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Carlo Lojodice
Il diritto di scrivere e quello di leggere. Lettera ad un poeta minore
29 Marzo 2004
Le parole
Questo racconto di Carlo Lojodice (che ho ricevuto grazie a Lucia Baracco, responsabile del progetto Lettura agevolata del Comune di Venezia) è stato scritto in occasione dell'ultimo Premio Strega, per sensibilizzare gli editori a rendere accessibili i file dei libri ai non vedenti. Lo pubblico perché è bello e utile, e posso farlo perché nel testo c’è scritto “Copy right (diritto di copia). È auspicabile la riproduzione, anche totale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia e la copia digitale”. Naturalmente il nuovo Eddyburg sarà adeguato alle esigenze, e predisposto alle tecniche, di cui Lojodice tratta.

Caro autore,

ti scrivo per due ragioni: una occasionale e dunque pretestuosa; l’altra reale e legata alla mia condizione di lettore particolare. Non ha importanza che te le enunci poiché vorrei che fossi tu stesso a dare priorità a quel che ti parrà più rilevante nel mio discorso. Se riuscirò a titolare nella maniera giusta i singoli capitoletti, potrai anche cercare un altro ordine alle cose ed è per questo che si dice che da cosa nasce cosa

1. Dalle parti dei premi letterari

Mi va di renderti noto il mio, si spera temporaneo, stato di tristezza, dovuta ad un fatto sicuramente transitorio, ma che non so quanto potrebbe durare: quanti secoli passarono tra gli ultimi capolavori della letteratura greco-latina e la "Divina Commedia"?

Non irrigidirti, ti prego: il problema dal quale dipende il mio attuale stato d'animo non ha quel peso che la domanda potrebbe implicare, anche se poi, a ben vedere…

Il fatto è, caro autore, che per ragioni che forse un giorno ti racconterò, nell'ultima settimana mi sono venuti sotto mano diversi libri brutti. O meglio, "brutti" non sarebbe il termine esatto. Sono scritti "in italiano" e l'autore mostra anche di saper cavarsela almeno con l'inglese; contengono riferimenti e citazioni in quantità e qualità tali da incutere un minimo di soggezione; perseguono l'obiettivo di dare dignità universale e macro a vicende particolari e micro, ecc. Roba non mal fatta eppure mancante di qualcosa. Hai presente la differenza tra Dante e Lapo Gianni? Tra Petrarca e un petrarchista del Cinquecento? Tra Boccaccio e Masuccio Salernitano? Tra Marcel Proust e tutti coloro che dopo di lui hanno intrapreso la circumnavigazione del proprio ombelico? Forse mi son fatto capire…

E tuttavia, se qualcuno in casa editrice ha pensato che quel libro dovesse uscire con quel formato e quel prezzo, evidentemente avrà fatto qualche calcolo e avrà valutato pro e contro, all'interno di un ambito complessivo nel quale ci saranno entrate anche spintarelle o incentivi. Ma insomma non si mette in libreria qualcosa che ti faccia sfigurare.

E allora questa roba brutta? Non sarò mica io di gusti "difficili", di pretese incontentabili o semplicemente di carattere tignoso, come tanti intellettuali che sembrano vergognarsi se mai gli scappasse un'espressione di entusiasmo?

Gli è che l'estate - come tu sai, caro autore, - è la stagione dei premi letterari e questa volta, anziché attendere la proclamazione del vincitore per acquistare il libro, ho deciso di dare una sbirciatina in giro ai concorrenti.

Qualcosina ho comprato, ma spero che tu e il tuo editore non vi montiate la testa pensando che un lettore comune possa acquistare libri per un paio di centinaia di euro al mese. Perché poi ci sono i dischi, i film, c'è da andare a vedere qualche mostra in un'altra città… [Magari anche mangiare, senza voler essere troppo corporei!] Avete un bel che dire che in Italia si legge poco! Sarà così, ma è anche vero che un uomo di cultura deve aver molto "rubato", nel senso che ha comprato molto meno di quello che ha letto, ascoltato o visto; per ragioni ovvie ma che non si vogliono ammettere.

2. Chi sono e perché

E adesso mi presento. L'anagrafe non è importante quanto la condizione.

