L’Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e del territorio del Fucino è stato istituito con Decreto del Presidente della Repubblica del 7 febbraio 1951, n. 66, con lo scopo, previsto dalla legge del 12 maggio 1950, n. 230, di esercitare nel suo vasto comprensorio, delineato dall’Agro Romano, dalle colline del Viterbese, dal Monte Amiata, dal Volterrano e dal mare, nonché nel bacino del Fucino, le funzioni relative alla espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini.
L’Ente è amministrato dal Presidente, attualmente il Sen. Giuseppe Medici, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Agricoltura e Foreste. Il Presidente dell’ Ente è assistito da un Consiglio di dodici membri, dei quali sette scelti fra persone specialmente esperte dei problemi inerenti alla trasformazione fondiaria ed alla colonizzazione o rappresentanti delle categorie agricole e cinque in rappresentanza, rispettivamente, dei Ministeri delle Finanze, del Tesoro, dell’Agricoltura e delle Foreste, dei LL. PP. e del Lavoro e della Previdenza Sociale.
Dal Presidente dipendono direttamente i due settori fondamentali dell’Ente, quello dei Servizi Tecnici (alle dipendenze del Direttore Generale) e quello dei Servizi Sociali ( diretto dal Capo Servizio Assistenza e Cooperazione). Ai servizi tecnici fanno capo: la Direzione delle Aziende di Colonizzazione, la Direzione dei Centri di colonizzazione, la Direzione Amministrativa. I Servizi a loro volta si suddividono in: Servizio Assistenza, Servizio Cooperazione, Servizio Stampa, Informazione e Cinema. Nelle quattro principali provincie del comprensorio maremmano (Pisa, Grosseto, Viterbo, Roma) sono stati costituiti altrettanti Centri provinciali di colonizzazione e corrispondenti Uffici Provinciali di Assistenza e Cooperazione. Per il comprensorio del Fucino è stata costituita un’Azienda Autonoma, la quale comprende anche un Ufficio del Servizio Assistenza e Cooperazione.
Premessa
Nell’impostare il problema urbanistico di una determinata regione, è evidente che occorrerebbe premettere un vasto e attento studio di tutte le condizioni non solo fisiche, ma economiche e sociali, con particolare riferimento al settore demografico.
Tanto più necessaria una simile indagine e precisazione, quando trattasi di territori in via di attiva trasformazione evolutiva determinata, come è il caso nostro, da particolari provvidenze bonificatorie e riformatrici.
È evidente che l’attuazione di un simile disegno, richiederebbe assai lungo studio, e minute analisi, da condurre in equipe tra tecnici, economisti, sociologi, ingegneri e architetti-urbanisti, raccogliendo, coordinando ed elaborando tutti gli studi specifici già esistenti sulle regioni considerate, aggiornandoli. adeguatamente e correlandoli ai disposti piani di bonifica e riforma. Compito, come si vede, di grandissimo impegno e di notevole difficoltà.
Nel caso che ci riguarda, e cioè per quanto concerne i territori ai quali è interessato l’Ente di Riforma per la Maremma e per il Fucino, è evidentemente pacifica la impossibilità di poter oggi impostare un simile discorso, sulla base cioè di una compiuta ed organica visione come sopra accennata.
Senza contare che, anche in ben altre condizioni di già avvenute rivelazioni ed elaborazioni similari, non potrebbe mai pensarsi a pianificazioni urbanistiche “definitive”, ma solo graduate nel tempo e nello spazio.
Si tenga inoltre presente che, nel nostro caso, si tratta di un Ente che opera necessariamente per zone distaccate, a sé stanti, disperse nel vasto comprensorio maremmano e che nel loro complesso non costituiscono che una modesta parte del tutto. Questo, è il dato di fatto che più deve far meditare in quanto rende impensabile in partenza, una impostazione urbanistica inquadrata in una visione organica e integrale delle necessità regionali ; che sarebbe disegno quanto mai ardito e inopportunamente ambizioso, nelle condizioni in cui l’Ente deve attualmente operare.
