Nota: le citazioni sono assolutamente testuali, salvo i titoli in corsivo, scelti arbitrariamente dal sottoscritto. In fondo, è disponibile anche una mappa del piano in PDF, di pessima qualità ma leggibile (f.b.)
Municipio di Bologna, Relazione della Giunta al Consiglio circa il Piano Edilizio Regolatore e di Ampliamento della Città [1885], Regia Tipografia, Bologna 1890
Quarant’anni di durata
Restringendo ad un breve periodo le nostre mire, avremmo potuto ridurre a modesti contorni il piano da attuare; ma non si sarebbe data così soddisfazione che ad una troppo piccola parte delle tante aspirazioni, in fatto di opere pubbliche, nutrite di lunga mano dai nostri concittadini. I quali, ponendo le condizioni della città nostra a confronto dei tanti abbellimenti delle città sorelle e dei progetti che vi stanno maturando, non possono rassegnarsi a tollerare, almeno in alcuni dei punti di maggiore importanza, quei difetti e quegli sconci, che le abitudini moderne rendono di giorno in giorno più sentiti. E neppure sarebbe stato prudente di mirare colle proposte ad un avvenire oltremodo remoto, accogliendo un lasso di tempo, fuori d’ogni esempio nella nostra legislazione, ed accrescendo così quelle incertezze e quelle oscurità, che accompagnano sempre le umane previsioni. Ci è parso quindi che un periodo di quaranta anni potesse evitare prudentemente gli opposti pericoli, tanto più se si consideri, che da parecchie opere all’interno poco aumento di abitazioni ne potrà derivare e che riuscendo esse assai costose era mestieri di poterle ripartire in modo, da renderne meno grave il peso sulle finanze del Comune. La vita delle città non si deve ragguagliare ad uno stesso metro con quella degli uomini; né sarebbe ragionevole di giudicare come inadeguati al bisogno taluni provvedimenti edilizi, solo perché noi non potremo essere testimoni del loro completo svolgimento. (pp. 11-12)
La demolizione delle mura
Le zone d’ampliamento abbisognano, com’è chiaro, di essere collegate, per quanto possibile, ai quartieri interni, ove siederanno sempre gli uffici e gli stabilimenti di maggiore importanza e convergerà più frequente il movimento dei cittadini. Di qui la necessità di frastagliare le mura, moltiplicare i passaggi e togliere quindi alla vecchia cinta quel carattere severo e maestoso, che emerge soprattutto dalla continuità e dalla lunga distesa di questi antichi baluardi. Né ci sembra che, con talune moderne costruzioni, si potesse correggere la deformità delle ripetute aperture praticate nelle mura; parendoci piuttosto che si dovesse esaminare se, sotto il punto di vista storico ed archeologico, fosse possibile di conservare qualche parte dell’antica costruzione, in modo da tramandare ai posteri il tipo della sua struttura e le tracce del suo andamento. E poiché talune porte potranno, come si è detto, essere conservate, isolandole nel mezzo di adatti piazzali, sarà così dato di aggiungere, anche per questa parte, un qualche saggio della vecchia cinta. (p. 14)
Il “grande disegno”
noi avremmo potuto seguire il metodo che, nel 1876, fu adottato dal Consiglio Comunale di Milano. Quella Giunta fece eseguire e presentò al Consiglio un piano regolatore generale, non già perché ne fosse chiesta l’approvazione a termini di legge e venisse così impegnato il Comune alla sua completa esecuzione, ma perché quel grande piano comprendesse, per dir così, i capisaldi delle opere future e servisse di norma alle successive proposte di piani parziali e definitivamente regolatori. La vecchia e la nuova cerchia di quella città intersecate, di tratto in tratto, dalle grandi strade radiali, che bastano quasi alle comunicazioni del suburbio, fino a che l’abitato si raccoglie in esigue zone lungo quelle vie, venivano a formare delle grandi figure quadrilatere, alle quali si sarebbero applicate gradatamente le disposizioni dei piani regolatori. E i lavori circoscritti a semplici allargamenti di strade avrebbero poi fatto oggetto di proposte distinte, ritenuta la loro indipendenza dai vincoli di un piano generale. Il Consiglio Comunale di Milano prese quindi soltanto atto del piano edilizio presentato, e approvò di coerenza ad esso, il piano d’ingrandimento di una parte del suburbio.
Questo metodo può avere indiscutibilmente dei vantaggi; esso permette di restringere in modo notevole il complesso delle opere; facilita la previsione dei mezzi finanziari ai quali si potrà ricorrere; e riserva una maggiore libertà d’azione per adattare i progetti alle nuove circostanze, seguendo così, secondo i dati dell’esperienza, lo sviluppo spontaneo della fabbricazione. Ma una delle ragioni principali, che possono indurre un municipio a stabilire un piano regolatore, può rimanere, con questo procedimento, frustrata. Le opere secondarie possono bensì considerarsi, entro certi limiti, come indipendenti le une dalle altre e si può quindi ammettere, che i progetti relativi siano suscettibili, senza grave inconveniente, di modificazioni successive. (pp. 24-25)
Pubblico/Privato
Il concetto essenziale del piano regolatore si fonda sul bisogno di fissare anticipatamente le norme, alle quali devono conformarsi i privati colle nuove loro costruzioni. Una volta fissate queste norme, il compito dell’Amministrazione dovrà consistere, generalmente parlando, nel secondare l’iniziativa privata, man mano che la fabbricazione si verrà estendendo e nel compiere le sistemazioni e le opere stradali relative. Alla parte di opere e di spese devoluta al Comune, un’altra dunque se ne deve aggiungere, non meno importante, quella delle nuove edificazioni, che rimangono affidate all’attività e all’industria dei privati. E quest’attività e quest’industria devono essere in grado di assegnare alla realizzazione del piano regolatore dei capitali anche maggiori di quelli, che il Comune è tenuto di dedicarvi. (p. 31)
La città ideale
la forma che più si presterebbe per una città, sarebbe quella in cui i vari punti del perimetro si trovassero equidistanti dal centro; e però la figura che generalmente si riscontra nelle piante della città è la figura poligonale, che tanto meglio si accosterebbe alla forma anzidetta quanto maggiore fosse la regolarità ed il numero dei lati del poligono.
Si è quindi considerato se fosse stato possibile e conveniente di dare al limite esterno della città da ampliarsi un andamento che tale che, discostandosi per forma da quello delle mura attuali, avesse permesso di variare il numero dei lati del nuovo perimetro poligonale. Ma si è riscontrato che ciò non era attuabile senza andare incontro a gravi inconvenienti; e che non si poteva rinunciare, senza rilevantissime spese, alla forma esistente della città:per cui la periferia dell’ampliamento segue presso a poco la disposizione dei circuito d’oggi. (p. 99)