Sono un ladro; non sono pentito e non ho intenzione di restituire quanto ho rubato: sono però seriamente intenzionato a far circolare i frutti buoni di quanto ho indebitamente preso.

Vengo da una famiglia povera; e qui tu ti aspetteresti una mia arringa a giustificazione per fame di chi ruba la classica mela. Ma non è di questo che voglio parlarti e per di più il paragone non terrebbe: non si acquista buona salute nutrendosi soltanto di mele rubate…

Ciò che da piccolo mi impediva, non già di leggere ma di leggere quel che volevo, non era la povertà ma la cecità.

Fossero dipesi da me i destini dell'universo mondo, avrei dato retta a Platone e ai suoi discorsi sul rapporto tra memoria e scrittura (contenuti nel "Fedro"). E, stando al governo, avrei promosso provvedimenti del tipo: chi conosce a memoria un libro ha diritto alla restituzione del prezzo e a un compenso quando ne propaga il contenuto. Ma, paradossi a parte, posso dire che una fetta dell'umanità, quella che la natura - madre di parto e di voler matrigna - ha penalizzato nel senso della vista, è rimasta per secoli emarginata da una cultura che aveva scelto l'occhio come organo prevalente di rice-trasmissione.

Quando poco meno di due secoli or sono Louis Braille in Francia inventò l'omonimo metodo di scrittura/lettura per i ciechi, basandosi sull'uso del tatto, sembrò che frontiere sconfinate si aprissero per questa categoria di persone. Successivamente si realizzò la possibilità di una vera e propria stampa in Braille e i ciechi cominciarono a studiare su libri veri e propri.

In Francia ci sono strade e piazze dedicate a Louis Braille; in Italia i più ne ignorano la biografia e talvolta ne pronunciano il nome all'inglese: Breil. Ma questa è un'altra storia…

3. «Ma com’era cominciato tutto?»

La mia carriera di ladro, sia pur giustificata dalla cecità, cominciò prestissimo.

Correvano gli anni Cinquanta, e già questa sarebbe una ragione per scriverci sopra un romanzo. Che te ne sembra del corsivo come incipit? Allora continuo.

[…]

Come nei monasteri, di cui erano una copia non conforme ma pur sempre conformista, nei collegi l’assunzione dei pasti avveniva secondo precise ritualità. C’era innanzitutto una grande sala chiamata ‘refettorio’, termine che oggi nessuno userebbe più per definire una mensa. Ma, mentre in una mensa la gente entra, mangia, talvolta paga e se ne va senza criterio alcuno, una tale anarchia di comportamenti in un refettorio non è ammissibile. Nel nostro refettorio si entrava tre volte al giorno per i pasti canonici ad orari fissi. A un ordine della direttrice si diceva la preghiera e solo a quel punto era permesso sedersi e iniziare a mangiare. Neppure alzarsi e uscire rientrava nei nostri poteri poiché anche l’andata in giardino a giocare doveva avvenire collettivamente, come dire in fila.

[…]

«Il primo furto non si scorda mai», cantava stupendamente Enzo Jannacci; ma io quale sia stato il primo davvero non riesco a ricordarmelo. Forse dipende dal fatto che una vera e propria coscienza di rubare a quel tempo non l’avevo. Ero piccolo e quello che facevo o era perché me lo dicevano i grandi o era per far dispetto ai grandi. I miei atti - direbbe un filosofo accademico - erano eteronomi.

[…]

Che voi sappiate, è meglio rubare prima o dopo i pasti? Io - questo me lo ricordo bene - lo facevo per lo più dopo cena; ed ecco come.

Immaginate una fredda serata invernale. La preghiera era stata detta, la cena era stata consumata, per andare a letto c’era ancora tempo. A questo punto la direttrice in persona o un’assistente (non è che ho sbagliato l’apostrofo, è che erano tutte signorine) prendeva un libro e cominciava a leggere.

Editori ed autori, arrabbiatevi pure ma ormai non ci potete far niente: sono passati più di quarant’anni da allora e il reato è prescritto.

Reato? E quale reato? Non fate finta di non capire: con una copia e una voce quei libri li leggevamo in quaranta/cinquanta! Avete presente quanto ci avete perso?

E volete dei titoli a riscontro di ciò che affermo? “Cuore” di De Amicis, “Pinocchio” di Collodi e financo “I ragazzi della via Paal” di Molnár.

