le previsioni non attuate degli esistenti strumenti di pianificazione comunale. Preme in questa sede osservare come il meccanismo sotteso alla definizione di una soglia massima prescrittiva, concettualmente semplice, sia invece di attuazione estremamente complessa, in considerazione delle competenze pianificatorie concorrenti di Regioni ed enti locali, e della nonlinearità del processo pianificatorio, che notoriamente risponde poco a meccanismi di comando-controllo di natura esclusivamente amministrativa. Inoltre, la distribuzione tra tutti i comuni di quote di territorio agricolo edificabile prefigura una attuazione della norma deresponsabilizzante per l'ente territoriale, che si troverebbe a disporre di una aliquota di superficie edificabile, additiva rispetto a quella derivante dalla propria pianificazione territoriale, in ogni caso utilizzabile a prescindere da appropriate valutazioni di fabbisogno locale, la stessa, per essere ritenuta sostenibile (come prima indicato), non dovrebbe essere additiva, ma comprensiva delle previsioni pianificatorie non ancora attuate. Infine, la definizione di una soglia per l'edificabilità dei terreni agricoli, operativa nel suo recepimento da parte del piano urbanistico comunale, affronta solo una parte del problema del consumo di suolo, che avviene certo per progressione di edificazioni, ma anche per altre trasformazioni (reti infrastrutturali, cave, discariche, cantieri, aree attrezzate, ecc.), gran parte delle quali non dipendenti da potestà decisionali di livello comunale, ma ugualmente meritevoli di adeguata considerazione circa l'effettiva inevitabilità del consumo di suolo che ne deriva. Riteniamo in ogni caso che non si possano a priori prevedere limiti, comunque fissati, all'urbanizzazione di suoli agricoli, se, a monte, non si è censito il fabbisogno effettivo e non lo si è rapportato alle potenzialità di reimpiego di spazi già urbanizzati ma inutilizzati o sotto-utilizzati. Riteniamo pertanto che la presente legge debba prioritariamente imporre il censimento del patrimonio edilizio esistente e le sue potenzialità residue, e solo dopo questa varare specifici provvedimenti che concedano aliquote di nuovo consumo di suolo, demandando alle Regioni le modalità attuative, nonché i compiti di verifica e controllo dell'espletamento degli obblighi di censimento da parte dei singoli Comuni, ma stabilendo in ogni caso, fino all'adempimento di tale verifica, una sospensione dell'efficacia di tutti i piani e varianti per gli ambiti la cui attuazione contempli l’esigenza di nuovi consumi di suolo libero, nonché il divieto di approvarne di nuovi.
A valle del censimento, la quantificazione di fabbisogni che richiedono un consumo di nuovo suolo agricolo deve essere effettuata tenendo conto delle vigenti previsioni di carico insediativo dei piani urbanistici (prevedendo, nel caso che queste siano superiori, una adeguata rimodulazione delle previsioni di crescita).
commi 6-8 La funzione di 'monitorare il consumo di superficie agricola sul territorio nazionale e il mutamento di destinazione d'uso dei terreni agricoli' appare impropriamente attribuita ad un Comitato interministeriale costituito ad hoc, quando invece si tratta di funzione che appare più appropriatamente attribuibile ad una istituzione di studio e statistica territoriale quale, ad esempio, ISTAT, che già opera in questo campo e che il Senato della Repubblica ha recentemente indicato come istituzione di riferimento per il rilevamento e il monitoraggio del consumo di suolo. Quanto si richiede è, piuttosto, che le legende, le scansioni temporali, l'accuratezza e il grado di risoluzione delle misure vengano predeterminati in accordo con i criteri adottati da altre istituzioni e centri studio (ISPRA, JRC, Servizi tecnici delle Regioni, AGEA, CRCS-Politecnico di Milano), già attive in questo campo, onde individuare un protocollo comune di rilevamento e monitoraggio, scalabile fino al livello comunale e coerenziato con i sistemi di misura in essere negli altri Paesi UE. Si richiede inoltre una classificazione nazionale organica e coerente dei suoli agricoli in base alla classe agronomica, adottando per esempio il criterio introdotto in Piemonte da IPLA.
