La salute delle popolazioni delle città italiane, si legge a turno in quotidiani e periodici, è minacciata, come tutte le cittadinanze del mondo civile, dall’ammorbamento dell’atmosfera. Il problema, certo, è grave e urgente, anche perché va assumendo aspetti sempre nuovi e proporzioni via via più preoccupanti.
A dare l’allarme e a risvegliare l’interesse pubblico sono occorsi, negli ultimi anni, alcuni gravi episodi, entrati ormai a far parte, si può dire, della storia delle grandi calamità naturali. Il primo di questi risale all’inverno del 1930: in Belgio, nella vallata della Mosa, in seguito all’accumularsi del fumo di trenta stabilimenti industriali, compariva, lungo un’estensione di una ventina di chilometri, una densa nebbia. Giallastra di colore, con l’odore e il sapore propri dell’acido solforico, la nube portò lo sterminio al suo passaggio: mille persone venivano colpite da gravi affezioni polmonari, altre settanta ci lasciavano la vita. Accidenti analoghi, sempre a causa dello stesso fenomeno, si verificavano nell’autunno 1948 a Donora, negli Stati Uniti, dove moriva una ventina di persone, mentre il quaranta per cento della popolazione locale cadeva ammalata, e a Paza Rica, nel Messico, due anni più tardi.
L’episodio più tragico accadde nel dicembre del 1952, quando varie località delle isole britanniche, in particolare la regione londinese, rimasero per quattro giorni sotto una coltre di nebbia scura e pesante. Durante l’infuriare del fenomeno (gli inglesi si affrettarono a coniare un nuovo vocabolo, smog, da smoke, fumo, e fog, nebbia) a Londra si riscontrò, nello spazio di sei giorni, un aumento della mortalità di 4000 persone.
Se questi episodi (ovviamente noi ci siamo limitati qui a riferire quelli che più hanno colpito l’opinione pubblica) assumono il carattere di sporadiche catastrofi naturali, per il concorrere anche di molteplici fenomeni meteorologici (inversione termica, nebbia, stasi di vento), oggi nessuno dubita più che le attività industriali, il traffico stradale e le stesse moderne comodità domestiche delle grandi città siano fonte, per le sostanze nocive che diffondono nell’aria, di un inquinamento continuo e, alla fine, dannoso per la salute.
L’immissione nell’aria che respiriamo di sostanze estranee, individuabili in concentrazioni o per periodi tali da influire sul nostro benessere, avviene in un’infinità di modi, per opera sia della natura sia dell’uomo. Pensiamo alla sospensione di particelle di litosfera, di ceneri di vulcani, di cristalli di sale marino, di pollini o spore fungine; pensiamo al solleva mento della polvere stradale, costituita da particelle minerali, organiche e organizzate e alla diffusione di deiezioni essiccate.
Tuttavia l’inquinamento maggiormente nocivo alla salute umana è, senza dubbio, quello determinato dalla diffusione nell’aria di gas, vapori e particelle solide generati dalla combustione di determinate materie (ciminiere di fabbriche, comignoli di impianti di riscaldamento, tubi di scappamento di veicoli), o esalati da rogge, fontanili, canali e fogne scoperte, o derivati dalle diverse lavorazioni industriali. Il fenomeno è più grave per i grossi centri, dove gli effetti dell’industrializzazione, della motorizzazione e della densità del traffico stradale si fanno sentire in misura maggiore.
Gli elementi incriminati sono, in primo piano, i prodotti di combustione, i quali rappresentano, per così dire, il “fondo” di tutti gli inquinamenti aerei. La concentrazione nell’aria di questi prodotti, attesa anche la maggior facilità tecnica del loro dosaggio, è presa abitualmente come indice della contaminazione atmosferica.
Oggetto di continui studi è l’ossido di carbonio, che si origina dalla combustione incompleta del carbonio ed è contenuto in percentuale variabile dal 4 al 14 per cento nei gas di scarico dei motori a scoppio. Se può essere mortale negli ambienti chiusi, assai meno dannoso risulta nell’aria libera perchè, grazie alla sua estrema diffusibilità e ossidabilità, rapidamente si diluisce e scompare. È provato che il gas è pericoloso quando raggiunge la concentrazione dello 0,05 per cento, quale può osservarsi negli strati inferiori dell’atmosfera, nei punti di traffico più intenso. Bisogna però aggiungere che ancora non conosciamo con esattezza quanto danno possa venirci dall’inalazione pressoché continua dell’ossido di carbonio, in concentrazioni tali che senza procurare disturbi acuti, siano forse sufficienti a determinare una lenta intossicazione cronica.
Il più tipico e costante dei componenti gassosi nocivi nell’atmosfera libera è però l’anidride solforosa, che è esalata dai grossi impianti di riscaldamento, particolarmente quelli alimentati con carboni molto ricchi di zolfo. Si tratta del più micidiale nemico dei nostri polmoni, allorché la sua concentrazione nell’aria supera lo 0,01 per mille: nemico subdolo, per giunta, perchè le esalazioni solforose di modesta entità sfuggono alla segnalazione soggettiva, in secondo luogo perchè gli stessi dati denunciati dagli strumenti in una rilevazione istantanea non possono darci la misura del rischio cui gli individui sono esposti.