E già lo vedo quello tra voi che da una vita fa il muro di gomma pur di non apparire retrogrado. Egli sosterrà che bene facevano i nostri educatori poiché in questo modo creavano futuri lettori.

[…]

(Dal frammento di un romanzo che mai scriverò su carta, ma in Internet, chissà!…)

4. «Chi so’ io e chi si’ tu”

Qui, caro autore, s’interrompe bruscamente la mia performance letteraria. Tanto per chiarirci, l’autore sei tu; io sono il lettore…

E allora? Non dici niente? Non reagisci? Non fai una piega? Neanche una domanda? Neanche mezza curiosità su come diavolo faccio a leggere? Possibile che tu dia tutto per scontato, compreso il fatto che io ti legga pur essendo cieco? O forse tu dai per scontata un’altra cosa: cioè che io le tue poesie, le tue storie, le tue riflessioni o esposizioni non le leggo e non le leggerei comunque? E se ti dicessi che a certe condizioni le posso leggere, la cosa t’interessa o no?

Procediamo un poco nella storia.

5. Il nastro di partenza

Ad un certo punto - erano gli anni Sessanta - fecero la loro comparsa sul mercato i registratori a nastro, seguiti anni più tardi dai registratori a cassetta.

Magari inventori, realizzatori e venditori pensavano a tutt’altro. Sta di fatto però che per i ciechi questo costituì una specie di rivoluzione, e comunque un balzo in avanti per lo studio e la lettura. Una voce che legge o che tiene una conferenza può essere fissata su un supporto magnetico e rivisitata ogni volta che se ne ha necessità.

Nacquero allora le nastroteche che andarono ad affiancare le meno flessibili biblioteche Braille; e questo, nella mia carriera di ladro, se non corrispose proprio all’invenzione della lancia termica, mi procurò quanto meno un più potente attrezzo da scasso: mi bastava un complice, disinteressato o prezzolato, ed il libro era mio…

6. Chi copia legge, chi non legge non copia

Caro autore, il tema di questa mia ti sarà chiaro solo quando mi avrai letto fino in fondo. Ma fin da ora ti anticipo che le radici storiche del discorso che stiamo facendo si situano proprio qui, nell’irruzione del nastro magnetico nel mondo dei libri. Il termine audiolibri verrà inventatomolto più tardi, ma ecco che, sia pure in una nicchia molto ristretta e specifica come quella dei ciechi, la trasmissione del testo si dimostra possibile anche spostandosi dal visuale all’uditivo (al tattile si è già fatto cenno). Non solo, ma registratori su un versante e fotocopiatrici sull’altro, consentendo la duplicazione abusiva (?) dei libri, ne cambiano sia pure in parte i connotati, secondo lo schema di Walter Benjamin [autore che cito doverosamente per accreditarmi presso di te come intellettuale del mio tempo] quando vede la modernità come l’epoca in cui l’arte muta la sua funzione sociale grazie agli strumenti tecnici che la rendono riproducibile.

7. Libro, quanto mi costi!

Intanto io crescevo, facevo l’università e intraprendevo una professione con il mio registratore, che poi divennero due per poter duplicare, con la mia musicassetta a doppia piastra e sempre con i libri presi a prestito dalle biblioteche o da amici.

Intendiamoci, in libreria dei soldi ce li ho lasciati, come dimostrano le pareti di casa mia; ma mai e poi mai avrei potuto comprare tutto ciò che mi è servito per studiare, laurearmi e andare a fare l’insegnante nelle scuole pubbliche.

Quanto costa un libro registrato su cassetta?

Be’, fa’ conto che in un’ora di registrazione ci stiano una ventina di pagine e che il lettore o la lettrice accettino di farsi pagare con i parametri di una colf, quanto si spende per trecento pagine?

Comprenderai ora l’assurdo della situazione. Venendo a costare dieci volte tanto, un libro registrato avrà bisogno di esser condiviso da una decina di utenti che, duplicandolo in spregio a qualsiasi norma amministrativa e fiscale, arriveranno figurativamente a pagarlo a un prezzo simile a quello di copertina. Nondimeno autori ed editori non percepiranno alcun guadagno da questo che è pur sempre un esborso. Altro che gioco a somma zero! Qui si precipita tutti verso la comune rovina!

