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Fantasie femminili allestite a Venezia
25 Giugno 2005
Immagini
Se andate a Venezia non mancate di vivere per mezz'ora nell'installazione di Pipilotti Rist, a San Stae. Da il manifesto del 23 giugno 2005

Dedicata al mondo femminile, che investe di sé tutto il clima di questa edizione della biennale, la bella mostra di Kiki Smith è ottimamente allestita alla Fondazione Querini Stampalia per la cura di Chiara Bertola. Le stanze espositive si susseguono come fossero i luoghi di una fantastica abitazione completamente reinventata dall'artista in quella che è titolata Homespun tales: «storie di occupazione domestica» che si dipanano scorrevoli dalle opere all'ambiente, completamente allestito in funzione del «racconto» che vi scorre all'interno. La suggestione per questi lavori è derivata a Kiki Smith dalla collezione di ritratti conservata negli altri piani di Casa Querini: ritratti per lo più femminili dovuti al settecentesco pennello, pianamente borghese e attento osservatore della quotidianità domestica, di Pietro Longhi. L'artista americana mescola le carte e aggiunge il suo proprio ricordo del New Jersey ormai lontano, fantastico e favolistico come queste stanze, decorate a stencil, e la «cucina» dal grande tavolo ligneo con brocche e terraglie e altri strumenti manuali e bambole di pezza e vasetti poveri con fiori umili (ma come capitato per caso, spunta l'invito di una recente personale di Luigi Ontani, un meditato omaggio all'amico, il quale è ritratto proprio nelle vesti dell'Eroe dei due Mondi). È dunque un universo domestico, dove le protagoniste sono intente a occupazioni tradizionalmente femminili, intese nel senso più nobile, e concentrate in un mondo tutto loro (e nostro), che custodiscono gelosamente come piccole «vestali» o «lari». A questo circolo eletto ogni donna può sentirsi a ragione di appartenere, nella installazione filtra un messaggio muto, pacato, ma fortissimo, quasi ancestrale, di riappropriazione-riaffermazione della identità femminile. Ci sono figure di donne - in candido bisquit - collocate sul grandissimo tavolo da pranzo, altre che «occupano» in ranghi sparsi il pavimento, altre ancora più grandi che conducono alla camera da letto (tutti i mobili sono stati costruiti pezzo a pezzo dall'artista) e tutte ci parlano di un mondo matrilineare, occulto e intangibile. Anche il lavoro di Pipilotti Rist, (chi ha dimenticato la leggiadramente vandalica fanciulla per le strade di Zurigo con un fiore di kniphofia come clava in Ever is Over All ?) ci cattura in un universo esclusivamente dedicato a un unico genere: l'impatto emozionale, all'entrare nella seconda «sede» del padiglione svizzero nella chiesa di San Stae, è fortissimo. I visitatori si stendono liberamente sui grandi materassi multicolore sparsi per il pavimento dell'unica navata mentre in alto, sulla volta, appare il più grande, complesso e caleidoscopico «sfondato» della storia artistica. È un affresco tecnologico sofisticato che sdoppia e raddoppia e moltiplica le immagini di quattro proiezioni simultanee nelle quali si dipana la storia infinita di un paradiso terrestre di cielo, acque limpide, vegetazione rigogliosa abitato da una Eva originata dal caos primigenio e sdoppiatasi in una sua gemella/sosia, entrambe felicemente innocenti. Figura femminile archetipica (l'iconografia suggerisce i corpi femminili dei pittori fiamminghi e tedeschi) Eva e la sua doppia non si sottraggono alla minuziosa esplorazione della telecamera tanto ravvicinata che, ad un certo punto, la volta è interamente occupata da un unico occhio, quasi «l'occhio di Dio» (ma di genere femmile, una «grande madre» soccorrevole, mai giudice...) mentre in una divertente inquadratura successiva i capezzoli sono immensi fragoloni rosa decorativi. Le due Eve si muovono libere, in armonia con la natura, ma il «memento mori» calvinista è in agguato e viene simboleggiato, come nella migliore tradizione pittorica, nell'infradiciarsi dei frutti, pomi succosi che, stretti tra le mani o spappolati sotto i piedi ci rendono consapevoli della vanità delle cose (e il maschio è avvertito con sadica ironia: anche i suoi attributi virili, sorretti dolcemente tra le mani in una brevissima sequenza, potrebbero fare la stessa fine). Il suono, come è avvenuto per altri lavori, è accuratamente composto per le immagini e dunque in questo Homo sapiens sapiens (2005) è seducente e rilassante, ricordando la musica new age.

La personale di Karen Kilimnik, ancora un'artista americana, alla Fondazione Bevilacqua la Masa (palazzetto Tito), per la cura di Angela Vettese, ci introduce all'interno di una diversa ricostruzione della «casa»: si tratta di «scenografia» più che di un luogo della memoria o di un «rifugio» intimo e privato. Il décor è fatto di tende sontuose, seggioline dorate (eleganti?), carta azzurra da parati del salotto buono e poi una profusione di ninnoli e chincaglieria ovunque, in un concreto rimando alla pittura. Kilimnik è attirata dalla finzione, la sua pittura è tutta una «mise en scène» perfetta e inquietante, a tratti quasi sinistra, come se da un momento all'altro calasse il sipario. E il gioco dei rimandi, degli ossimori trapassa di stanza in stanza, di lavoro in lavoro, nell'esercizio magistrale di una consapevole citazione.

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