Quando ci fu la commemorazione laica di Edoardo (Eddy) Salzano mercoledì 25 settembre 2019, da quasi tre mesi (poi protratti a cinque e oltre) ero (ora sono) costretto a vivere fra un ospedale e l’altro sul crinale di una grave infermità. Che del resto, con gli effetti di una radio-terapia, non cesserà di aggravarsi fino a che il seguito si delineerà con qualche elemento di riparazione rimandando ulteriormente un’ipotetica guarigione.
Tuttavia, potendo impiegare in qualche modo i consueti mezzi di partecipazione dal chiuso recinto personale, ho potuto notare quanto si muovesse nel mondo della cultura, non sempre vedente e ascoltante, per ricordare e commemorare la figura di Eddy, ritrovare la grandezza della sua sapienza giacché affatto ristretta allo specialismo decantato da ritardati modernisti, e invece aperta all’interpretazione olistica delle capacità umane. L’alta specializzazione non può essere solitaria e prioritaria, la si applica quando lucidamente necessaria.
Appartengo a questa posizione, che risale alle denunce del fisico inglese Edgar P. Snow, autore di Le due culture (originale 1959, Feltrinelli 1964, Marsilio 2005), avverse alla separazione netta, inconciliabile fra cultura umanistica e cultura scientifica. Il mio pensiero, su queste basi generali, si è da sempre applicato all’annoso problema di battere la separazione e riconquistare (come in altre epoche) l’unità di urbanistica e architettura. Eddy non era architetto, era ingegnere, non sono i titoli accademici a essere indispensabili nella comprensione profonda delle discipline. Egli conosceva la storia e l‘essenza dell’architettura, benché abbia ritenuto che la battaglia culturale e fattuale per ricostruire, conservare e rinnovare l’organizzazione dello spazio umano e sociale dovesse consistere soprattutto in una grande pianificazione generale, locale e particolareggiata che traducesse appunto il male del passato e del presente, ancor più grave, in una benefica condizione di vita del popolo.
Alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, per un gruppetto di insegnanti, non maggioritario, l’architettura, l’urbanistica, l’architettura degli interni, il restauro e la storia avevano bisogno l’una dell’altra. Sopra di tutto, l’urbanistica doveva aprirsi alle scienze umane (economia, geografia umana, sociologia) non quale contributo di «esperti» esterni, ma per propria capacità di introiettarne l’essenziale: allo scopo di trasformarsi da mediocre tecnica a sapere molteplice e unitario in grado di agire conformemente ai mutamenti continui del reale. Edoardo perorava tale urbanistica aperta, e tutto eddyburg ne fu contrassegnato attraverso gli interventi di molti discesi in campo dal piano della propria disciplina. Ancora qualche anno fa ho proposto nelle opinioni l’argomento con Pensieri indisciplinati e no (9 gennaio 2015), seguendo la traccia lasciata pochi giorni prima da Fabrizio Bottini, «… prima di tutto una seria interdisciplinarità, che non vuol dire […]invitare qualcuno per un commento collaterale» (5 gennaio).
C’eravamo conosciuti senza mai incontrarci, attraverso le notizie che corrono non più solo «sul filo» come nel vecchio film giallo americano bensì su una miriade di mezzi di comunicazione che nell’urbanistica ha trovato negli ultimi due secoli il recipiente in cui gettare il vero e il falso, il brutto e il bello di se stessa e di tutte le altre discipline implicate nella costruzione di città e territorio. Quando finalmente ci incontrammo alla fine del secolo breve in un convegno presso la provincia di Milano, si vide come fosse facile dialogare fra noi ed esistessero fondamenti comuni nella nostra esperienza culturale e politica, nonostante i distacchi temporali delle azioni solo in parte dovuti alla differenza d’età (quattro anni e mezzo).
Entrambi assessori all’urbanistica in amministrazioni di sinistra, definite dagli avversari frontiste (con sindaco socialista). Per me fu Novara, la mia città natale, il campo di battaglia dal 1956 al 1960, dura battaglia anche perché l’assessorato riguardava anche i lavori pubblici e l’edilizia privata; per Eddy, dopo i dieci anni da consigliere a Roma (1966-1975), fu Venezia, e non gli tremarono i polsi. La città più bella del mondo: sappiamo quanto fu massacrata nei decenni successivi; eppure Salzano aveva donato alla città e a tutti noi un mirabile Piano regolatore generale del Centro storico (1981-1986), modello del progetto di restauro varato anni dopo dalla giunta rosso-verde del sindaco Casellati, assessore Boato e consulente Scano.