V’è poi il pulviscolo. Il pulviscolo è composto di particelle di carbone o di fuliggine, di residui carboniosi incombusti, di ceneri, di sostanze catramose, e una volta che si è diffuso nell’atmosfera vi rimane sospeso più o meno a lungo, a seconda della sua natura e delle con dizioni meteorologiche.
E non è tutto. Altri inquinamenti chimici dell’aria sono anche causati dai gas solfidrici, fluoridrici, cloridrici, nitrosi, ammoniacali, dal fosforo, dall’arsenico, dal cloro, dagli idrocarburi policiclici, dalle aldeidi: tutti residui e rifiuti, quantitativamente e qualitativamente diversissimi, delle lavorazioni industriali, nelle quali sono da vedersi altrettante sorgenti di contaminazione.
Se è pacifico che il mezzo più idoneo per eliminare o ridurre gli effetti di codesto inquinamento è la diluizione, il miglior alleato l’uomo lo trova dunque nel favore dei fattori fisici della stessa atmosfera: il vento, la pioggia, l’alta temperatura, l’alta pressione, disperdendo e, per l’appunto, diluendo le sostanze nocive presenti, ne diminuiscono ovviamente la pericolosità. Fattori negativi, tali da aggravare il pericolo dell’inquinamento, sono, al contrario, il freddo, la bassa pressione, l’aria stagnante e, più di ogni altro, la nebbia, poiché la nebbia, è risaputo, mantiene in sospensione le particelle di fumo e fissa i gas tossici solubili presenti nell’aria. Ecco perchè i maggiori danni l’avvelenamento dell’atmosfera li produce nella stagione invernale, durante la quale al “fango atmosferico” che copre le città come una cappa, si aggiunge il fumo dei camini delle case. Il che spiega perchè da noi il flagello è avvertito quasi esclusivamente nelle città del Nord, per essere oltrechè fitte di industrie, le più fredde e le più nebbiose.
L’effetto immediato, e più facilmente rilevabile, è la diminuzione della luminosità dell’aria e della frazione di radiazioni solari che arriva al suolo. Sappiamo, per esempio, che a Parigi la trasparenza dell’aria è diminuita, nel corso di trent’anni, in ragione del trenta per cento, e che le giornate nebbiose sono quasi raddoppiate. Ed è nota l’influenza che il solo affievolirsi dell’irradiazione solare può avere, a lungo andare, sullo stato generale della nostra salute.
Una dimostrazione indiretta del danno che lo smog procura ai nostri polmoni, ci è offerta dalle alterazioni a cui va soggetta la vegetazione. In un ambiente carico di anidride solforosa, le foglie ingialliscono e cadono avanti tempo, specie nel caso che si tratti di piante a foglie perenni.
Negli Stati Uniti si è potuto osservare che le piante verdi in fase di sviluppo subiscono alterazioni profonde, tra l’altro le pagine inferiori delle foglie assumono una colorazione nuova, a volte argentea a volte bruna, Codesta modificazione è stata anzi presa quale indice della tossicità dello smog nelle città maggiori delle Americhe e dell’Australia: alla prova, nessuna metropoli dei due continenti è risultata indenne. La crescita delle giovani piante è addirittura ridotta del cinquanta per cento, ed è questo un fatto che serve a darci un’idea concreta dell’effetto nocivo che l’invisibile nemico può avere sugli organismi viventi. Ed è ciò che più conta. Gli scienziati sanno infatti che l’inquinamento atmosferico ci avvelena; non sempre invece sono in grado di procedere a una discriminazione dell’azione nociva che le singole sostanze esercitano sugli apparati dell’organismo umano. Quel che è certo è che lo smog ci procura un sacco di disagi e di molestie, irrita gli occhi, la gola e le vie respiratorie, favorisce l’insorgere di cefalea, provoca nausea e tosse, si fa sentire sull’appetito, dà insonnia e irritabilità, produce dolori toracici. Le conseguenze di tali disturbi sono difficilmente calcolabili, quando si tratti di stimoli che perdurano e si ripetono nel tempo.
Dal punto di vista medico tuttavia l’aspetto più grave del problema è costituito dalle vere e proprie malattie che la contaminazione atmosferica può provocare e favorire. Anzitutto lo smog si ripercuote sulle vie respiratorie. Le particelle solide cadendo sulle mucose possono lederle; a loro volta le lesioni (delle mucose) facilitano l’assorbimento dei vapori tossici disciolti nell’aria e l’attecchimento di germi patogeni. Il danno alla respirazione si ripercuote poi direttamente sulle funzioni del cuore; infine l’assorbimento dei gas tossici può portare un nocumento imprevedibile a tutti gli organi e alle loro funzioni.