E si consideri che devesi precisamente operare in una regione che se ha in linea generale una base, dirò così un plafond, di caratteristiche comuni, si risolve tuttavia in notevoli differenziazioni da circoscrizione a circoscrizione e da zona a zona. È il tipico caso di una regione, nella quale un piano generale urbanistico dovrebbe necessariamente articolarsi nei tre specifici e distinti indirizzi cui fa cenno il dr. Sebregondi nella sua Relazione e cioè: urbanistica di trasformazione, urbanistica di evoluzione, e urbanistica di sistemazione; piano d’altronde dominato, come in nessun altro caso forse, dai limiti e dai modi dei predisposti interventi finanziari dello Stato.
Sguardo sommario all’ambiente
Basti accennare qui ad alcuni fondamentali elementi fisico-economici del vasto territorio in questione. Si tratta, prescindendo per ora dalla zona del Fucino, di una intera regione: la “maremma tosco-laziale”, della complessiva superficie di circa 1 milione di ettari, dei quali quasi due terzi in Toscana (provincie di Grosseto, Pisa, Livorno, Siena) e oltre un terzo nel Lazio (provincie di Viterbo e Roma); e dove l’Ente. opererà qua e là, dispersamente, sopra appena un quinto, in complesso, della detta estensione territoriale. Caratterizzata, tutta la regione, da una delle più basse densità demografiche del Paese: 57 abitanti per kmq. (di fronte alla media nazionale di 116) ; da una agricoltura generalmente di tipo estensivo, con terreni destinati per quasi la metà a seminativo, per quasi un terzo a bosco e quasi un quarto a pascolo, con particolare allevamento bovino brado e ovino stanziale e transumante da una struttura fondiaria con alta prevalenza della grande proprietà (il 73%), e assai scarsa rappresentanza della media (16%) e della piccola (11%) (struttura che testimonia la propria anormalità con le sue sole 800 grandi e grandissime ditte, e le polverizzate 80.000 piccole proprietà); da due essenziali tipi di conduzione nettamente prevalenti, la mezzadria nella parte toscana, e il salariato in quella laziale; da un assorbimento di lavoro rurale che raggiunge in media appena 0,15 unità lavorative ad ettaro (cioè 7 ettari per unità lavorativa) pur salendo a 0,28 nella piccola proprietà coltivatrice (3,5 ettari per unità lavorativa).
Indubbiamente, già questi dati sommari e sintetici, danno un’idea generale dell’ambiente in mezzo al quale deve operare l’Ente; ma che non possono essere lontanamente sufficienti ad una sia pur approssimata pianificazione urbanistica, che richiederebbe ben altre precisazioni e localizzazioni, almeno zonali. E bastino a convincere i due esposti estremi della vasta e della minuscola proprietà. Dove sono esse localizzate? E con quale continuità o dispersione? E come e perchè correlate agli attuali tipi di insediamento ? E via e via dicendo.
Necessità pertanto di rinunciare, almeno in primo tempo - da parte di un Ente che deve agire con la massima sollecitudine, spintovi dalle istanze sociali che urgono - ad ambiziose impostazioni di piani urbanistici regionali, per raccogliersi invece nella più modesta e circoscritta, ma concreta, azione progettuale relativa alle singole e precisate zone di intervento. Il che si potrà e dovrà pure attuare con una intelligente capacità coordinativa in rapporto alle peculiari condizioni fisico-economico-demografiche che caratterizzano l’ambiente entro il quale insiste ciascuna di quelle specifiche zone.
Certo, anche questa necessariamente ristretta e disunita programmazione, pur si aggancia ad una preliminare constatazione generale e cioè che - almeno per la più gran parte del territorio nel quale l’Ente è destinato ad operare - una caratteristica dominante da tener presente è quella del prevalente tipo degli insediamenti accentrati e distanziati tra loro, di una notevole scarsità di comunicazioni e di collegati servizi, di una scarsa percentuale di dimore sparse e comunque di un assai ridotto numero assoluto di dimore rurali (nell’indagine statistica diretta da uno degli scriventi nel 1933 sulle case rurali in Italia, la minima densità di esse venne proprio registrata dalla, provincia di Grosseto).