Si propone invece di attribuire a detto comitato la funzione di coordinare e monitorare l'attuazione della strategia nazionale per la riduzione del consumo di suolo, nonché di prevedervi la partecipazione di tre rappresentanti rispettivamente designati dalle organizzazioni agricole, delle associazioni riconosciute di protezione ambientale, delle istituzioni scientifiche
Art. 3 Si propone di prolungare ad almeno 20 anni il divieto di mutamento di destinazione per i terreni che hanno beneficiato di aiuti di Stato e Comunitari relativi alle misure di miglioramento del paesaggio agrario (molte delle quali prevedono interventi di natura agropaesistica e forestale la cui maturità interviene ben oltre i 5 anni dall'impianto).
Al comma 1, si ritiene pertanto più opportuna la seguente definizione:
I terreni agricoli in favore dei quali sono stati erogati aiuti di Stato o aiuti comunitari non possono avere una destinazione diversa da quella agricola per almeno venti anni dall’ultima erogazione salve più restrittive disposizioni esistenti. Fino alla realizzazione dell'intervento edilizio, sui terreni oggetto di trasformazione urbanistica sono comunque consentiti, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti, gli interventi strumentali alla coltivazione del fondo, all’allevamento del bestiame, alla silvicoltura, nonché quelle funzionali alla conduzione dell’impresa agricola e alle attività di trasformazione e commercializzazione dei propri prodotti agricoli.
Art. 4 Si fa presente che relativamente al contributo di costruzione citato al comma 3, il riferimento di legge corretto deve includere anche l'art. 19 del DPR 6 giugno 2001, n 380, per gli edifici non destinati a residenza.
Per le finalità del presente articolo, devono essere destinate ai Comuni specifiche risorse anche per la redazione di piani di recupero, corredati da studi di fattibilità, che prevedono la riqualificazione e rivitalizzazione dei medesimi centri e nuclei abitati.
Art. 5 Il registro dei comuni deve evidenziare pratiche urbanistiche effettivamente virtuose nei confronti della riduzione del consumo di suolo: per questo l'approvazione di strumenti urbanistici privi di ampliamenti di aree edificabili può rappresentare il requisito minimo di ingresso al registro, ma il punteggio di merito comporta ulteriori e più incisive azioni, che vanno dalla riduzione/stralcio degli ambiti edificabili già previsti negli strumenti urbanistici vigenti alla adozione di regolamenti edilizi che prevedano la riduzione dell'impermeabilizzazione, alla attivazione di misure agroambientali compensative delle trasformazioni urbanistiche. I comuni iscritti al registro devono beneficiare di priorità nell'erogazione di trasferimenti per la redazione di piani di recupero dei centri e nuclei abitati, ovvero di accesso a fondi istituiti ad hoc in materia di manutenzione del territorio.