I rapporti fra morbilità e contaminazione dell’aria non sono ancora oggi completamente delucidati. Le statistiche quindi non possono dirci molto (notizie precise potranno darcele, semmai, dopo che sarà stato possibile condurre osservazioni prolungate, su vasta scala, e che si saranno raccolti dati attendibili sugli indici di inquinamento). Nondimeno i risultati approssimativi delle inchieste che sono state fatte fino a ora e le considerazioni generali dettate dall’esperienza, sono tali da consentirci una valutazione realistica del problema igienico.
Nell’inverno del ‘52 gli Uffici governativi inglesi rilevarono che i decessi per bronchite superavano di otto volte la media stagionale degli anni precedenti, quelli per polmonite di tre volte, e in sensibile aumento erano anche quelli per tubercolosi e cancro polmonare. Si poté osservare inoltre una netta correlazione fra la percentuale di anidride solforosa presente nell’atmosfera, e l’andamento della “morbilità “.
In America, ovunque si siano rese possibili precise rilevazioni, si è potuto assodare che esiste una corrispondenza largamente persuasiva fra indici di mortalità per malattie dell’apparato respiratorio e quartieri urbani sottoposti a inquinamento atmosferico. Un’indagine condotta nell’ambito di un ospedale su 180 ricoverati affetti da malattie polmonari, ha permesso di stabilire una stretta correlazione fra il decorso clinico del male e il grado dell’inquinamento dell’aria, determinato mediante prelievi eseguiti ogni ora. Un’altra inchiesta, promossa nella città di Los Angeles, ha dimostrato questo; che nelle zone cittadine dove l’aria è più inquinata, tra i sofferenti di forme cardiache si riscontra un frequente peggioramento clinico e una più alta mortalità
Un più recente studio esamina invece i rapporti che esistono tra contaminazione atmosferica e cancro. L’azione cancerigena delle ceneri, del catrame e di altre sostanze che inquinano l’aria che respiriamo è sicuramente sospetta, anche se non propriamente dimostrabile sull’uomo. Meglio documentata è la natura del danno che deriva dalla presenza di idrocarburi policlinici, e in particola re del benzopirene, che si contiene sia nel nerofumo sia nei gas di scappamento dei motori. E benché una parola definitiva non possa essere ancora pronunciata, è lecito affermare che l’aria delle città industriali, di traffico intenso, costituisce una fonte non trascurabile di sostanze cancerogene, che ha certamente parte nel sensibilissimo aumento di casi di cancro polmonare riscontrato negli ultimi decenni. Ne è una conferma il fatto che il cancro polmonare si manifesta con predilezione in Paesi economicamente progrediti, così come è più facile che insorga nei centri industriali e nelle città piuttosto che nelle campagne.
Oggi in tutti Paesi, non escluso il nostro, si vanno conducendo studi e inchieste sui rapporti tra patologia umana e avvelenamento dell’atmosfera nelle città. Ma fin da questo momento possiamo dire che il problema, diventato ormai universale, è tra i più urgenti, la purezza dell’aria che respiriamo essendo per l’uomo fondamentale. Non solo, ma come dicevamo all’inizio è destinato a farsi sempre più complesso, con aspetti nuovi. Domani non si tratterà più soltanto di diossido di zolfo liberato nell’aria dalla combustione di benzina e nafta, dovremo fare i conti con quantitativi sempre maggiori di residui liberati dal materiale di fissione atomica. Inoltre il problema va a collegarsi, sempre in tema di igiene e di sanità pubblica, con l’inquinamento delle acque di superficie - fiumi, laghi, mari - dovuto allo scarico di quantità sempre crescenti di rifiuti liquidi industriali.
È anzitutto un problema di educazione sanitaria, al pari di quello dei rumori, perchè soltanto la coscienza del danno che ne viene e delle possibilità di evitarlo può costituire il sicuro presupposto di un’efficace prevenzione. Problema, quindi, di responsabilità e di competenza sanitaria, anche se il controllo e le soluzioni pratiche devono essere necessariamente affidati ad appositi organi tecnici. Problema, infine, di carattere locale, perchè, se le leggi generali valgono a sottolineare la necessità di una sorveglianza e a fissare criteri di massima, le norme profilattiche devono rispondere a condizioni ed esigenze che variano da regione a regione, mentre l’applicazione può essere più opportunamente attuata attraverso regolamenti e ordinanze locali.
L’esempio di altri Paesi, come Germania, Inghilterra, Russia, Stati Uniti, dove vigono rigidi regolamenti d’igiene industriale, ci fa persuasi che una soluzione radicale del problema è fattibile. E gli stessi accorgimenti che sono in atto a Milano (dove funzionano alcune stazioni, mobili e fisse, per il prelevamento e il dosaggio giornaliero di campioni atmosferici) danno per dimostrato che è possibile difendersi efficacemente dall’invisibile nemico dell’uomo moderno che è diventato lo smog.