Orientamenti d’azione
Per concludere, Sembra chiara la forzata necessità di limitare per ora, da parte dell’Ente sia le programmazioni che le realizzazioni urbanistiche, ai soli e singoli territori di sua pertinenza, sia pure con il rispetto delle sopra accennate correlazioni. Dal che intanto consegue una opportunità evidente: quella di orientarsi sempre verso soluzioni le più elastiche possibili e le più facilmente capaci di modifiche e integrazioni future, Solo quando debbasi operare in ristrettissime zone a sé stanti, adatte ad organizzazioni di piccoli gruppi aziendali o di singole aziende, ci si potrà orientare, come ci si è orientati, verso più precise e più rigide soluzioni.
Ma ciò ammesso, sembra anche logico premettere a quelle più determinate progettazioni - delle quali si riportano più avanti i tipici casi considerati - qualche considerazione orientativa, a guida e chiarimento dei motivi che a quelle progettazioni di massima condussero.
Alcuni anni addietro, in una conferenza tenuta a Foggia in occasione di un convegno tecnico per la trasformazione fondiaria del Tavoliere, uno dei sottoscritti riepilogava in 4 tipi le molteplici e spesso commiste forme del dimorare contadino nei territori ad economia latifondistica in via di trasformazione. Riassuntivamente i 4 tipi venivano così schematizzati:
a) zone ad insediamento rurale sparso più o meno intenso: zone mezzadrili a fattorie o a poderi autonomi; piccole proprietà coltivatrici con case proprie, e simili;
b) zone ad insediamento rurale accentrato: masserie; corti; compartecipazioni collettive unite e singole; con dimore dei lavoratori in luogo;
c) zone a proprietà frazionata divisa, con salariati non dimoranti in luogo, zone di latifondo contadino esimili;
d) zone a latifondo accentrato: masserie; corti, più o meno trasformate, con partecipazione collettiva unita, senza o con scarsa dimora in luogo dei lavoratori.
E chiariva, l’autore, come ai fini dell’organizzazione civile delle popolazioni rurali a quei modi insediate, fosse logico provvedere, urbanisticamente, nei primi due casi a) e b) alla edificazione di “borghi di servizio”, e negli altri due casi c) e d) di “borghi residenziali”.
Ora, sta di fatto che nelle svariate condizioni d’ambiente nelle quali l’Ente per la Maremma e per il Fucino deve operare, tutti i 4 tipi sopra schematizzati, hanno un proprio loro luogo di opportunità.
Si tratterà pertanto, da parte dell’Ente, della consapevole scelta del più rispondente tipo da adottare, caso per caso.
Già, infatti, nella prima visione programmatica dell’attività urbanistica dell’Ente, fu prevista la necessità di orientarsi sui due essenziali tipi di insediamento, sparso e accentrato. E venne valutato a circa il 60% di tutta la superficie interessata, quella da ordinarsi in forme poderali, con borghi di servizio; e a circa il 40% quella da attuarsi in forme di minuta quotizzazione e richiedente il tipo di insediamento accentrato, a borghi residenziali. Tanto nel primo che nel secondo caso, si prospettava la necessità di realizzare alcune “aziende di colonizzamento” a tipica organizzazione a sé stante, e alcuni subordinati “nuclei demografici” ; le une e gli altri, organicamente collegati ai previsti scherni urbanistici pei due tipi di trasformazione.
Non potendosi qui individuare ancora la localizzazione esatta dei vari tipi urbanistici programmati (la progettazione esecutiva è già attuata per talune zone, ed è tuttora in corso per altre), pensiamo essere opportuno ed utile limitarci, intanto, ad esporre i fondamentali concetti che si ritiene necessario porre a base di ognuno dei tipi considerati; soffermandoci partitamente sui tipi di colonizzazione ad insediamento raggruppato, su quello ad insediamento decentrato con particolare considerazione sui problemi dell’edilizia popolare, ed infine con un cenno su un particolare tipo di azienda cooperativa agro-pastorale.
I centri di gestione
Premettiamo brevi cenni illustrativi sulle cosi dette “aziende di colonizzazione” o “centri di gestione”.
Abbiamo già accennato come, in ogni caso, sia da pensare alla costituzione di centri di gestione o aziende di colonizzazione (o di riforma, o primigenie), questa, una esigenza assoluta che giustamente è stata posta a base dell’azione degli enti riformatori, sia per la indispensabile assistenza tecnico-economica e morale alle aziende contadine per il loro funzionamento e consolidamento, sia per la opportunità di una gestione associata di taluni servizi, quali per esempio la lavorazione meccanica dei terreni, la trebbiatura, la trasformazione di alcuni prodotti e la conservazione di altri, l’acquisto, deposito e distribuzione mangimi, concimi, anticrittogamici, nonché i servizi di trasporto ecc.
