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Antonio Pedrini
La città moderna (1905)
31 Marzo 2004
Urbanisti Urbanistica Città
La riflessione epistemologica sull’urbanistica e sulle pratiche necessarie per il governo della città inizia agli albori del XX SECOLO. Lo testimonia lo scritto di Antonio Pedrini, La città moderna. Ad uso degli Ingegneri, dei Sanitari e degli Uffici Tecnici di Pubbliche Amministrazion, Ulrico Hoepli, Editore-Libraio della Real Casa, Milano 1905. Ne proponiamo una selezione, a cura di Fabrizio Bottini

PREFAZIONE

“I nostri figli sapranno un giorno fabbricare case e città in modo che d’aria ve ne sia in abbondanza per tutti e che sia sempre di prima qualità”. Così scrisse molti annior sono quell’illustrazione scientifica italiana che è il venerando Senatore Prof. Mantegazza.

Non credo d’esser io quel tale che sappia insegnar quanto occorra a raggiungere il desideratum dell’Illustre Maestro: con questo mio primo lavoro, che è un assieme di studi concernenti la costruzione di tutto ciò che costituisce una città - fabbricati pubblici e privati; strade e piazze; servizi municipali (fognature, acque, illuminazione, ecc.) - intendo presentare un saggio e molto modesto che potrà, come lo è, essere perfettibile e perfezionarsi da altri più valenti di me che per primo con un programma abbastanza largo, esco in campo.

Dalla critica degli specialisti domando un giudizio nel quale sia tenuto a calcolo la deficienza di pubblicazioni italiane concernenti, argomenti d’ingegneria sanitaria urbana - scrivendo per il nostro paese bisogna adattar tutto al suo clima, agli usi dei suoi abitanti: da oltre le Alpi, da oltre l’Oceano molto può essere a noi insegnato ma non tutto può essere accettato.

L’AUTORE

[...]

CAPITOLO XV

Le città, i borghi, le ville. Le città operaie. L’estetica e l’igiene

1. L’origine dell’igiene pubblica - Noi qui non intendiamo tesser al benevolo lettore l’istoria dell’igiene pubblica, solo dare a lui un cenno del come nacque.

L’uomo fino dai primi tempi nei quali cominciò a sentire il bisogno di viver in società, cercò di stabilire la sua capanna, la sua tenda, la sua casa vicina a quella d’altri uomini ai quali comuni fossero ed i bisogni della vita ed i dolori e piaceri di questa. Le particolari attitudini hanno fatto sì che variamente si aggruppassero gli esseri umani.

Datosi l’uomo col tempo all’agricoltura troviamo che questa a sé lo lega, ed in breve lo troviamo unito in società per interesse e difesa di sé e dei proprii averi. Crescendo i bisogni, complicandosi gli interessi, ingrandendosi l’industria, s’inizia una gerarchia sociale. Si elevano città, si cingono queste di mura a difesa di possibili aggressioni da parte di altri uomini, sotto un potere che rappresenta, che personifica il diritto e gli interessi comuni.

Interviene col tempo la religione a vivificare il sentimento della fratellanza, a cementare l’associazione fra gli uomini. Ma con lo stringersi l’uomo in società s’incominciò a constatare in essa dei malori fisici e morali in causa del formatosi agglomeramento. È in questo tempo che l’igiene, la quale non presiedette alla formazione delle città, che cominciò a far sentire la propria influenza per toglier di mezzo le cause dei molteplici mali che andavano sviluppandosi; essa intervenne infine quando si ebbero a constatare danni per la formazione dell’umana società.

Nell’ignoranza di ogni elementare principio d’igiene si formarono centri abitati nei quali oggidì, a scienza più progredita, troviamo tutto da riformare.

Certo che la rigenerazione sanitaria di un paese domanda un forte dispendio ed il soccorso forse dei secoli ma ciò non deve intimidire chi è preposto alla salute pubblica giacché deve tener presente che risanare un abitato vuol dire prolungare la vita media dei suoi abitanti.

2. Le diverse esposizioni dei centri abitati. - Nel caso di dover studiare un piano regolatore di un centro abitato vi sono tre problemi da studiare, cioè :

Quello dell’esposizione del centro abitato;

2° Quello della sua situazione;

Quello della forma per lui più conveniente.

Per stabilire la esposizione si esigono molteplici osservazioni nei riguardi:

a) della composizione dell’atmosfera locale ;

b) delle condizioni meteorologiche locali ;

c) del clima locale;

d) della natura, della configurazione, dei prodotti del suolo;

e) della estesa delle acque nella località in esame.

Di tutti questi elementi di studio vedremo a suo tempo.

Scelta della situazione dei centri. -Non è possibile stabilire in modo assoluto il grado disalubrità di un dato centro abitalo, costrutto o da costruirsi in pianura.

Esso varia in rapporto della natura del terreno, dei venti predominanti, delle vicinanze naturali (foreste, paludi, ecc.); di ognuna di queste parleremo a suo tempo.

Certo intanto è che un centro abitato che corona luoghi elevati si fa rimarcare per un’aria viva, non inficiata, di frequente rinnovellantesi.

La ubicazione delle città imprime poi alle medesime caratteri igienici differenti.

Infatti chi non trova una differenza notevole - in punto d’igiel1e, di umidità atmosferica, ecc. - fra le città di pianura, di vallata, di litorale, fluviali, lacustri?

Col notare le differenze notevoli per le varie specie di città, noi verremo mano mano ad indicare le condizioni speciali in cui si trovano varie città d’Italia, tanto per far maggiormente conoscere quanto si ha da notare per il nostro paese nel quale questo genere di studii comincia solo oggidì a farsi strada.

Nelle fig. 39, 40, 41 presentiamo intanto in piccola scala le piante di tre città italiane e forse le più tipiche in Italia, Venezia, Peschiera e Mantova, quali città che possono annoverarsi fra le lacustri e palustri e di qualcheduna delle quali diremo le conseguenze per tale ubicazione poco elevata sul livello del mare.

3. Città fluviali. - Una parte delle città italiane sono costruite sulle rive di fiumi o sono dai medesimi, suddividendosi anche, attraversate. Le acque dei fiumi di mano in mano che dalle sorgenti scendono a mare si caricano, portano in sospensione materie organiche vegetali ed animali e particelle di terreno. È ovvio che le città attraversate da fiumi quanto più sono vicine alle sorgenti di questi e tanto più vedranno scorrere più limpide le acque, avranno acqua con migliori qualità. Quando la velocità di queste si rallenta, come avviene presso la foce dei fiumi, i corpi in sospensione si depositano, una mota ricca di materie organiche si forma allora - le sostanze organiche nel verno restono coperte dalle acque e non putrefano. Se poi il fiume va soggetto a magre estive, restando scoperti affatto siffatti fatali sedimenti ai fianchi del letto del fiume, circondati dall’umido e dall’aria e riscaldati dai raggi solari, passano in putrefazione e sviluppano gas deleterei.