Per fortuna c’è lo stato il quale, anche quando non è “sociale”, mette pur sempre a disposizione dei più miseri fra i suoi cittadini certe risorse pecuniarie a condizione che ci sia un rientro in termini di consenso. A gestire il consenso ci sono spesso istanze filantropiche o associative che amministrano questo flusso di denaro approntando servizi talora meritori, ma difficilmente in forma snella e dinamica.

Torniamo a me nella mia fase di confine tra l’infanzia e l’adolescenza. C’era allora e c’è ancora a Monza la Biblioteca Italiana per i Ciechi “Regina Margherita”, che trascriveva libri e li prestava come una qualsiasi altra biblioteca. Alla regina, o meglio a coloro che lavoravano nel suo nome, devo il piacere che mi procurò la lettura di Jules Verne ed Emilio Salgari, nonché la mia giovanile passione per il romanzo giallo che, nata intorno alla biblioteca di Monza, si alimentò successivamente grazie ai nastri del Centro del Libro Parlato. Leggere leggevo, ma di comprare nemmeno a parlarne: non avevo una lira che battesse contro l’altra e per di più lo stato coltivava in me con un certo rigore scientifico quella propensione al vivere a scrocco che in queste righe sto raccontando come propensione al furto continuato e aggravato. In effetti in collegio, dove studiavo, avevo a disposizione i libri di scuola e i lettori per registrarli. Biblioteche e nastroteche mi davano di che passare piacevolmente le ore serali. Di cosa mi sto lamentando? Di nulla: avete mai conosciuto un ladro che si lamenta?

È oggi, riflettendo sul passato e avendo compreso che il ladro non ero io e che anzi era a me che rubavano qualcosa; è oggi, dicevo, che sono in grado di dire con certezza cos’è che non andava. Ma lo dirò più avanti…

8. “Occhi di ragazza”

Ora mi rivedo negli anni Ottanta, seduto accanto ad una ragazza e sul tavolo uno o due pacchi di compiti d’italiano da correggere attraverso i suoi occhi. Spaesante, non trovi? Immagino che tu, pur essendo magari un po’ miope ma non cieco come me, a fatica assoceresti l’idea degli occhi di una ragazza a quella di un pacco di temi scritti contro voglia da adolescenti spesso poco ferrati e ancor meno motivati…

Non essendo propriamente accessibili il mondo degli sguardi e quello della scrittura, a quel tempo e in quelle circostanze professionali mi procuravo in qualche modo un ubi consistam camminando in equilibrio sulla stretta fascia d’intersezione fra i due mondi. E intanto notizie vaghe provenienti dalla solita America parlavano di nuove strade per rendere possibile la lettura ai ciechi, utilizzando l’elettronica e poco più avanti l’informatica. E io sognavo situazioni fantascientifiche nelle quali un robot mi avrebbe consentito in qualche modo di bypassare l’ostacolo principale tra me e il pianeta della scrittura da vedere.

Nella realtà invece - a proposito di volontà politiche presenti o latitanti - la scuola è stata l’unica istituzione sociale che non si è avvalsa degli obiettori di coscienza in servizio civile per supportare persone o situazioni in difficoltà. Risultato: chi mi ha prestato i suoi occhi lo ha fatto disinteressatamente o a pagamento, ma sempre in ambito privato, mentre il pubblico: Laissez faire, laissez passer… Laissez tomber…

9. Caro autore ti scrivo; tu non ti distrarre un po’

Caro autore, ti sto scrivendo queste righe non in Braille, ma digitando sulla tastiera standard di un computer. Lettere, parole, righe, frasi che dal mio cervello passano alle mie dita e ai tasti vanno a collocarsi virtualmente e contemporaneamente in tre luoghi: la finestra di Word sullo schermo che io ovviamente non vedo, un display Braille, ridotto rispetto allo schermo ma che posso toccare, e infine una voce sintetica che me le dice e me le ripete solo che io lo voglia.