È evidente che l’organizzazione tecnica generale e dei singoli servizi, dovrà avere una sede nella indicata azienda di colonizzazione, che dovrà: curare lo sviluppo della cooperazione, l’assistenza e il rifornimento di mezzi produttivi; il che è condizione imperativa affinché la riforma fondiaria non si risolva in atomistica formazione di piccole proprietà disperse e a sé stanti, con i singoli, miseri e inattrezzati contadini, incapaci di provvedere alla propria organizzazione aziendale, nella scarsa preparazione tecnica e deficienza di capitali che li caratterizza; il che impedirebbe ogni progresso agricolo e, in definitiva, vanificherebbe le ragioni e le finalità della voluta riforma.
Solo con l’organizzazione degli accennati “centri di gestione”, i contadini, che come scrive il Medici, “sono i veri protagonisti della riforma, troveranno chi li assista, li consigli, li guidi, li aiuti, nel momento del bisogno”.
Si pensa che l’ampiezza della “azienda di colonizzazione”, che potrà essere preferibilmente unita, o formata di più appezzamenti situati in un raggio di azione ragionevole; possa variare dai 2.000 agli 8.000 ettari, almeno in un primo tempo.
Quanto all’ubicazione della sede di detta azienda, un concetto di opportunità suggerisce di sfruttare il più possibile preesistenti insediamenti accentrati, affiancandola o inserendola nel borgo di servizio se trattasi di zona ad insediamento sparso, o ubicandola in posizione eccentrica nel caso di favorevole condizione di servizi già offerti da esistenti centri demografici, o anche quando possano essere utilizzati per essa preesistenti gruppi di fabbricati aziendali accentrati, che ne rendessero più economica e confacente la realizzazione. Spesso sarà conveniente non accentrare presso la sede dell’azienda di colonizzazione tutti i servizi ad essa inerenti, e ciò per evidenti ragioni tecniche e spaziali. Così, ad esempio, le stazioni di monta bovina (naturale e artificiale) e suina, sarà opportuno dislocarle entro determinati raggi di influenza (per esempio, per ogni 1000 ettari di superficie) presso aziende contadine, gestite da coloni proprietari che ne cureranno il funzionamento e ai quali verrà fatto obbligo di giovarsi dell’opera di sanitari specialisti. Così, ancora, sarà opportuno che i trattori per i normali lavori agricoli abbiano la propria sede stagionale, od anche permanente, in ricoveri-tettoia ogni 400-500 ettari di superficie, mentre quelli adatti ai lavori speciali dovranno essere raccolti nell’officina-rimessa della cooperativa presso la sede aziendale. Così, per citare un ultimo esempio, i magazzini di deposito temporaneo per somministrazione e ritiro dei prodotti, sarà opportuno dislocarli (sia pure presso le corti di aziende contadine per facilitarne la sorveglianza) in modo che ognuno possa facilmente servire una prestabilita zona, la cui ampiezza potrebbe valutarsi intorno ai 2.000 ettari. Con tali criteri ed in tal senso, si riporta uno schema di zonizzazione, di “azienda di colonizzamento” secondo un piano di massima di trasformazione di primo tempo. Naturalmente, lo schema potrà variare successivamente, quando il ritmo produttivo avrà raggiunto una intensità maggiore di quella prevista.
Quanto al modo di articolare i vari fabbricati e locali del centro di colonizzazione secondo la loro specifica funzione, sembrano potersi schematizzare, nel seguente elenco, gli edifici indispensabili ed utili:
a) come indispensabili: una abitazione per il direttore di azienda, idem per uno o più assistenti tecnici; idem per il contabile; qualche stanza per l’ufficio tecnico-amministrativo; una rimessa-tettoia per le varie macchine; una officina attrezzata per la riparazione e manutenzione; un magazzino per il deposito e rifornimento dei prodotti; una stazione di selezione sementi ; un mulino frangitutto;
b) come utili: una cantina sociale, un caseificio, o centro di raccolta; una porcilaia; una stazione di monta equina; un oleificio; una segheria o falegnameria, ecc.