Di più i fiumi col movimento delle loro acque determinano un movimento dell’atmosfera che viene a contatto colle medesime, di qui la possibilità di trascinar da un paese all’altro un’aria che per qualche ragione, per il fatto dell’uomo o per ragioni locali si fosse resa inficiata. Le nebbie nelle città attraversate da grossi corpi d’acqua, nella stagione invernale vi fanno spesso comparsa; l’umidità dell’atmosfera della città è sempre in ragion diretta dello specchio d’acqua che la attraversa.

4. Forma più vantaggiosa per una città. - Dovendo studiare la pianta di un futuro cenlro devesi aver presente che la pianta più vantaggiosa in linea d’igiene è quella nella quale le abitazioni, i fabbricali pubblici abbiano la maggior distanza fra loro possibile, disposti lungo le vie o strade che sieno percorse da correnti d’aria che agevolino il movimento dell’aria delle strade secondarie che in quelle sboccano. Bisogna che la rete stradale sia ortogonale o quasi in modo che qualunque dei venti cardinali spiri, vi sia sempre richiamo d’aria in tutta la rete stradale.

5. Sistema radiale - Sistema triangolare -Sistema quadrilatero. - Non sono encomiabili quei centri che presentano una pianta nella quale sieno raggruppate in uno spazio, più o meno ristretto, circolare, nel quale le vie sono disposte a raggi partenti dal centro, dove i quartieri centrali sieno soffocati, per modo di dire, da una cintura di quartieri .. perimetrali e dove è ineguale la ventilazione delle strade. - Amsterdam è un semicircolo per citare una città di tale forma; Cittadella in provincia di Padova, ha la forma elittica, tutta cinta di mura con quattro porte alle estremità degli assi, ecc.

Nel sistema triangolare due maggiori vie partono da un centro o piazza mentre un’altra, una terza gran via con le due prime circoscrive uno spazio triangolare, delle vie trasversali le congiungono. È una migliore disposizione inquantoché si può aver un lunghissimo sviluppo della linea perimetrale e quindi una maggior esposizione di fabbricati con uno spazio libero sul davanti.

Rotterdam, per citare un esempio, è un triangolo equilatero.

La forma quadrilatera, a quattro lati, con una rete stradale ortogonale interrotta da piazze è quella che più si presta nei riguardi del soleggiamento dei fabbricati e della ventilazione delle strade. L’Aja, capitale dell’Olanda, è un quadrato; Torino (fig. 42) e Trieste, se non affettano propriamente la forma quadrilatera, hanno però una magnifica rete ortogonale di strade. Rovito, in provincia di Cosenza, è diviso in tre vie come tre raggi, Palmanova,in Friuli, ha la forma di una croce d’onore ; Aranjuez in Spagna ha una rete ortogonale di strade; la città La Valletta nell’isola di Malta, come Torino e Trieste.

6. Città italiane di litorale. - Per l’azione moderatrice del mare - che modera il freddo nel verno ed il caldo nell’estate - ciò che rende più mite il clima delle città marittime, sono preferibili quest’ultime a quelle dell’interno.Però in esse il clima va accompagnato da una continua mobilità nell’atmosfera. Ci sono correnti dal mare alla terra nell’estate e viceversa.

Questa mobilità può essere nociva agli organismi ammalati ma nei sani stimola l’appetito, attua le funzioni di respirazione plastica. Purezza - serenità di cielo - altezza di temperatura media invernale - ricchezza di calorico, di luce - poca frequenza di pioggie - ricchezza di ozono nell’ aria - ecco i pregi delle città marittime. Mentone, Alassio, Nizza, Sanremo, Bordighiera e le altre molte città lungo le coste dell’italica penisola sono già celebri come stazioni di cura, balneari, ecc.

7. Le città di pianura. - Il maggior numero delle città di pianura in Italia l’abbiamo nella vallata del Po, in quella regione che presso a poco da Monfalcone a Cattolica si spinge a sera, fra l’ Appennino e le Alpi, con forma presso a poco triangolare. L’altezza di tale regione sul livello medio dei mari varia da 0 m. a 200 m.

In generale l’aria atmosferica di queste città è meno ricca di ozono - a cui si attribuisce in parte la qualità stimolante dell’aria delle città del litorale - ed è meno ricca quanto più le città sono internate.

Più che dal mare ci allontaniamo e più le variazioni di temperatura sono più grandi.

8. Scelta di una città. - Chi vuole un clima umido, eguale, inverni temperati, notte relativamente calde, deve scegliere una città di litorale. Chi desidera invece un’atmosfera più viva deve scegliere una città molto elevata sul livello del mare.

9. Numero delle piazze - Lunghezza e larghezza delle vie. - Fu ben detto che le piazze funzionano come magazzini di luce e di aria. Quanto è maggior il loro numero in una città e tanto ci guadagna l’igiene della medesima.

La loro ubicazione dovrebbe stabilirsi sul percorso delle strade più importanti delle città, per movimento di persone e veicoli, per lunghezza e larghezza di via. Non devono mancare però, anche se di modeste dimensioni, nei centri d’abitato secondarii.

Bisogna che il numero delle piazze stia in armonia e con la superficie del caseggiato e con la popolazione per chilometro quadrato.

La superficie del caseggiato, trattandosi di un piano ex-novo è facilmente calcolabile; in caso di ampliamento di un centro abitato lo è pure; in caso di uno sventramento lo è anche; qual’è il rapporto tra la superficie del caseggiato e quella delle strade e delle piazze fra il caseggiato? È questo un problema intorno al quale affaticano gli studiosi e che non fu ancor risolto. Bisogna accontentarsi per ora di fare un confronto col numero che ne esiste in altre città in proporzione del numero degli abitanti, per chilometro quadrato.

Seguendo il principio di scender dal generale al particolare, crediamo ora non essere privo d’interesse quello di mostrare come stiamo nei riguardi delle nostre città, rispetto ai principi d’igiene che andiamo sempre premettendo.