Dunque in questo momento io sono un po’ come te per quel tanto che l’essere può identificarsi col fare. Hai presenti le nottate che hai passato davanti al video per rispettare le scadenze imposte dall’editore? Be’ fa conto di vedere me nella stessa posizione - anche di notte, perché no? - davanti ad un ordigno in tutto e per tutto simile al tuo nella posa di compiere l’atto complementare al tuo… Tu fai nottata perché l’editore preme e il tuo conto in banca piange; io perché - come direbbe Massimo Troisi- voi a scrivere siete tanti mentre io a leggere sono solo…

10. La bit generation

Ma di che sto parlando? Devi dunque sapere che la grandezza di Louis Braille è sì consistita nell’aver inventato una scrittura tattile, ma soprattutto nell’aver utilizzato un codice assolutamente informatizzabile. Il puntino in rilievo è un 1 in codice binario, un bit, mentre la casella di sei punti al cui interno binariamente si compongono lettere, numeri e punteggiature, funziona come un byte. Quando si comprese ciò, divenne possibile tradurre in Braille il codice ASCII solo accrescendo i punti di una casella dagli originari 6 agli attuali 8.

«Elementare, Watson», avrebbe detto qualcuno; ma è davvero un peccato che la Chiesa non consideri la pura e semplice intelligenza come requisito per la canonizzazione post mortem; poiché, se così fosse, qualche cero io prima o poi dovrei andare ad accenderlo!

«Per così poco?», tu mi dirai. E non è mica poco! Da lì in poi tutto diventa un problema soltanto tecnico. Si costruisce uno scanner, poi si scrive un programma di OCR ed ecco che ciò che è scritto sulla carta lo possiamo tradurre in bytes, memorizzare e tradurre nel nuovo Braille ad 8 punti. Se poi aumentiamo la memoria e la prestazione delle macchine, allora le operazioni si possono fare in tempi assolutamente accettabili e si può anche sonorizzare il tutto e renderlo quindi ascoltabile.

11. Benjamin e la Finanza, ovvero «In galera li panettiere!»

«Geniale!», ma perché stiamo parlando se il problema è o risolto o in via di soluzione? Già, ma qual è il problema?

In linea teorica il problema c’era anche prima ed era quello della riproducibilità tecnica del libro, del che ho chiamato a testimoni Walter Benjamin e i produttori di macchine e supporti per la duplicazione. Potrei chiamare anche a testimoniare qualche agente della Guardia di Finanza di quelli che ogni tanto vanno a fare una perquisizione in copisteria allo scopo di pizzicare chi, duplicando, evade i diritti di autore e di editore. Ed ecco che il problema comincia a vedersi. Nel campo della musica la situazione è andata molto avanti mentre nel libro una vera e propria esplosione non c’è ancora stata, se eccettuiamo un certo brulicar di fotocopie in ambiente scolastico ed universitario. Il mondo dei lettori normali, diciamo così, resta ancora relativamente immune da questa colpa, la quale consisterebbe nel mangiar pane senza pagare il panettiere.

Tu, autore, e il tuo editore, che vi considerate una sorta di panettieri dell’anima, non mandate giù l’idea che possa esistere una macchinetta nella quale io metto acqua, farina e lievito e mi vien fuori pane fresco anche la domenica! Vi arriva notizia che la macchina in questione è stata inventata e la si comincia a vendere? Ed ecco che le vostre associazioni di categoria cominciano a tampinare governo e autorità: vogliamo una royalty sulla farina, sul lievito e anche sull’acqua che vada a compensare il nostro mancato guadagno!

«Geniale anche questa, però!…»

E già, caro autore. Pagando io le royalties in ogni caso, ti basterà avere una panetteria per percepire qualcosa e la paura di non guadagnare un ghello perché il tuo pane è pessimo non ti perseguiterà la notte. È già capitato ad una certa editoria che, finanziata con i soldi pubblici, si è deresponsabilizzata rispetto ai contenuti e alla loro accettazione da parte del lettore. È pur vero che il libro con la L maiuscola si sforza ancora di mantenere una certa dignità; ma noto in giro movimenti che non mi piacciono e tuttavia non è di questo che voglio parlare.

12. Roba da levargli il Nobel!… 

Parlo invece di quel che mi accadde negli anni Novanta quando ebbi la possibilità di acquistare un computer, uno scanner e relativo software. Con una mossa dello stesso tipo di quella che fa lo studente universitario quando va a fotocopiarsi i capitoli della costosissima pubblicazione i cui contenuti costituiranno materia d’esame, magari con tempi un pochettino più lunghi, iniziai ad importare pagine stampate in files digitali sul mio hard disk.

