|
Questo volume apre la collana "Luoghi" con una esemplificazione paradigmatica dell’approccio interpretativo della nostra scuola: racconta la "biografia" (ovvero nascita, vita e morte) di una regione urbana, la piana di Firenze, attraverso l’interpretazione del processo di territorializzazione di lunga durata che caratterizza diversi cicli di civilizzazione, ognuno dei quali deposita e accumula progressivamente segni di paesaggio, consolidando nel tempo un'identità territoriale. É una esempio di descrizione fondativa di un potenziate statuto del luogo, in questo caso, purtroppo, alla memoria. Provo sinteticamente a richiamare i caratteri identitari della piana di Firenze dalla narrazione biografica del testo, che descrive gli atti territorializzanti della civilizzazione etrusca, romana, atto medioevale, del basso medioevo (repubblica fiorentina) che si consolidano attraverso apporti di arricchimento della civilizzazione rinascimentale e di quella lorenese, maturando la individualità del luogo senza mutarne più sostanzialmente rimpianto generale fino alle soglie della civilizzazione contemporanea. Se ne evince uno straordinario affresco del continuo aumento di “massa territoriale” (concetto che Daniela Poli riprende da Angelo Turco) che “fino al periodo medievale si è accresciuta trasformandosi, mentre dal periodo medievale a quello lorenese si trasforma senza più accrescere”. Il dialogo costante, co-evolutivo, con i caratteri del luogo (la conca pliocenica delimitata dai rilievi del monte Morello, dalle conoidi, dal microterrazzo fluviale, caratterizzata dalle divagazioni fluviali e dalle zone palustri) da parte delle civilizzazioni che si sono succedute netta piana con impianti culturali diversi fra Loro ha sedimentato una "personalità" della regione (usando le parole di Vidal de la Blanche) ancora leggibile in una cartografia IGM degli anni '50: la costellazione dei centri urbani (Firenze, Rifredi, Sesto, Calenzano, Prato, Signa) si situa sul bordo esterno dell’antico lago pliocenico, sul microterrazzo fluviale (Firenze), sui controcrinali e sulle conoidi di deiezione, terminati rivieraschi di profondi sistemi vallivi e di sistemi di comunicazione interregionale, rispettando la configurazione della piana che presenta una parte interna umida e delicata, segnata dai bacini idrografici dell’Arno, del Bisenzio, del Mugnone e i bordi solidi al di sopra della faglia trasversale; gli insediamenti sono puntiformi tanto da consentire le concessioni biotiche e la continuità delle reti ecologiche fra i vari ecosistemi; il sistema delle ville di monte Morello definisce un asse strutturale e percettivo fra il monte e la piana; i terrazzamenti, i ciglionamenti, te arature a giro poggio disegnano il paesaggio collinare con neoecosistemi resistenti e connessi a pettine con la piana attraverso la microorganizzazione mezzadrile che si completa alla fine dell’ottocento; nella parte interna si situano solo pochi insediamenti su 'isole o su un sorta di “argini naturali”' e la viabilità di sponda fluviale (la via Pistoiese, la via Pisana) su rotte create dall'accumulo di detriti fluviali. La viabilità principale (la pedemontana etrusca, la Cassia) ma anche l'acquedotto romano e la ferrovia e infine gli insediamenti si dispongono corse strutture rivierasche, Lungo il bordo dell’antico lago, al di sopra della faglia. L’interno umido pianeggiante rimane, nel tempo lungo della biografia, prevalentemente “spazio aperto” agroforestale: sia nella bonifica intensiva della centuriazione romana, tanto più nell'incolto palustre altomediovale, ma anche nell'appoderamento mezzadrile, rispettando i caratteri identitari del luogo e i limiti naturali e ambientati che esso poneva, in un'alternanza di avanzamenti e arretramenti, che comunque non modificano il suo carattere di spazio aperto, la cui dominante è il sistema delle acque: naturali ma anche artificiali che connettono il sistema pedecollinare all’Arno, a partire dal potente progetto di suolo costituito dall'orditura territoriale della centuriazione romana che ritma le. successive scritture di insediamenti collinari e di piana: pievi, borghi, ville, poderi, coltivi, viali alberati e siepi.