Le strade lunghe hanno il vantaggio di favorire le correnti d’aria che mettono in movimento quella delle strade secondarie che nelle principali sboccano. Le strade più lunghe nelle città d’Italia sono:

La Stesicoro-Etnea in Catania lunga m. 2800

Il Corso Vittorio Emanuele in Catania m. 2000

La Via Garibaldi a Messina m. 2000

Il Corso di Torino m. 2500

Sono da menzionare ancora: la strada che attraversa Napoli (fig. 43) da est ad ovest detta lo Spacca-Napoli; il Corso che mette a Piazza Popolo e la Via Nazionale a Roma (fig. 44) ; a Palermo i corsi che formano il quadrivio dei Quattro Cantoni (fig. 45); a Milano (fig. 46) il corso di Porta Romana e via discorrendo.

Larghezza delle strade. - Le maggiori ampiezze di vie, in Italia, le troviamo nelle seguenti città :

Napoli metri 35

Avellino metri 32

Pozzuoli metri 25

Sora metri 24

Castellamare di Stabia metri 21

La larghezza delle strade deve, in generale, essere in rapporto con la loro orientazione, coll’altezza delle case frontiste. Si ammette dagli igienisti altezza case eguale alla larghezza delle strade od al doppio di quest’ultima.

10. Che cosa è una piazza. - Tanto nei tempi antichi che in quelli del medio evo e del rinascimento si ammise sempre la necessità di larghi spazi nell’interno delle città, in rapporto della vita pubblica del paese e dell’importanza dell’ambiente. Riunire in tali spazi le opere più belle, i monumenti, gli edifici più insigni per architettura fu cura dei più vecchi fondatori di città. Si distinsero sempre però gli spazi destinati per monumenti, per edifici architettonici, per edifici pubblici da quelli destinati ai mercati, alla mostra delle merci.

Vediamo nelle vecchie città che quando questi spazi mancarono i templi, gli edifici pubblici si incastrarono nel corpo dei fabbricati, degli isolati, o si eressero nei punti morti delle piazze.

Nelle piazze tutto deve essere armonico: grandezza e forma della piazza in relazione coll’altezza dei fabbricati che circondano la piazza e col punto di vista dell’osservatore.

Forma delle piazze. - La forma più moderna è la rettangolare, però la elittica con gli assi eguali ailati d’un rettangolo fa risparmiar del terreno sì costoso nelle città per il caso di un sventramento.

11. Succinta rivista delle condizioni nei riguardi della forma planimetrica, della orientazione delle strade, del numero delle piazze più importanti e dei corsi d’acqua, di 87 città italiane. - Presentiamo una breve nota, desunta e da conoscenza di molte città d’Italia e dalla ispezione delle più recenti carte topografiche delle medesime, e da notizie desunte da pubblicazioni locali, dello stato in cui si trovano 84 città italiane rispetto alla forma, all’orientazione delle vie, al numero delle piazze più importanti, ai corsi d’acqua che le attraversano per tirarne poi una qualche conclusione.

Interessa avvertire il benevolo lettore che nei riguardi di designare la forma delle varie città ci siamo attenuti a quella forma che più approssimatamente le varie città affettano; così pure nel determinare la orientazione delle strade abbiamo esaminate le strade nel loro complesso, nella loro maggioranza per le orientazioni segnate nella rivista, tanto da poter dare un’idea dell’orientazione in generale. (Vedi tabelle alle seguenti pagine 194 a 202).

Conclusione della rivista. - Le conclusioni alle quali ci conduce la rivista ora esposta sono:

I. che pochissime sono le città italiane, delle quali ci siamo occupati, che presentino nettamente una forma geometrica regolare sia essa rettangolare, triangolare, radiale; nella maggior parte delle città italiane predomina l° la forma polilatera, (figura chiusa a più lati, irregolare); 2° la forma quadrilatera irregolare (non rettangolo, non quadrato, non trapezio, ecc.) 3° la forma triangolare irregolare (approssimantesi alla forma triangolare) ; 4° la forma di un pentagono irregolare (zona di terreno racchiusa o da potersi racchiudere da 5 lati); 5° la forma avvicinantesi alla forma esagonale; 7° la forma rettangolare irregolare (zona di terreno da 4 lati, a due a due presso a poco eguali ed incontrantisi ad ogni angolo retto; 8° la forma elittica, ottagona, dodecagona.

II. Che in quasi tutte le città citate le strade non sono esattamente orientate col meridiano e col parallelo astronomico ; predomina le orientazioni NE-SO; SO-NE.

III. Che il numero delle piazze ha un massimo nel numero di 34 a Napoli per scendere a 31 a Milano e che vi sono n. 7 città che hanno piazze dal n. 30 al n. 20; che vi sono n.5 città che contano da 10 a 20 piazze; tutte le altre città hanno un numero inferiore di piazze al n. 10.

IV. Che la forma delle piazze è svariata: essa varia dalla forma circolare alla semicircolare, elittica, quadrata, rettangolare, triangolare, quadrilatera, polilatera, con prevalenza però la forma rettangolare.

V. Che quasi la metà delle città indicate sono o attraversate da corsi d’acqua o collocate sulle rive di fiumi.

VI. Che la maggior parte delle città indicate sono chiuse da mura di cinta, da fortificazioni.

12. Altre note sulle città indicate. - Da rilievi, informazioni risulta che la larghezza delle strade, in generale, nelle città del mezzodì è minore di quella delle città del settentrione, trovando ragione questo fatto forse nel desiderio d’aver nei paesi del nord più sole, più luce; nei paesi del sud più ombra, l’ombra projettata da fabbricati che procura un fresco delizioso, che allontana il disseccamento delle materie pulverulenti del suolo stradale, ma però con incomoda circolazione dei carri e dei pedoni e con difficoltà di aerazione.

Una seconda nota la si ha sull’altezza dei fabbricali in generale che nei paesi meridionali si trova minore che nei paesi settentrionali, forse ciò sta in ragione della poca larghezza delle strade e del di verso clima.

13. Utilità dei centri aperti. - Ai centri abitati, chiusi da cinta di mura, sono sempre preferibili i centri aperti perchè in questi più facilmente si fa sentire l’influenza salutare dei venti destinali a rinnovare l’atmosfera miasmatica della città; perchè in questi più facilmente fa sentire la sua influenza la luce solare che corregge l’umidità e stimola la vita. Di più nei centri abitali non chiusi da cinta di mura, coll’aumento della popolazione si ha il vantaggio di non avere fabbricati di grande altezza: quanto meno è disponibile area fabbricabile in una città e tanto più si ha un aumento di altezza nei fabbricati.

La speculazione, coi prezzi elevatissimi dei terreni fabbricabili, si rivale coll’altezza dei fabbricati.

14. Il numero delle case. - Una città è composta di un certo numero di abitazioni private e di edifici destinati ad liso collettivo.