Per avventura uno dei primissimi libri che misi sotto fu Auto-da-fé di Elias Canetti, e questa è una vera e propria denuncia di cui mi sento fiero. Il fatto è che Kien, il protagonista del romanzo, tra le altre cose è ossessionato dal timore di diventare cieco. Immerso com’è nel mondo dei libri, riterrebbe la perdita della vista come una vera e propria morte. Suo riferimento è Eratostene, antico bibliotecario di Alessandria, il quale, avendo perduto l’uso degli occhi ad ottant’anni, per questo si tolse la vita.

«Caro Canetti, adesso ti ho fregato», pensai leggendo. M’illudevo infatti di aver imboccato la strada giusta. Da quel momento - pensavo - sarei diventato un insegnante molto più bravo: avrei letto un sacco di più e anche la produzione e riproduzione dei materiali didattici mi sarebbe risultata più agevole. Persino l’obiettivo di correggere personalmente senza intermediari i compiti dei ragazzi mi appariva più a portata di mano.

Bisognerebbe sentire in giro se come insegnante in quel tempo diventai effettivamente più bravo; ma certo posso dire che come lettore ebbi un salto di qualità notevole. Un po’ era in gioco la quantità; ma soprattutto ebbi finalmente modo di praticare la libertà.

13. «Libertà vo cercando ch’è sì cara», economicamente parlando

Fino a quel momento, date le difficoltà a cui ho fatto cenno, non potevo sempre permettermi di aprire il titolo che desideravo e facevo un po’ quel che fanno i frequentatori delle biblioteche di quartiere: mi facevo portare dal catalogo e leggevo quel che c’era o che era disponibile in quel momento.

Pensa, caro autore, al potere che ha un produttore o riproduttore di libri in regime di monopolio! Fino all’avvento dell’OCR, il software che consente la traduzione delle immagini in testo, i ciechi sono stati nelle mani di un pugno di persone che, decidendo cosa far loro leggere o non leggere, ne hanno condizionato gli orientamenti e lo sviluppo. Naturalmente non c’è regime al quale non ci si possa in qualche modo ribellare ed opporre, ma, quando per fare scelte proprie bisogna disporre di ingenti mezzi finanziari, allora anche le clamorose eccezioni non sono capaci di invertire le tendenze dominanti.

Prima di giungere alla condizione odierna, sono passato attraverso tre fasi: nella prima rubavo senza sapere di farlo; nella seconda ero convinto di rubare perché certo di non avere alternative; nella terza ho scoperto che quelle cose che io credevo di rubare in realtà mi venivano messe lì davanti a bella posta in modo da condizionare le mie scelte. Non ero io a rubare libri: erano altri che mi rubavano la libertà di scegliere le mie letture.

14. Quel Natale tutti furono più buoni… Tranne gli editori

Caro autore, quest’anno è stato dedicato dall’Unione Europea alle persone disabili e dal momento che in giro ci sono soldi e visibilità, alcuni colleghi tuoi e del tuo editore hanno acconsentito a prestare le loro opere a progetti che agevolassero la lettura delle persone in difficoltà. Non posso che gioirne, sia pure molto parzialmente, se penso che solo due anni e mezzo fa, verso la fine del 2000, i più grossi editori italiani, mediante i loro avvocati intimarono a www.cavazza.it/telebook e a www.galiano.it di chiudere immediatamente le biblioteche digitali che avevano messo online ad uso, sia pur non esclusivo, dei ciechi.

Perché in certi palazzi milanesi si decise allora di dare una spallata persino alla compassione, negando a brutto muso il diritto di leggere ad una fascia di cittadini piuttosto debole contrattualmente? Questo non è mai stato chiarito. Solerzia di legali rampanti e dirigenti di seconda fila con aspirazioni di carriera? Possibile. Tentativo di enclosure sui nuovi territori scoperti con la rivoluzione digitale? Astratto ma possibile. Razzismo alla vecchia maniera? Non da escludere a priori. Ignoranza crassa, pur trattandosi di intellettuali? Non sarebbe la prima volta.

