1) Questa Sicilia,di strade improvvisamente abbandonate dall’asfalto, perché finiscono i denari.
– in quali tasche?
Di viadotti mai messi in uso, per mancanza di correlazione fra movimento (o stasi) socio-economico e disegni tecnici.
– di quale tecnica?
Di ponti interrotti a mezza corsa, di case abbandonate, di quartieri residenziali “terziari” per cultura, e occupazione, ed espressione architettonico urbanistica.
– quale architettura, quale urbanistica?
1a) Questa Sicilia di pseudo-sviluppo, succube della “ragion-di-mercato” e ignara delle “ragion razionalizzazioni di piano”.
– ma quale piano?
1b) Confusa e silenziosa; pettegola e provinciale; umana e ricca di immobili speranze nei paesi, distorta e imbrattata nelle città dai lacerti di una borghesia periferica che succhia il sangue ormai amaro della autonomia regionale.
– di quale autonomia?
1c) Ma questa Sicilia di oggi, di adesso:
i) auscultata dai tecnici – quali tecnici?
ii) adoperata dai politici – quali politici?
iii) disprezzata e idolatrata dai suoi stessi abitanti come i fanciulli alternativamente baciati e bastonati d’amore ferino.
– quando vincerà lo sfrido dell’attesa?
2) Gli oggetti,
è il problema di fondo che troppi siciliani si sentano e siano, per vero, trattati da oggetti. Mere cose; nel meglio caso meri fatti che rapina, semmai, un vento astratto ora metafisico ora dialettico.
– un vento non di queste contrade, pur se storico.
E allora si rinchiudono in sé. Nell’armonia prestabilita dei gesti d’uso del clan, della famiglia, della strada, del vicinato. Già il quartiere dà l’agorafobia.
– e come è facile trasferirli dalla civiltà contadina a quella industriale!
2a) La casa non è “espressione soggettiva”. Né il profilo delle strade; né quello delle curve di livello
delle acque precipiti o stagnanti;
degli alberi radi;
della sua distesa – degli agrumeti fitti.
Né il grande spiazzo neonistico dell’industria chimica e petrolchimica buono per i rotocalchi e le statistiche
malo per Priolo e/o Milazzo, e/o Agrigento, Gela, e l’alto Messinese, gli incroci delle provincie di Trapani-Palermo-Agrigento, o Palazzolo A., o Giarratana, o Raffadali o Riesi…
3) Forse un paese
è l’ambito del moto, il nuovo fuoco.
Riesi, nel 1951 20.437 abitanti e 18.167 nel 1961 – perdita secca Istat 2.270 e almeno altri 2.500 da pseudo-turisti all’estero fin’oggi 1965; 3,78 occupati nell’industria al 1951 (miniere) e 0,75 al 1961 – oggi niente, di miniera, che è chiusa la Trabia-Tallarita.
Vani abitabili (girare, vedere: non è vero) al 1961: 9.734.
3a) Frana il palazzo comunale ma i fondi per riattarlo non passano il chiuso setaccio della burocrazia regionale – stanze in fitto, allora, e liti di Consiglio comunale per favorire questa o quella pigione; ancora un morto, nella campagna;
ancora il sogno della miniera, che ammazza o storpia ma è lavoro; fazzoletti di terra, a chilometri l’uno dall’altro: canoni enfiteutici risuonanti di Grandi di Spagna, e di miseria e di cornicioni ancora nobili di trame serrate di vie illuminate da una corte improvvisa; l’ultima casa del paese è confine alle donne – la piazza è nera d’uomini, o deserta di gelo all’inverno brucia d’estate come stoppia.
3b) Terra di Sicilia – un continente di monti che degradano al mare, nelle avare pianure gremite di reperti archeologici.
4)E sopra una collina,
il gesto dei muri spiccia dal terreno, sabbia e pietra dalle cave vicine, vuoti e pieni dal ritmo degli ulivi – dal muovere dell’aria qui franta da un’erta là espansa, a perdita d’occhi, fra le coste scavate dei monti.
Ubicazione volontaria invece che grumi di edilizia sfinita dalla fatica servile verso i signori, verso il governo. Architettura liberata in funzione: l’asilo, la scuola-officina, il centro agricolo… Le leccature estetizzanti esorcizzate dal lavorare insieme con le inabilità – e le felici scoperte di una disponibilità creativa a ogni livello – dei muratori locali.
4a) Il paese si abbevera alla collina. Scopre che si può mutar tutto se si crede nel mutuo-appoggio, nel servizio, negli “altri”.
La radice – il soggetto – è l’uomo. A giro d’acqua sono gli altri uomini, è la natura di terra acque e cielo, le trasformazioni volute da tutti e non imposte dai pochi, la partecipazione organica e globale di uomini e cose alla crescita.
5)La sua misura,
infinita nell’intimo chiede confini certi all’esterno. Si ripercorre sul territorio l’itinerario del cuore quando nei prossimi si ama – si serve – l’umanità.
Nella intuizione collettiva del singolo edificio, nel suo “goderne insieme” è la proiezione di una essenza che solo attuandosi esiste. Nel percorso dall’edificio al villaggio, dal villaggio al paese, dal paese ai paesi comprensoriali, dai comprensori alle strutture sub-regionali e da questa alla ferma forma regionale – tessuto di storia, cioè di azione e reazione fra la natura e gli uomini – è il farsi, l’apparire, della pianificazione aperta:
5a) Dal manufatto architettonico al lavoro di gruppo, dalla creazione sempre nuova dell’urbanistica vivente all’autonomia sociale delle scelte produttive e di consumo archi sempre più vasti sino al termine estremo di una partecipazione di primo grado, che è quello regionale (è la essenza della sua “autonomia”).
Nasce l’Italia delle Regioni – Ma senza quella radice, quel “soggetto”, non ci sarà che un coacervo, una aggregazione burocratica e astratta.
6)Questa Sicilia,
di oggi, di adesso – e di domani,
passerà dal sottosviluppo a uno sviluppo a lei alieno. Lo sviluppo della tecnologia che sfugge dalle dita degli uomini come sabbia impazzita e a poco a poco li sommerge.
6a) Che cosa aspettano gli architetti siciliani? Noli foras ire, in te ipsum redi! Con il popolo di Sicilia, quello che aspetta di agire, servire, amare – insieme.