La salubrità di una città intiera è data dalla salubrità di tutte le abitazioni private e delle strade.

Conoscere il numero degli abitanti che andranno a popolare un dato centro d’abitazioni in progetto, in ispecie se non debba essere cinto da mura, non è possibile allo studioso di determinare, certo che il numero delle case deve essere in proporzione del numero degli abitanti e delle aperture o fori nelle case (finestre e porte). Un edificio ad uso abitazione non deve contenere più di un abitante per ogni 10 metri quadrali di superficie coperta e lo spazio scoperto tra le case non deve essere minore della quarta parte della superficie delle facciate dei muri che lo ricingono; ogni stanza almeno deve avere almeno otto metri quadrati di superficie e 25 m3 di volume per ogni persona che l’occupa. Il numero degli abitanti di una casa non dovrebbe essere mai il doppio del numero delle stanze.

Certo che per la ventilazione naturale e per la illuminazione naturale sono preferibili le case dalle maggiori aperture.

15. L’indice della salubrità di un paese. - È dato dalla somma di tutte le abitazioni private e di tutte le strade e piazze. Per stabilire tale indice è necessario adunque di esaminare le abitazioni in rapporto a tutto ciò che contengono, a tutto ciò che le circonda.

La relazione fra le case ed il numero degli abitanti è da noi tosto studiata al n. 16; le relazioni fra le case e le strade; fra le case, i venti dominanti ed il sole; fra le case, il suolo ed il sottosuolo sono da noi toccate ai capitoli Suolo e Strade.

16. Densità della popolazione. - Non occorrono per il benevolo lettore dimostrazioni per provare che per l’addensamento di popolazione e per l’inficiamento del suolo vi ha alterazione nella composizione dell’aria.

È noto a tutti che la mortalità nelle campagne è minore che nelle città, ciò è dovuto al fatto della minor densità della popolazione campagnuola in confronto di quella cittadina.

Se noi poi consideriamo la mortalità di una intiera nazione e quella delle città capitali troviamo maggiore mortalità in quest’ultime come quelle nelle quali l’addensamento della popolazione è maggiore di quello dell’intera nazione.

Naturalmente la mortalità varia, dato pure il medesimo addensamento di popolazione per più centri, a seconda delle condizioni di clima, d’igiene, di giacitura.

La media annuale mortalità poi è ancora in rapporto col numero degli abitanti delle case.

Adunque la maggiore mortalità nelle città deve dipendere e dipende principalmente dalla alterazione dell’aria da parte dell’uomo. L’uomo, a mezzo della perspirazione polmonale e la traspirazione cutanea manda nell’aria una sostanza animale sciolta in vapore acqueo. Che sia questa sostanza non indaghiamo, sappiamo certamente che la constatiamo in un odor speciale che ci viene dato di sentire nei locali a lungo chiusi, nei dormitori ecc. È questo quello che si chiama il miasma umano. A questo va aggiunto, come altra causa d’inficiamento dell’aria, il miasma putrido dovuto alla quantità ed all’azione delle sostanze gasose o gas prodotti dalla decomposizione delle sostanze organiche prive di vita, che introdotte nell’organismo umano, producono, in certa dose, la morte. Il contagio e l’epidemia non v’ha chi nol veda come maggiori debbano essere nei centri maggiormente abitati.

Ma questi non si possono distruggere, né si può costringere l’uomo al suo completo isolamento perchè, dato ciò, l’uomo andrebbe incontro a tanti disagi che gli produrrebbero maggiori danni di quelli che a lui potrebbe arrecare lo addensamento di popolazione.

Né ci pare che la civiltà possa cedere tanto all’igiene da poter aver città estesissime, per superficie fabbricabile o come altri dicono fabbricata, con poca popolazione, e tutto per evitare un forte addensamento di popolazione. Ma allora non sarebbe più possibile l’impianto di certe industrie, che esigono la mano d’opera di migliaja e migliaja di operaj, che non possono trovarsi altro che nelle grandi città.

Possono i civici amministratori opporsi alla formazione dei grandi centri abitati? Non lo si crede, è come limitare la libertà di associazione, della quale solamente possono essere regolatori.

L’igiene non potendo combattere nella sua origine l’addensamento della popolazione, deve solo curarne i suoi particolari: la lunghezza, la larghezza delle strade, l’altezza delle case, ecc.

La poca densità della popolazione poi ha con sé delle conseguenze che hanno un certo peso.

Una città con popolazione poco densa e con una superficie estesa fabbricabile porta con sé che quanto meno abitanti ha per chilometro quadrato, tanto minore sarà l’introito delle imposte da essi ritraibile, restando medesime le spese per i servizi municipali (manutenzione delle strade, illuminazione, ecc.). Quanto meno densa è poi la popolazione e di tanto è arrestata l’altezza dei fabbricati: veggasi ciò che avviene nelle grandi città, nelle quali l’area fabbricabile è salita a prezzi elevatissimi e per il qual fatto lo speculatore si rifà coll’altezza dei fabbricati, erigendo elevatissime case.

Da tutto quanto abbiamo esposto, devesi dedurre che nel considerare la densità di popolazione si deve tener presente più il numero medio dei piani delle case, il volume d’aria assegnato in esse ad ogni individuo che alla superficie della città.

Devesi ritenere come media densità della popolazione delle principali città d’Italia, quella di 57.000 abitanti per chilometro quadrato trovando la media del numero dei piani delle case che non vorrebbesi oltre al n. 4, si trova il numero degli abitanti per piano e per chilometro quadrato: da qui l’area coperta occupata da ogni abitante, il volume dell’aria di cui può disporre, ecc.

17. Piani regolatori. - Un piano regolatore di una città può riflettere il presente od il futuro della medesima.

La sistemazione di una città da farsi in breve tempo e per ragioni igieniche, esige quello che si chiama piano di sventramento; se tale sistemazione deve farsi entro il periodo di 25 anni, domanda allora quello che dicesi piano regolatore.

La coordinazione e l’aggiustamento della città futura si fanno mercé piani diampliamento.

Ciò premesso, a seconda si tratti di lavori inerenti a piani regolatori, a piani di sventramento è da farsi un’importante osservazione circa la precedenza dei varii lavori. Egli è evidente che sono opere d’interesse generale quelle relative alle acque, alla fognatura delle quali nessun quartiere di una città può mancare; che sono opere d’interesse locale quelle determinate dalle coperture stradali, dai quartieri. Trattandosi di risanare un dato centro abitato è logico di dover far precedere le opere d’interesse generale come quelle anche che occupano il sottosuolo della città e poi pensare alla sistemazione stradale. Nei riguardi della sistemazione dei quartieri necessita ugualmente se dipenda da piani regolatori, che abbia precedenza l’esecuzione delle opere di interesse generale.