La giustificazione che se ne diede da quella parte non mancò di una vena comica. Sembrerebbe che qualcuno abbia prelevato dai siti anzidetti (invece di procedere con il proprio scanner) del materiale che ha poi stampato e rivenduto, evadendo il copyright. Ed ecco finalmente emersa la parolina magica, il centro di tutte le questioni: il diritto di qualcuno a veder tutelate certe sue prerogative materiali ed immateriali.

15. Il paradosso dell’inaccessibilità

Immaginandoti più o meno mio coetaneo oppure anche più giovane, so che probabilmente tu hai iniziato la tua carriera consegnando in casa editrice il tuo manoscritto che in realtà era già un dattiloscritto. Chi ha preso in consegna i tuoi lavori, li ha trattati in qualche modo e li ha poi portati in tipografia dove tecnici esperti hanno realizzato l’oggetto libro. Diciamo che se tu avessi voluto raggiungere migliaia di persone grazie alla tua sola macchina da scrivere - della penna non ne parliamo neppure -, sarebbe stata impresa grama… L’editore aveva dunque un senso in quanto amplificatore della tua opera. Consegnato il mano/dattiloscritto, dovevi solo attendere che scelte altrui - quelle degli editori/venditori e dei letto­ri/acquirenti - facessero affluire verso di te notorietà e denaro.

Quante volte, caro autore, le tue aspettative sono andate deluse! Magari si sapesse in anticipo quel che piacerà o non piacerà e a chi! E se tu riuscissi ad avere un contatto diretto e non mediato con il tuo lettore, non pensi di riuscire ad introdurre nel tuo lavoro degli elementi di dinamismo redazionale che oggi non ti sono consentiti?

Ragioniamo. Tu oggi lavori al computer e quando consegni, non consegni carta e inchiostro bensì un certo numero di bytes racchiusi in un file più o meno formattato. Se il tuo rapporto col pubblico s’insediasse in questo punto della catena, potrebbero verificarsi tante cose tra le quali una m’interessa particolarmente: io, cieco, potrei leggerti. Al contrario, passando il tuo scritto in casa editrice e di lì in tipografia per diventare definitivamente libro, eccolo assumere una forma per me non più direttamente accessibile. D’accordo: ho il mio computer, il mio scanner e il mio OCR; ma il risultato del mio lavoro null’altro sarebbe se non una sorta di ripristino, un ritorno ad una forma antecedente mai pura al 100%, considerato uno scarto di errore dovuto in parte all’OCR e in parte al mio procedere alla cieca.

Trovi logica questa sorta di gioco dell’oca? Trovi ammissibile che ciò che è nato come accessibile (il file di testo) smetta di esserlo nei passaggi successivi? Te li ricordi quei grandi magazzini di un tempo in cui con la scala mobile si poteva solo salire e per scendere te la facevi a piedi per le scale? E se una persona con problemi alle gambe, giustamente esaltata per le possibilità offerte dalla moderna tecnica, se ne saliva da sola al secondo piano, poi come gliela raccontavano che di scendere non era cosa?

16. Lo spazio nuovo del digitale

Caro autore, … Guarda che io sto parlando della possibilità più favorevole per te: quella che il tuo lavoro vada a buon fine, poiché non è affatto escluso che le tue righe e le tue pagine non arrivino mai sugli scaffali delle librerie, non necessariamente per tuo demerito. Se io a leggere sono solo mentre voi a scrivere siete tanti, è evidente che non potete superare, come autori e come libri e riviste, un certo numero, pena il collasso del sistema, il quale si regge pur sempre sulla legge della domanda e dell’offerta. Ed ecco la svolta consentita dal digitale e dalla rete: tu potresti affidare al mare la tua bottiglia, ma con una probabilità assai più alta che essa arrivi sotto gli occhi o sotto le mani - diventa il caso di dire - di qualcuno che la apre, legge il tuo messaggio e magari ti risponde o ti prosegue in qualche modo.

In un mondo così io come cieco sarei certamente meno in difficoltà nel leggerti. Analogamente a tutti noi lettori - indipendentemente dalle nostre condizioni fisiche o sensoriali - sarebbe consentito di entrare ed uscire dai libri altrui, rendendoci conto di ciò di cui parliamo. Oggi è impensabile che, volendo farmi un’idea dei libri che concorrono allo Strega o al Campiello, io metta mano al portafogli, oltre tutto per pagare anche le copie di coloro che i libri li ricevono gratis per promozione. Una disponibilità del libro in forma digitale renderebbe anche più trasparenti i meccanismi di promozione e circolazione del libro.