Il ritratto unitario che emerge da questo schizzo è frutto di due processi: il dialogo costante fra strutture insediative e caratteristiche ambientali, che della le regole sapienti e “invarianti” delle trasformazioni; e la reinterpretazione innovativo, da parte delle civilizzazioni che si susseguono, delle partiture precedenti. Se è vero che un territorio come costrutto storico di lunga durata ha un carattere, un'individualità, è un sistema vivente ad alta complessità, di cui si può dunque scrivere una 'biografia', allora è altrettanto vero che quel territorio-individuo può morire. Per molte cause; ad esempio per abbandono, assenza di cura (ad esempio un sistema collinare terrazzato), oppure per 'soffocamento' ad opera di atti deterritorializzanti che ne distruggono le capacità autoriproduttive (ad esempio le aree pianeggianti di espansione metropolitana).
In che stadio della sua vita si trova l’individuo “piana di Firenze” descritto in questa biografia? Sta bene? è moribondo? è morto? L”oscenario” che è seguito al ritratto che ho schizzato è frutto di una sostanziate trattamento della piana come un “vuoto”, un “ventre molle” dell’espansione di funzioni della città di Firenze, tipico della formazione dei modelli metropolitana centroperiferici della fase matura dell’industrialesimo fordista, che ha depositato funzioni di accentramento a caso, ignaro degli equilibri ambientati e delle regole territoriali che per secoli hanno guidato l'aumento di valore del patrimonio territoriale e ne hanno definito l'identità; o meglio ha depositato funzioni con regole di urbanizzazione dettate unicamente dalle leggi della localizzazione economica e dalla rendita fondiaria (“Fondiaria” è anche il nome emblematico di uno dei principali attori del riempimento del vuoto).
A partire dagli anni '50 Firenze subisce una veloce trasformazione che la porta ad espandersi a macchia d'olio e a dilagare nel suo "ventre molte", la piana. le aree produttive si concentrano in ampi macrolotti, piastre industriali e terziarie nei pressi degli svincoli autostradali; le espansioni residenziali completano l'occupazione delle aree paludose e delle casse di espansione fluviale; i padiglioni universitari si spingono verso il centro della piana; t'aeroporto insiste in una delicata zona di regimazione idrica, a distanze a rischio fra insediamenti abitativi, autostrade e i rilievi montani del monte Morello; l’autostrada modella una viabilità ostile ai segni della storia, incurante delle delicate tessiture territoriali. I decentramenti di funzioni urbane (caserme, uffici pubblici, università, centri direzionati, residenze, ipermercati) vanno “riempiendo” progressivamente la piana senza alcuna regola che tenga conto dell’identità del luogo, considerandola come un vuoto buono a tutti gli usi. Questo già pesante carico insediativo è aggravato dai progetti residenziali e terziari in corso.
La piana di Firenze è diventato il “non luogo” per eccellenza della città contemporanea: un “retro vuoto” della città, che mette in mostra l'immagine simbolo del centro storico, e che ha un vasto cortile da riempire alta rinfusa con tutti gli oggetti ingombranti, brutti e inquinanti, distruggendo progressivamente l’identità storica, territoriale, ambientate, paesistica di un ex luogo del “bel paesaggio”. Questo modello insediativo, oltre a cancellare l’identità storico-morfologica lentamente costruitasi nel tempo, genera effetti devastanti sull'ambiente e sul paesaggio: innalza l’isola di calore, rompe il delicato microclima, aggrava l’inquinamento atmosferico e idrico, elimina te connessione biotiche, produce desertificazione ecosistemica, crea congestioni di traffico, abbassa la qualità dell'abitare, creando una generate condizione di perifericità; occlude visivamente e fruitivamente, con colate di edilizia anonima, il margine collinare della pianura. Dunque possiamo rispondere atta domanda: l'individuo piana, di cui si traccia la biografia in questo libro è morto o moribondo. E comunque le condizioni della rinascita non appartengono a tempi brevi, dovendo passare attraverso lunghe fasi di demolizione e ricostruzione se e quando una nuova civilizzazione, sensibile atta cura dei luoghi e alla qualità dell'abitare, le intraprenderà. Per intanto, leggendo questo ritratto “laudativo” serpeggia un rimpianto, che potrebbe anche costituire un'utile esercitazione per gli studenti di architettura del nuovo millennio, cui questo libro è rivolto in particolare come esemplificazione di un metodo analitico. Se è lecito porre delle ipoteche sul passato si potrebbe immaginare come avrebbe potuto costruirsi, negli anni del piano Detti, una configurazione diversa delta piana se fosse esistito, nella cultura urbanistica di quel tempo, uno “statuto” di quel luogo, affisso nelle bacheche dei comuni della piana. Innanzitutto si sarebbe potuto ragionare, come nel periodo lorenese, sulla bonifica e valorizzazione del sistema regionale toscano nelle sue potenzialità date da una eccezionale rete di città storiche e di sistemi territoriali locali, non necessariamente concentrando il decentramento nella piana,, ma potenziando il sistema regionale policentrico, facendo di Firenze un centro di coordinamento di un sistema reticolare complesso. Il che avrebbe consentito di valutare possibilità insediative netta regione urbana fiorentina legate alle capacità di carico del sistema insediativo (opportunità dell'offerta) e non sulle esigenze immediate tumultuose della espansione urbana (imperativi della domanda), che si sono riversate sulla parte più debole del territorio (proprietari a minor resistenza e valori fondiari più bassi), e più adatta ad accogliere funzioni massificate.