Se si trattasse poi di opere di sventramento, è necessario prima procedere all’abbattimento dei fabbricati, all’apertura delle nuove strade e poscia ai servizi del sottosuolo, perchè tale abbattimento è un efficace risanatore, portando luce ed aria e procedendo con più celerità delle opere riflettenti le acque e la fognatura.

18. La. circonvallazione. - Ho esaminato più progetti di ampliamento di centri abitati ed il più delle volte ho trovato che, nei riguardi dell’espropriazione dei terreni e dei fabbricati da demolirsi, l’espropriazione e la demolizione si fermano alla sola zona nella quale dovevano svilupparsi le nuove strade e le piazze. Ci pare che tale limitazione sia nocevole tanto dal lato igienico che estetico. Chiusi i vecchi fabbricati dalle nuove fabbriche sorgenti al lembo delle nuove strade periferiche dei centri abitati, continueranno detti fabbricati - se vecchi abituri - ad essere un centro d’infezione chiuso entro una bella e nuova cinta di fabbricati - adunque vantaggio non c’è dal lato igienico.

Coll’apertura di nuove strade, col taglio più o meno obbliquo dei vecchi fabbricati, avremo nella parte centrale degli informi fabbricati per pianta irregolarissima, per piccolissime dimensioni, per prospetti di pochi metri, che per la loro scomparsa ci vuoI il soccorso di molti e molti anni.

Espropriando in massa invece, oltre la zona nella quale devono innalzarsi i nuovi quartieri - si può giungere a svellere fino dalle radici il male igienico - l’espropriazione sarà più costosa, è vero, ma dopo l’apertura di nuove strade però il terreno fabbricabile acquista un maggior valore, che data una vendita, compensa l’importo delle demolizioni.

Nei quartieri poveri poi essendo generalmente più ricchi di stradelle, avviene che col loro abbattimento una gran parte dell’area stradale diviene area fabbricabile, diviene quindi una sorgente nuova di compensi.

19. I quartieri operaj. - La salute è la vita del lavoratore non solo ma di tutti gli esseri viventi, la conservazione della quale è dovuta in sommo grado alla salubrità della casa dove si passa in gran parte la nostra vita. Il secolo nostro umanitario non poteva restar indifferente al miglioramento delle classi operaje fin qui trascurate e governo e municipii e società infatti si sono interessate e s’interessano onde creare abitazioni salubri ed a buon prezzo per gli operai. Io qui non vi vengo a parlare né del miglior tipo di case economiche, né del loro aggruppamento, rimando il lettore per quanto sopra ad altro capitolo. Solo mi preme far osservare come nello studio d’ampliamento di centri abitali ci venne dato di osservare ripetuto un errore che giova con tutte le forze combattere.

L’errore consiste nell’accentramento in un solo grande abitato od in varii grandi isolati, della classe operaja.

In tali accentramenti egli è certo che, oltre le malattie, regna l’immoralità che non può essere repressa mancando gli esempi, il contatto colle classi più educate. Qualcheduno obbietterà che i grandi fabbricati vengono a costare meno in rapporto all’area: ma allora si fa questione di speculazione nella fabbricazione di case operaje, ciò che non deve essere. Per aver terreno a buon mercato è sempre da consigliarsi la campagna, i dintorni della città e per adottare, in luogo dei grandi fabbricati, le piccole abitazioni con qualche vantaggio economico, si può ricorrere alla riduzione dello spessore dei muri, senza però nocumento della solidità dei medesimi, e della loro funzione in linea d’igiene nei riguardi della trasmissione del calore, dell’azione meccanica dei venti, ecc.

Perché la costruzione delle case operaje viene ostacolata. - Da parte dei privati proprietari viene ostacolata:

1° Dalla poca attrazione di impegnare i propri capitali dal 4,5 al 5 %, come si dovrebbero, per poter stabilire un interesse piccolo;

2° Dagli sventramenti praticati nelle grandi città per i quali - senza prima aver provveduto di abitazioni per la classe meno agiata - le aree disponibili per la costruzione di case operaje vanno a confinarsi alle parti periferiche delle città per cui, date le distanze dal centro di queste, viene offerto un fitto sempre minore in ragione delle distanze;

3° L’accenno sempre crescente di un aumento di prezzo di questi terreni alla periferia delle grandi città;

4° Le prescrizioni dei regolamenti locali d’igiene non tutte le volte inspirate a conciliare l’utile - in linea d’igiene - con l’economia - tante volte essendo ispirate a vedute troppo teoriche;

5° L’ aumento dei prezzi dei materiali e della mano d’opera;

6° La noja delle esazioni degli affitti, a rate settimanali ormai che si vanno richiedendo dagli operaj,

20. Legislazione sociale a favore di buone abitazioni. Concorso dello Stato, dei comuni, degli istituti di previdenza, di beneficenza, delle industrie, di associazioni della beneficenza privata. - Da più di un secolo i governi dei paesi più civili cominciarono a prender a cuore la costruzione delle case operaje.

Infatti in Francia si ebbe un primo embrione di leggi sulle abitazioni operaje nel 1790, ma fu solo nel 1831 è più specialmente nel 1849 che Napoleone III imperatore dei Francesi, allora solo presidente della Repubblica francese, che diede il suo nome alla prima città operaja.

Nel 1852 stanziò con un suo decreto 10 milioni di lire per migliorare le case degli operaj.

Nell’Inghilterra fino dal 1838, s’incominciò a studiare la questione e nel 1844 si fondò, auspice la Regina, la Società per il miglioramento della classe operaja; nel 1845 con capitale di 2 milioni e mezzo si costituì l’associazione metropolitana per il miglioramento delle abitazioni delle classi industriali.

Nel 1848 si conferì alle autorità il potere di far eseguire i miglioramenti alle case con rivalsa sul proprietario.

Nel 1875 si aggiunse la facoltà di impedire l’uso di una abitazione riconosciuta dannosa.

L’Italia vi provvide colla legge sulla tutela della sanità pubblica nell’anno 1888.

Nel Belgio una legge del 1822 concede esenzione di contribuzioni alle abitazioni dei più poveri purché vengano migliorate.

Nel 1838 altra legge si occupa pure di case; nel 1848 una legge concede 2 milioni da spendersi per il bene della classe operaja; nel 1849 si apre un concorso per un progetto di abitazioni per operaj.