A Novara avevo tentato un’operazione anticonvenzionale col Piano regolare generale, inserendo fra i tanti elaborati dovuti una carta del centro storico in scala 1.1000 e parti 1.500, con l’analisi punto per punto e edificio per edificio ai fini di cura e conservazione o di motivata leggera modificazione. Il piano regolatore fu approvato a Roma ma cassando brutalmente la parte del centro storico.
Fu all’inizio del nuovo millennio che i moti misteriosi degli avvenimenti decretarono il nuovo e più produttivo incontro, se così posso dire. Edoardo aveva avviato la costruzione del Burg (castello) nel maggio del 2002. Nello stesso mese avevo trascorso qualche giorno a Venezia con mia moglie Angioletta. La nostra conoscenza della città non era superficiale, intensi erano stati il ritmo e l’accuratezza delle visite in quarant’anni.
Ebbene, questa volta ci troviamo davanti a fatti sconcertanti mai colti prima, orribili restauri e modificazioni. Colori, assurdi color fragola o giallo polenta, particolari architettonici in pietra d’Istria ricoperti da vernice bianchissima, nuovi serramenti in alluminio anodizzato oro, abolizione degli antoni di legno… et al. Allora il 21 maggio scrivo all’Istituto veneto di scienze, lettere e arti (Ivsla), informando l’Iuav e la facoltà di architettura di Milano. Nasce un carteggio (21 maggio 11 e 13 giugno), fatica sprecata giacché il segretario-cancelliere infine dichiara che l’istituto non è competente a trattare i problemi segnalati.
Invio tutto il materiale a eddyburg il 15 giugno, sarà questo il mio primo intervento, in anticipo rispetto all’annata di apertura ufficiale indicata dappertutto nell’inizio del 2003. Gli metto come titolo Venezia Venezia, che diventerà Mascherata veneziana nella raccolta dei primi cinquantotto articoli per eddyburg pubblicata da Libreria Clup, Milano, aprile 2005. La partecipazione effettiva alla vita del sito comincerà il 20 marzo 2003 unendomi con miei scritti all’azione di Edoardo, del Wwf, di Italia Nostra e di molti colleghi per impedire la «colata di cemento nella baia di Rilke» (Francesco Erbani), la baia di Sistiana nel territorio del comune di Duino Aurisina.
Eddy conosceva la storia del luogo in ogni particolare, sicché poteva guidare nel miglior modo la lotta contro i grandi speculatori, tuttavia troppo forti per essere abbattuti. Tante saranno la altre battaglie di eddyburg in quasi vent’anni del nuovo secolo; tutti noi frequentatori daremo un contributo secondo la nostra forza, l’instancabile Eddy non vorrà mai rinunciare alla speranza di vincere anche se le vicende nazionali riguardanti il destino delle città e del territorio volgeranno in generale all’incontrario. La sua Venezia, amata anche da me più di altre città, continuerà a essere vessata e sembrerà sempre più difficile salvare la maggio parte del suo cuore.
Intanto il dialogo si era da subito incentrato su quale dovesse essere il contenuto del sito come luogo di incontro di pensieri e propositi. Ho chiesto addirittura di denominarlo «cortile», se ne capisce la ragione; Edoardo ne sorrise e varò la prima insegna di eddyburg: Giornale e archivio di urbanistica, politica e altre cose. Nella nota introduttiva alla prima raccolta pubblicata (vedi sopra) dichiaro che il quadro complessivo rispecchia la triade del titolo; avrei voluto aggiungere architettura, entrata nella mia discussione in maniera non indipendente, isolata; la considero una di quelle «altre cose». Sarà sempre così rispetto al mio coinvolgimento in eddyburg, da un certo momento anche come opinionista per così dire obbligato. Nelle altre tre raccolte pubblicate dal 2006 al 2010 (Libreria Clup e Maggioli) architettura troverà posto in copertina. Del resto Edoardo conosceva bene la vicenda dell’architettura italiana e la mia storia.