In secondo luogo, entro questi ridefiniti limiti quantitativi dell'espansione si sarebbe potuto seguire regole insediative incrementati che rispettassero equilibri ambientati, localizzazioni e tipologie territoriali e urbane che proseguissero e arricchissero il disegno territoriale e l’individualità storica della piana, a tutto vantaggio delta costruzione di una città contemporaneo improntata a principi di sostenibilità ambientate, territoriale, sociale, paesistica e cosi via autosostenendo.Tutto ciò non è avvenuto. E ora? è possibile una tardiva applicazione dello “statuto dei luoghi” cui allude questa biografia? Va a questo punto sciolto un possibile equivoco che la biografia potrebbe sollevare. Mi sembra che fra l'interpretazione delle regole che hanno definito il “'tipo”' territoriale e t'individualità del luogo e la sua trasformazione futura non venga proposta nel testo una conseguenzialità lineare del piano,inteso in senso muratoriano, come semplice compiersi dello statuto che è già implicato nel territorio: te civilizzazioni succedutesi nella piana mostrano che la valorizzazione del patrimonio e il suo accrescimento ne l tempo storico è avvenuto producendo atti territorializzanti affatto diversi tra loro. la crescita dell'individualità avviene netta trasformazione e netta innovazione, pur nella costante attenzione al processo coevolutivo e agli equilibri ecosistemici (tranne nel caso della civilizzazione tardo industriale fordista). Dunque le scelte possibili nei futuro sono molteplici e dipendono dall’esito del confltitto di una molteplicità di attori e dalla natura “patrizia”, responsabile o meno, del futuro statuto, nell’interpretazione e gestione del patrimonio e delle sue risorse.
Avanzo tre visioni utopiche e una realistica, che mi vengono ispirate dalla biografia:
- quella che richiama il modello atto medievale: copertura delle funzioni del “retro” di Firenze attraverso una forte fascia boscata che ridisegni i confini del lago pliocenico con penetrazioni di bosco planiziale nascondendo alla vista tutto ciò che vi sta dentro e costituendo un neoecosistema che riconnetta reti ecologiche e sistemi ambientali (un richiamo a Porcinai, ma anche al più recente (1990) progetto di Pizziolo del sistema ambientale per lo Schema Strutturale Firenze Prato Pistoia);
- quella che richiama il modello lorenese; riorganizzazione e valorizzazione del sistema regionale poticentrico (la “toscana delle toscane”) con conseguente alleggerimento della pressione, soprattutto terziaria, su Firenze; demolizione e riqualificazione a partire dal ridisegno e da l rafforzamento produttivo degli spazi aperti: la nuova agricoltura di qualità come mezzo di produzione di beni pubblici, i parchi agricoli periurbani connessi a rete per un nuovo disegno del territorio organizzato dagli spazi aperti.
- la visione di una nuova civilizzazione collinare che marginalizzi la piana come sito degradato e dismesso della civilizzazione industriale e la renda principale Luogo di archeologia della contemporaneità, un bosco planiziate e zone umide dove nette radure della foresta appaiano i ruderi dei Gigli e dell’Osmannoro.
- Infine una visione più realistica della “ville émergente” tardo moderna: quella di completare il riempimento dei vuoti di università, uffici, svincoli, reti, autostrade e abitazioni fin sotto atta pista della aereoporto, nel pieno rispetto degli indici di urbanizzazione e chiamando i ritagli di spazi aperti residuali parchi urbani... Il libro non si avventura su questi scenari, se non per accenni di uno scenario strategico di tipo “lorenese”: un sistema regionale policentrico e, in esso, una regione urbana-parco.
Si tratta di accenni perché il cuore del libro risiede nell'esemplificazione - anche didattica e metodologica - di come condurre una storia del processo di territorializzazione, rifondativa dell'analisi urbanistica.
Una storia finalizzata a processi di sviluppo fondati sulla valorizzazione del patrimonio territoriale e a una progettualità rifondata sulla ricerca dell'identità dei luoghi, delle sue invarianti e dei suoi statuti da interpretare creativamente con nuovi soggetti e nuove forme della cura.