L’act 28 giugno 1871 in Inghilterra permette alle autorità di costruire esse stesse le case operaje a mezzo di prestito tratto sopra terreno di immobili insalubri espropriati o demoliti o di affittare tali terreni coll’obbligo di costruire case sane a buon mercato.

In Francia con legge 30 nov. 1894 si esonera dalle prediali per 5 anni i fabbricati, da dispensa dalle tasse di registro la costituzione delle associazioni ad hoc, si autorizzano le casse dei depositi e prestiti ad impiegare fino ad 1/5 del loro patrimonio per ogni abitazione costrutta.

I comuni concorsero essi pure in tale gara in Francia con dar premi alle Società edificatrici per ogni abitazione costrutta ; nel Belgio sottoscrivendo azioni e facendo prestiti; in Italia idem; in Inghilterra comperando case vecchie, demolendole, ricostruendone di sane; idem in Germania.

Concorsero gli istituti di previdenza e di beneficenza negli Stati Uniti d’America, nell’Austria, nella Francia, nell’Italia. Così pure i proprietarii delle grandi industrie francesi, inglesi, belghe, olandesi, tedesche, russe, svizzere e italiane. Le associazioni cooperative e filantropiche nei precitati paesi non mancarono; in una colla beneficenza privata di venir in aiuto nella santa opera di procurare un alloggio sano alla classe lavoratrice.

Vedremo ad altro capitolo sulle case economiche a caserma, sui familisteri, sui tipi collettivi, sulla città operaia di Mulhouse, di Menier, sulle città a case operaje individuali, sui borghi operaj, ecc.

21. Genesi dell’endemia tifica a Venezia ed a Mantova. - Bisogna farsi un’idea esatta del come proceda la bisogna nei riguardi dei sistemi di fognatura così pubblici che privati e studiare sopratutto di conoscere i rapporti di questi sistemi col sottosuolo per poter spiegare l’influenza delle febbri tifoidee che da anni regnano a Venezia ed a Mantova.

Dai brevi cenni che seguono e che sono dedotti da studi superlocali e da pubblicazioni di studi fatte in varie circostanze, onde poter concretare un piano di risanamento delle due città, si vedrà come stretto sia il legame fra i sistemi di fognatura e la natura del soprasuolo, del sottosuolo, i movimenti dell’acqua freatica e come vi sia il caso di dover adottare la fognatura statica che è soggetta a tanti appunti, in luogo della fognatura dinamica.

Né credesi fuor di luogo accennare, come causa generale atta a promuovere lo sviluppo dell’endemia tifica, i lavori nel sottosuolo che in molte città si fanno. Valga il fatto di Venezia per la costruzione del suo acquedotto. In 38.000 metri di tubulazione nell’interno della città, furono innumerevoli le difficoltà tecniche incontrate; stante le peculiari condizioni del suo sottosuolo si dovette mettere allo scoperto talvolta per qualche settimana delle cloache ripiene di materie fecali, provenienti da cessi privati e mettere eziandio sottosopra il terreno circostante, cangiato in fetidissimo letame. In tali manomissioni sarebbe un errore ammettere una delle tante cause atte a promuovere lo sviluppo dell’endemia tifica?

Venezia. - Questa città fabbricata sopra circa 70 isolette, divise da due maggiori e 147 minori canali e riunite da 306 ponti, presenta l’aspetto di una città galleggiante.

Essa è congiunta alla terraferma con un ponte, meraviglia d’arte, che partendo dall’isola di S. Lucia in punta della Sacca (deposito di muriccia) di questo nome arriva alla barena (fondo della laguna che rimane allo scoperto durante la bassa marea) di S. Giuliano, ove incomincia la strada ferrata. Questo ponte misura la lunghezza di 3.600 metri ed è costituito da 222 archi: per la sua costruzione, che costò sei milioni di austriache furono impiegati e costrutti :

Pali di larice per le fondazioni, 80.000

Grigliato, m2 10.000

Escavazione di terra, m3 30.000

Muratura a pietra perduta, m3 7.000

Terrapienamento, m3 30.000

Ferramenta, kg. 110.000

Turre, metri lineari 8.000

Mattoni cotti, milioni 21.000

Pietra d’ Istria, m3 5.000

In questa incantevole città numerosi sono i campi (piazze), i campielli (piazzette), le corti, solo riservando a quella di S. Marco per antonomasia il nome di piazza. Numerose e variamente orientate sono le calli (strade), le callette (stradicciuole), le salizzade che la suddividono; non mancano però dei bellissimi e larghi corsi; delle lunghe passeggiate a mare (rive, le fondamenta). Tutte le abitazioni e stabilimenti pubblici che sorgono lungo i rivi e canali, meno forse qualche eccezione, immettono in quei rivi e canali le dejezioni umane e le acque immonde delle cucine.

Dato pure un correttivo nell’acqua marina è pur vero che la quantità di materia immessavi ed il moto lento dell’acqua di riflusso non possono che dar luogo ad un inquinamento dell’acqua stessa e ad un innalzamento del fondo dei canali e dei rivi. Una prova la si ha di questo inconveniente nel periodo di bassa marea (quando questa scenda al di sotto di m. 1.00) quando si percorrono i varii rivi, là dove i condotti verticali dei cessi hanno le loro sboccature, si vede il fondo notevolmente elevato e persino ostruita in parte la sboccatura.

Scendendo la bassa marea al di sotto del limite suaccennato; in tutti gli alvei si vede una spiaggia saliente dal mezzo di essi che va ad appoggiarsi alle fabbriche.

Tutte le altre abitazioni non sorgenti lungo i rivi e canali hanno in piccolissimo numero cloache proprie; il numero maggiore immette le dejezioni e le acque immonde, mediante condotte verticali, in collettori che corrono lungo le calli e che si chiamano Conduttori comunali. Questi conduttori sono murati a calce comune, senza alcun intonaco, non a tenuta di gas né manco di liquido; sono sempre ingombri di materia per cui è necessario, ogni tanti anni, procedere al loro espurgo, all’esporto di materia indurita, l’acqua inquinata avendo trapelato dai muretti e dalla platea ad infettare il terreno sottoposto e circostante.

Questo espurgo dà luogo a sviluppo a gas svolgentisi dalle materie fecali raccolte. Le bussole (caditoje, chiusini ecc.) per le quali scorre l’acqua dalle vie al conduttore permettono continuamente che le esalazioni si spandano nell’aria. Le cloache private sono della medesima costruzione ed ammorbano l’aria dei locali terreni ed anco superiori: l’infezione quindi resta anche dopo espurgata la fossa.