17. Clandestino non è tanto bello

So di averti quasi convinto, ma se adesso mi allargassi un po’ e ti facessi la proposta di spedire via e-mail il tuo prossimo lavoro a mille persone, tu ti irrigidiresti. Sento l’obiezione: «E mica posso lavorare gratis!»

Sul problema del copyright e dei diritti connessi alla proprietà intellettuale si discute parecchio in giro per il mondo e non ho certo io l’autorità per dire una parola sensata in merito. La rete, come ogni territorio nuovo, va esplorata e resa civile attraverso la definizione concordata dei meccanismi giuridici che possano regolare i rapporti al suo interno. Ma questo non è il mio problema. Comunque si deciderà di regolare i rapporti economici all’interno della realtà digitale, so che, per quanto non facile al primo colpo, non si potrà né dovrà garantire diritti ad alcuni penalizzando altri: in tal modo non si potrebbe parlare di diritti ma solo di privilegi. I diritti degli autori hanno senso poiché sull’altro lato della strada ci siamo noi lettori che ne abbiamo altri di diritti.

18. E se ci provassimo?

Caro autore, in conclusione di questo mio testo balzano, vorrei tentare di socializzare le mie contraddizioni con le tue per vedere di saltarci fuori assieme, avendo io bisogno di te come tu di me. Tu pensi di avere il diritto di scrivere oltre che la libertà di farlo. Poi finisce che scrivi quando altri te lo lasciano fare per arrivare non necessariamente a coloro cui tu miravi. C’è fra me e te un sistema editoriale che crede di disporre a piacimento dei nostri sentimenti e delle nostre pulsioni pur di far profitti. Quegli editori senza i quali nel XVIII secolo non si sarebbe diffusa la nuova cultura scientifica, oggi sono la corda stretta attorno al collo di chi vuol leggere e di chi vuol scrivere.

La situazione illegale in cui vengono a trovarsi i ciechi nel momento in cui, anche acquistando il libro in libreria, lo duplicano, contravvenendo al noto avvertimento che compare su quasi tutte le pubblicazioni, è solo la punta di un iceberg. Sotto c’è tanto altro che dovremo pur dirci prima o poi in qualche modo.

19. Minori e maggioranze

Se mi sono rivolto a te come a un poeta minore, non è affatto per sottovalutarti. È che oggi la condizione di minorità ci accomuna tutti. Se mi fossi rivolto solo ai poeti maggiori e se anche tutti costoro fossero stati ad ascoltarmi, avrei raggiunto davvero poche persone. E poi non credo di essere io il problema di un autore maggiore che vende comunque con o senza di me. Così come non è lui un problema per me, in quanto il suo libro, di riffa o di raffa, riesco comunque a leggerlo.

Mi chiedo anche se oggi esistono lettori maggiori, nel senso che sono capaci di stare su un libro il tempo necessario per andare in profondità. Io non presumo tanto di me: sono certamente un lettore minore pur essendo uscito, tecnicamente parlando, dalla condizione di lettore minorato. Vorrei intanto uscire da questa sorta di clandestinità alla quale le leggi vigenti mi costringono, ma che viene benignamente tollerata dagli aventi causa in virtù del mio status di disabile, una persona, meglio una categoria, alla quale si è tentato e si tenta di insegnare non la coscienza dei diritti dell’uomo e del cittadino, ma la gratitudine per le briciole gettate giù gratis dalla tavola del ricco.

Ciò che ti sto chiedendo sono due cose:

- continuare a scrivere e batterti per il tuo diritto e farlo, sapendo che dietro di te ci siamo anche noi lettori;

- spingere il tuo sguardo di scrittore al di là delle tue stesse parole, dove ci siamo noi lettori con tutta la nostra incasinatissima molteplicità.

Possono coesistere il diritto di scrivere e il diritto di leggere?

La scommessa non solo va fatta, ma va anche vinta. Perché non la facciamo assieme?

A rileggerci

Carlo Loiodice

Se qualcuno nelle pagine precedenti avesse rinvenuto parole di sospetta provenienza, è autorizzato a darne notizia ai proprietari. La cosa dovrebbe gratificarli poiché di solito non si rubano cose senza valore.

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