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Giorgio Fontana
Quale bellezza salverà il «Belpaese»
11 Febbraio 2011
Le parole
«Per descrivere l'urgenza di tornare a un'estetica consapevole si può partire dalle parole di Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente…”». Il manifesto, 16 gennaio 2011

«La bellezza salverà il mondo». Questa frase, nuda e astratta dal contesto, è attribuita genericamente all'Idiota di Dostoesvkij. In realtà nel romanzo è il nichilista e malato terminale Ippolit a pronunciarla, in forma di domanda rivolta al principe Myskin: «È vero, principe, che una volta avete detto: la bellezza salverà il mondo? Signori - gridò a voce alta a tutti: il principe afferma che la bellezza salverà il mondo». Questo grido di dolore ritorna ancora a noi come un'onda che non ha smesso di inseguire il mare. La storia della bellezza è la storia dei mondi ulteriori che prometteva di aprire: la conoscenza per Platone, lo splendore divino per i medievali, l'Assoluto per i romantici. La bellezza è sempre stata traccia di qualcosa che andava oltre il mero dato. Eppure aveva insieme la forza di essere universale, proprio perché sensibile: perché aperta a chiunque. Ogni creatura poteva e può accedere alle sue forme più semplici, e nessuna ne rimane indifferente. Il valore etico della bellezza comincia qui: nella sua profonda e universale pietà. Il duello costante con la bruttezza non è pertanto qualcosa che si riduce a fattori puramente estetici. Questo non significa che il brutto sia immorale - e aveva certo ragione Tolstoj nel definire sorprendente l'illusione che bellezza equivalga a bontà. Ma se consideriamo la bellezza in un senso più ampio rispetto a quello cui siamo, appunto, abituati, scopriremo un universo fatto di altri concetti ancora: capacità di meravigliarsi, responsabilità, stupore, ecologia, rifiuto della sfiducia. Bellezza è, soprattutto, una forma sensoriale di speranza. Se vedo del bello, se credo nel bello, potrò essere in grado di crearlo.

E dunque, quale bellezza salverà l'Italia? Di certo non quella posticcia e volgare dell'ideale propugnato da Berlusconi: «Amo le belle donne e la vita», come se entrambi fossero qualcosa che va soltanto divorato e insieme sprezzato, senza alcun rispetto. Senza gioia nella fruizione. Ma la bellezza salvifica non potrà essere nemmeno quella televisiva, figlia della precedente, l'estetismo futile delle starlette e dell'avere a ogni costo. E nemmeno, credo, quella sottilmente ipocrita in cui crede il Vaticano - il doloroso splendore di un Cristo che sembra così lontano dal grigio che la Chiesa sta edificando da anni. Queste sono tutte forme di bellezza superficiali. Non disegnano alcun fine oltre l'essere divorate o usate per un fine altro. E invece il segreto della bellezza che salva giace altrove: riconoscerla è rifiutare il cinismo, perché il cinismo significa indifferenza nel senso letterale del termine: tutto vale niente, importa solo quel che mi riguarda. Superficialità verso la bellezza ed egoismo vanno di pari passo.

Al contrario, riconoscere il bello è riconoscere che esiste qualcosa di importante per qualcun altro - qualcosa che va difeso. Certo, ora non siamo più in grado di vedere il divino o la conoscenza pura dietro una forma bella. Non ha alcun senso, e pretendere un ritorno ai tempi che furono è un rimedio peggiore del male - per il semplice motivo che è impossibile. Ma non per questo dobbiamo rinunciare per intero a un ideale umanista del bello. In tal senso l'educazione estetica è qualcosa che va oltre la semplice idea del mero godimento. È un modo di ricostruire l'unità della persona: e in un periodo storico e un Paese così soggetti alla frammentazione dell'esperienza, sembra un'esigenza da ricordare ogni giorno. Rimanere integri. Ritrovare il proprio centro. Il problema di dimenticare un vero rapporto con la bellezza sta tutto in questo nodo: senza fruitori veri, si spegne il senso stesso della creazione. E se un giorno scordassimo come si ama una canzone di Piero Ciampi? E se un giorno gli affreschi di Giotto ci sembrassero soltanto dei disegni qualunque? E se una periferia desolata ci apparisse, di colpo, indifferente rispetto a uno scorcio alpino?

E se la bellezza non salverà l'Italia, perché nessuno vuole più essere salvato? Non si dovrebbe mai chiudere con una citazione. È troppo facile, troppo scontato. Ma non trovo parole migliori per descrivere l'urgenza di tornare a un'estetica consapevole, a un amore per il bello che non termina in facili culti: e sono quelle celebri di Peppino Impastato: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà. All'esistenza di orrendi palazzi sorti all'improvviso, da operazioni speculative. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l'abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».

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