Sono circa 13.600 le abitazioni che immettono le dejezioni umane e le acque luride nei condotti comunali che percorrono 97 chilometri di calli, dove è possibile ammetterne l’esistenza; non meno di 2.400 le immettono nei canali che misurano circa 36 chilometri e solo circa un migliaio in cloache private.

Vi sono circa 537 pisciatoj inoltre che immettono le feccie liquide, nella minima parte nei rivi e canali; nella massima nei condotti sotterranei.

Acqua di flusso e riflusso. - L’acqua di flusso e di riflusso scorre sul fondo della laguna, dei rivi e dei canali ma sopra uno strato di acque che rimane anche dopo cessato il riflusso. A questo strato è comunicata una parte sola del moto delle acque, che diminuisce però in rapporto alla profondità delle acque, le maree sono poco elevate, la velocità quasi o forse del tutto si estingue il più delle volte presso il fondo.

Velocità della marea. - La marea ha una velocità in laguna di 1 metro per 1” ed anche meno e non supera questo limite se non nell’alta marea, accidentata per venti.

Velocità nei canali, nei rivi. - L’acqua entrando nel Canal Grande e nei rivi perde man mano del suo moto. Abbiamo infatti :

Marea in laguna. Velocità superficiale m. 0.80 al l"

Marea in Canal Grande. Velocità superficiale m. 0,40 al 1"

Marea nei rivi. Velocità superficiale m. 0,20 e meno

Ne conseguita che al fondo non si ha tanta forza da far ruzzolare leggiere molecole di materia qualunque. Lo prova il fatto che l’acqua della marea è limpida mentre dovrebbe essere torbida e nerastra. Ogni 30-40 anni poi occorre espurgare i rivi fino alla profondità di 2 metri sotto la comune alta marea.

Esistenza dell’ammoniaca. - Da tale materia che si deve di tratto in tratto, a lunga scadenza, scavare è chiaro che debbano svilupparsi ammoniaca, gas acido solfidrico, l’odore di ammoniaca a Venezia è facilmente avvertibile a bassa marea lungo i canali; nelle case è comune l’annerimento degli oggetti d’argento. Ma la prova più manifesta della presenza dell’ammoniaca nel suolo si è che i tubi del gas hanno in Venezia una durata minore che nelle altre città d’Italia; l’ammoniaca li intacca.

La fognatura nera stradale a Venezia. - La fognatura bianca. - Le acque pluviali delle strade, delle piazze, s’immettono nei collettori a mezzo delle bussole (caditoje, musine) s’inquinano ed attraversano la platea ed i muri dei collettori, platea e muri in muratura a calce comune e senza intonaco. Questi conduttori a brevi intervalli devono essere espurgati giacché le materie portate dalle acque pluviali vi si arrestano causa anche una deficienza di pendenza, si fanno più compatte nullostante le acque pluviali che di tratto in tratto vi scolano dentro. Queste e le acque di flusso che vi entrano due volte al giorno in quella quantità che loro permette l’altezza nei collettori delle materie, non giungono a spingerle nei rivi e le materie si dispongono a scarpa dall’interno allo sbocco.

Le acque di pioggia delle doccie che entrano per le bussole nei collettori perdono ogni loro velocità. Quelle che cadono dalle doccie delle case a mezzo di tubi verticali, nei collettori possono sommuovere alquanto le materie e ridurle allo stato di poltiglia allo sbocco dei tubi verticali, ma dette materie là ristagnano e filtrano attraverso la platea e muri dei collettori; Le acque dai rivi e canali entrano con la velocità con la quale scorrono nei rivi; poco sciolgono delle materie compatte, ristagnano finché il flusso dura e per il riflusso tornano più inquinate e più pesanti dell’acqua dei rivi e canali.

Collettore Via Garibaldi. - Il collettore di Via Garibaldi, costrutto coll’intendimento di conservare in comunicazione delle acque fra il rivo di S. Anna e la laguna è uno dei più grandi di Venezia. Esso ha una larghezza di circa 5 metri e la sua profondità dall’intradosso della volta che lo copre alla platea è circa 3 metri. Nullostante questa capacità è d’uopo procedere al suo spurgo ogni 30 anni. Gli sbocchi in laguna e nel rivo di S. Anna si trovarono sempre per metà ostruiti, nessun movimento di acque effettuandosi tra la Laguna ed il rivo e viceversa. La materia spinta dalle acque pluviali a mezzo delle bussole, dai tetti fu sempre trovata distesa nel condotto o collettore, elevandosi fino ad ostruire le sboccature dei cessi delle case. Ciò mostra che se un collettore di tanta ampiezza non ha potuto conservare il moto alterno dell’acqua di marea e si è ostruito tanto da doverlo espurgare, più non può cader dubbio sull’inefficacia dell’acqua di riflusso a scaricare i condotti minori che corrono sotto le calli.

Da quanto abbIamo sommariamente esposto sulla fognatura. della città di Venezia allo stato presente devesi conchiudere per questa città quanto non si dovrebbe conchiudere per le città di terraferma e cioè:

1°che non potendosi disporre di una grande massa d’acqua dotata di grande velocità si da cacciare lontano le materie dai collettori generali, questi dovrebbero essere eliminati.

2° che sopprimendo le cloache, conservando ed aumentando anche i collettori generali non sarebbe possibile asportare da essi con mezzi pneumatici le materie, sia per la lunghezza dei conduttori sia per la compattezza delle materie.

3° che sono da escludersi le fogne mobili per il numero loro straordinario, per il servizio del loro trasporto a distanze grandissime, alla terraferma, per la loro vuotatura, ecc.

4° che è il caso per Venezia di studiare cloache a tenute di liquido e di gas.

La città di Mantova. - Mantova giace in una posizione assai depressa, il punto più elevato di essa trovandosi alla quota 25,71 ed il più depresso alla quota di m. 19,33 sul livello del mare. La città è circondata ad Est-Ovest e Nord dai Laghi Superiore, di Mezzo ed Inferiore formati dal fiume Mincio; è cinta a mezzodì dalle fosse militari, dalle valli denominate Valsecchi e di Pajolo. Il bacino determinato dalle fosse militari, e dalla Valletta Valsecchi serve a raccogliere le acque di piena del canale Rio, che attraversa la città, derivando l’acqua dal Lago Superiore convogliandola in quello Inferiore. Quando la fortezza di Mantova viene posta in istato di difesa, tanto le fosse militare e la Valletta, quanto la Valle di Pajolo vengono completamente allagate; con acqua che si deriva a mezzo di due chiaviche aperte in fregio al Lago Superiore.

Un tempo la città andava soggetta all’allagamento per effetto delle piene del Lago Superiore combinate con quelle del Mincio le cui acque vengono rigurgitate da quelle del Po quando questo è in piena: oggi, mediante opportune difese, detti allagamenti non avvengono più.