Art. 6 L'articolo è fortemente condiviso nelle sue sottintese finalità, quanto si auspica è senz'altro la soppressione dell'abnorme facoltà concessa ai comuni di distogliere risorse dalla copertura dei costi di interventi di urbanizzazione alla copertura di spese correnti, ripristinando appieno lo spirito della legge 10/1977, art. 12. Nella versione originaria del 1977 (L. 10/1977) tale articolo prevedeva l'"utilizzo per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per il risanamento dei complessi edilizi nei centri storici, per l'acquisizione di aree da espropriare". La modifica intervenuta nel 1986 (D.L. 318/1986 convertito in L. 488/1986) introduceva l'espressione “nonché nel limite massimo del 30% per le spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale". L'art. 136 del D.P.R. 380/2001 tuttavia ABROGAVA integralmente tale fondamentale articolo. A fronte di quanto testé ricostruito, l'abrogazione della norma citata dal disegno di legge (peraltro trattasi di norma prevista a scadenza il 31.12.2012) non appare sufficiente: tale norma infatti stabilisce unicamente limitazioni alla discrezionalità concessa al comune dal testo unico dell'edilizia per come modificato nel 2001. La abrogazione di tali norme perciò non impedisce al comune di impiegare, anche al 100%, le entrate da oneri ai fini di coperture di spesa corrente. Ciò che è richiesto pertanto, in aggiunta alla abrogazione contemplata dal DdL, è il ripristino del disposto dell'art.12 l.10/1977, nella versione anteriore all'abrogazione intervenuta nel 2001, opportunamente attualizzata. La formulazione aggiornata e corretta che proponiamo è la seguente:
"i proventi derivanti dai titoli abilitativi edilizi e dalle specifiche sanzioni di cui al D.P.R. 380/2001 sono versati in un conto corrente vincolato presso la tesoreria comunale e sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria -tra cui le bonifiche ambientali/di aree inquinate e la messa in sicurezza del territorio e delle discariche per il risanamento dei complessi edilizi e la riduzione dei rischi (sismici in primis), per l'acquisizione di aree ed immobili da espropriare, nonché, nel limite massimo del 30%, per le spese di manutenzione del patrimonio comunale (tra cui , e nel limite massimo di un ulteriore 20%, per la bonifica ambientale e messa in sicurezza del territorio e delle discariche"
La nostra proposta riprende in altre parole la versione modificata nel 1986 della cd. 'Legge Bucalossi', ma estende le possibilità di utilizzo delle risorse, fermo restando il divieto di utilizzo a copertura delle spese correnti, prevedendo che il risanamento possa essere non solo per i centri storici ma per tutti i complessi edilizi, alla luce delle tantissime aree degradate e/o da bonificare collocate anche in posizioni periferiche, ed inoltre inserendo la possibilità di espropriare anche gli immobili (oltreché le aree). Il mantenimento della facoltà di utilizzo del 30% per la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio comunale appare opportuno per sanare troppe situazioni di degrado e obsolescenza del patrimonio edilizio comunale, tenuto conto del difficile contesto di trasferimenti di risorse ai comuni a fronte di esigenze impellenti di miglioramento dell’efficienza energetica e di messa in sicurezza statica e sismica. Rispetto all'epoca in cui fu varata la legge 'Bucalossi' inoltre, si vuole prevenire un eccesso di investimenti in nuove opere pubbliche (che anch'esse sovente determinano rilevanti ed evitabili consumi di suolo agricolo), privilegiando invece la manutenzione del patrimonio e del territorio esistente.
Oltre a ciò, riteniamo che si debbano prevedere opportune compensazioni per prevenire uno stato di sofferenza delle risorse finanziarie a comporre il bilancio di parte corrente, fino ad oggi (impropriamente) coperte dall'utilizzo degli oneri. Riteniamo che il recupero di gettito a livello di ente locale possa avvenire attraverso premialità in virtù delle quali, nella misura in cui un dato Comune dimostri di tutelare e valorizzare il suolo agricolo, ad esso derivino precisi ritorni, ad esempio in termini di maggior partecipazione al gettito fiscale derivante da imposte sul reddito, IMU e ex-ICI.
Ci auguriamo che le presenti osservazioni possano essere tenute in considerazione e cogliamo l’occasione per porgere i nostri più cordiali saluti.
Per il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio
Roberto Burdese, Damiano Di Simine, Alessandro Mortarino
Qui in eddyburg è scaricabile il testo integrale dell'ultima bozza(9.10.2012 del disegno di legge
INFO
Che cos'è il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio
Il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio è stato costituito formalmente il 29 Ottobre 2011 a Cassinetta di Lugagnano (Milano). Si tratta di un aggregato di associazioni e cittadini di tutta Italia (sul modello del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua), che, mantenendo le peculiarità di ciascun soggetto aderente, intende perseguire un unico obiettivo: salvare il paesaggio e il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio. Vi aderiscono attualmente oltre 12.000 persone a titolo individuale e 828 Organizzazioni (84 associazioni nazionali e 744 tra associazioni e comitati locali), tra cui tutte le principali realtà italiane operanti nel campo della salvaguardia del territorio, dell'ambiente, del paesaggio, dei suoli agricoli (l’elenco aggiornato è visibile nel sito Salviamo il paesaggio.