Queste infelici condizioni idrauliche non permisero finora di attuare a Mantova una fognatura a scarico naturale per mancanza di un bacino che permettesse la libera e costante sfociatura del liquame. Esiste una rete di tombini stradali destinati allo scolo delle acque meteoriche ma è incompleta sempre in causa delle accennate deplorevoli sue condizioni idrauliche.

La fognatura domestica è costituita da fogne nere ma ancora, nullostante i regolamenti municipali, in tale stato da inquinare le acque dei pozzi ordinari, in ispecialità in causa delle sensibili oscillazioni del pelo freatico dovute alle forti variazioni di livello dei laghi circostanti. La poca elevazione sul livello del mare della città di Mantova, posta fra tre laghi non sempre a livello costante ed attraversata da un canale pure soggetto a frequenti oscillazioni di livelli delle sue acque, la natura del sottosuolo assai poroso, la falda d’acqua sotterranea poco profonda, facile pur essa alle oscillazioni di livello; le acque stagnanti nei fossati che circondano le fortificazioni attorno alla città, il letto limaccioso dei laghi che resta in buona parte scoperto nei periodi di magra estiva nel Mincio, sono altrettante cause atte a favorire lo sviluppo della malaria a Mantova come di fatto vi domina. Il sottosuolo di Mantova ricoperto di un grosso strato superficiale, humus, è formato da terreno di riporto e da strati profondi di sabbia completamente permeabili, soggetti a sensibili e frequenti oscillazioni del livello della falda acquifera, onde si ha un sottosuolo umido nel quale, dato che penetrino germi morbosi, essi trovano condizioni più che favorevoli per svilupparsi.

22. L’estetica e l’igiene.- Piazze. -Nei secoli scorsi ed ancor oggidì in molte città le maggiori e più centrali piazze hanno servito e servono da gran mercati. Nelle città moderne però ed in quelle antiche che si vogliono adattare alle esigenze della vita moderna non ha più importanza questo mercato centrale, di qui questa minor necessità porta con sé che la circolazione, le strade non hanno più tante esigenze centralizzatrici, non convergono al centro della città, al gran mercato come in tante città dei paesi nordici dove troviamo in questo centro il centro municipale, il municipio, gli uffici, ecc. Oggi se si apre una piazza è ben con altri intendimenti che la si apre. La si apre per mettere in vista un monumento, un palazzo, una chiesa; oppure la si apre, la si allarga per dar un po’ di ristoro a qualche quartiere della città. In ciò l’estetica viene in aiuto all’igiene urbana, la quale considera i larghi e lepiazze come magazzini di aria e di luce nei quali viene a mescolarsi l’aria percorrente le strade che nelle piazze sboccano. È per questa ragione che essa igiene suggerisce caldamente la costruzione di mercati coperti in luoghi adatti, in più punti delle città dove per di più la vigilanza igienica sulle derrate, sugli erbaggi, sulle carni può essere ed è più accurata da parte dei vigili addetti agli uffici municipali d’igiene.

Una grande piazza infine si spiega quando sia su un crocevia di grandi arterie perchè serve ad agevolare la circolazione: una piazza che non ha un fine pratico è triste, è deserta.

Strade -La lunghezza delle strade. "- Abbiamo detto al capitolo Strade che la lunghezza delle strade non interessa l’igiene, interessa invece questa la larghezza. Qualora però questa lunghezza fosse eccessiva presenta più inconvenienti, in ispecialità per le strade diritte, per i rettifili: che esse strade si perdono nella nebbia se troppo lunghe; che si rendono nojose a guardare perché le facciate delle case si confondono in una prospettiva fuggente; che sono faticose a percorrere.

Bisogna distinguere le vie da passeggio da quelle per la circolazione.

Delle prime non ci occupiamo, per le seconde diremo che nelle città moderne si domanda che sieno larghe tanto che vi possano passare i trams che congiungano le stazioni ferroviarie con i varii quartieri delle città.

In dette strade si richiedono dalle esigenze della vita moderna che si debbano trovare chioschi da giornali, stazioni di trams, colonne per avvisi, vespasiani, avvisatori di incendi, lampioni per la illuminazione, cassette postali, ecc.

Nello sventramento di una città non si esiti poi dal deviare dalla inflessibile linea retta quando si tratti che deve venir rispettato un edificio venerabile od un palazzo antico.

La pianta a reticolato di una città se nei riguardi dell’igiene, data una buona orientazione stradale, non merita appunto alcuno, per l’estetica lascia desiderare. I quartieri moderni col loro aspetto geometrico, con le loro vie che tagliano ad angolo retto dei gran blocchi rettangolari, sono monotoni: hanno il carattere di una cristallizzazione artificiale arida e matematica.

Icavi aerei. - Per i grandi viali, per le vie e per le piazze pittoresche, è propriamente da interdire il sistema dei cavi aerei come bisogna sotterrare l’apparecchio di trazione dei trams elettrici, come si fa a Bruxelles, come a Milano per i fili, credo, telefonici, in piazza del Duomo.

Edifici pubblici e privati: - È stato ben detto che l’architettura deve essere il vivo riflesso della civiltà in mezzo alla quale si svolge: che dire adunque di certi edifici esotici, per modo di dire, con stili improntati ad altre razze che possono avere altri bisogni, altri ideali?

Bisogna adattare i moti vi tolti dall’architettura nazionale ai fini dell’edificio e non si crea di proposito deliberato un nuovo stile - gli stili architettonici sono sorti lentamente, conformandosi alle esigenze del materiale, degli usi e del clima.

Le Chiese. - Diremo al capitolo Templi e chiese perchè l’igienista amerebbe vederle isolate non incastrate nell’abitato, non circondate da strette strade.

Qui torna acconcio far una distinzione perchè sia giustificato quanto si trova nel precitato capitolo.

Distinguo le chiese dallo stile settentrionale, gotico, da quelle di stile classico, preferito dalla razza latina.

Le chiese gotiche perdono il loro carattere di slancio verticale quando restano isolate o si mostrano troppo di lontano. Se il monumento apparisce troppo di lontano crescendo a poco a poco, lo spettatore lo coglie con l’occhio insensibilmente e l’effetto di emozione non si otterrebbe più.

Gli edifici di stile classico, per contrario, richiedono una vista più aperta perchè si dispongono orizzontalmente e le loro dimensioni simmetriche o per meglio dire euritmiche si gustano meglio da lontano. Isolare però, in generale, un colosso è un rimpicciolirlo.

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