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Eddytoriale 79 (11.9.2005)
10 Giugno 2008
Eddytoriali 2005
Può capitare di non essere d’accordo, anche tra persone che normalmente lo sono. Ho espresso una valutazione del disegno di legge siciliano. Vezio De Lucia non è d’accordo, e me lo ha scritto. Gli ho replicato. Qui sotto la sua critica e la mia difesa. I temi non sono marginali: se sia utile criticare una politica urbanistica perversa criticando (sulla base di deformazioni) una legge in sé buona. Se una legge possa essere valutata in sé, a prescindere dal contesto. (Per analogia, se un progetto di architettura possa essere considerato buono a prescindere dal contesto). Se il passaggio “dal vincolo al piano” sia ancora, e dappertutto, un valore. Mi è sembrato utile utilizzare lo spazio privilegiato dell’eddytoriale per aprire una discussione su questi temi, e su quelli che attorno a questi si annodano.

Vezio De Lucia

Roma, 8 settembre 2005 - Caro Eddy, non ho creduto ai miei occhi nel leggere le tue osservazioni alla proposta di legge urbanistica siciliana. Salzano che parla bene, o almeno non parla male, di un testo della giunta Cuffaro mi pare inverosimile. Hai scritto che si tratta di una legge “migliore di tante altre che sono state approvate di recente dalle regioni”. Che “prevede un sistema di pianificazione incentrato sulla pianificazione regionale e provinciale (e questo della legge è indubbiamente un merito), alla quale viene attribuito il compito di individuare la struttura delle invarianti territoriali, distinguendo tra aree indisponibili …”, eccetera. La paragoni nientemeno alla legge Galasso. La confronti con le leggi dell’Emilia Romagna e della Toscana. Ma come fai, caro Eddy, a formulare giudizi su una legge astraendoti dal contesto storico e culturale dal quale ha origine? “Sganciare la legge dalla storia può portare a conseguenze aberranti”: lo hai scritto tu, ieri, commentando un articolo di Antonio Cassese: la postilla vale anche per te. Il contesto dal quale ha origine la legge è quello di una regione che ha venduto il suo territorio agli abusivi e alla malavita, che ha mandato in rovina i suoi centri storici, che ha trasformato le coste in una ripugnante periferia, che ha asservito le città alle automobili, e così di seguito. Questa regione, secondo te, dovrebbe adottare la pianificazione come metodo fondamentale per il governo del territorio? Ma quale pianificazione? Credo che in nessuna regione si siano fatti tanti piani come in Sicilia, senza che siano mai diventati efficaci. Esattamente trenta anni fa, nell’estate del 1975, collaborai con Edoardo Detti al corso estivo che teneva a Erice, dove esaminammo per conto della regione decine di piani territoriali (comprensoriali?) poi finiti nel dimenticatoio. Come tante altre esperienze. Dai dati pubblicati dalla Dicoter risulta che in Sicilia non c’è neanche un piano territoriale di coordiamento vigente, né “consolidato”. In cinque province “il processo è maturo” (inedito eufemismo). Che senso ha dire che se i piani ci fossero sarebbero meglio di quelli toscani? In tutta la legge non c’è una riga riguardante scelte ope legis. Non c’è verbo sulla repressione dell’abusivismo. Vi si allude all’art. 26 proponendo piani e procedure che sembrano fatti apposta per un’indiscriminata sanatoria. In Toscana la legge del 1995 (confermata nel 2005) ha prescritto il sostanziale blocco delle espansioni. Non è stata una captatio benevolentiae nei confronti degli ambientalisti. Dieci anni dopo, le previsioni dei piani regolatori erano dimezzate (da 8 a 4 milioni di abitanti). E veniamo ai vincoli. Intanto, come tu riconosci (non senza qualche sorprendente apprezzamento) gli standard sono abrogati, come nella legge Lupi, salvo a recuperarli con la nuova pianificazione. C’è chi ci crede. Lo stesso è per i vincoli di tutela. È vero che sono ripristinati da una norma transitoria, ma intanto sono cancellati, e si sa che le norme transitorie sono le più esposte a successive modifiche.

La verità è che fra le tue virtù, la principale è l’innocenza. Credi nelle conversioni e nei miracoli. Che il cielo ti ascolti. Io, che sono molto meno innocente di te, penso che, in un posto come la Sicilia, una legge autenticamente di riforma dovrebbe, in primo luogo, rafforzare, con norme perentorie, e senza tante raffinatezze, proprio il regime dei vincoli di tutela. Senza di che, come ha scritto Rosanna Piraino non si tratta di riforma ma di controriforma.

Un abbraccio, Vezio

Edoardo Salzano

Caro Vezio, non mi dispiacerebbe se fra le mie virtù la principale fosse l’innocenza, cioè se sapessi guardare e vivere la realtà senza il filtro della malizia. Ma non è così. E’ proprio la malizia, o più precisamente il calcolo politico, ad avermi suggerito di intervenire in quel modo nel dibattito (nella polemica) a proposito del disegno di legge urbanistica della Sicilia. Ho seguito con una certa attenzione il dibattito, ed ho letto la legge. Ciò che mi ha colpito è che nel dibattito le critiche non siano state alla politica urbanistica della Giunta Cuffaro, o all’impostazione della legge, ma si siano concentrate su un fatto specifico: sul fatto che quella legge abolirebbe sic et simpliciter i vincoli sulle coste, sui boschi e sugli altri beni precedentemente tutelati, nonché gli standard urbanistici. Ho verificato: non è così. Quella legge tutela quei medesimi beni, non più con un vincolo geometrico (tot metri) ma con la pianificazione. Come potevo ritenere negativo questo passaggio quando abbiamo celebrato insieme la legge 431/1985 (la legge Galasso) proprio perché ritenevamo giusto e sacrosanto che la tutela passasse (abbiamo scritto allora) “dal vincolo al piano”? E non dicevamo, né pensavamo, che questa regola doveva valere solo per le amministrazioni di sinistra.

A una prima lettura mi aveva preoccupato il fatto che la legge, rinviando le definizione delle tutele a un successivo atto (la pianificazione regionale e provinciale), non aveva però definito il regime delle aree vincolate nel periodo intermedio: poteva succedere carne di porco. Una lettura appena più attenta mi ha fatto scoprire che la legge prescriveva, nel periodo transitorio, la permanenza dei vincoli “vecchi”, e addirittura il loro irrigidimento in caso di ritardi nella pianificazione. Analogo ragionamento sugli standard, non soppressi ma trasferiti da una norma meramente quantitativa fissata per legge (regionale) ad uno specifico atto amministrativo (regionale). Non è così che fece la legge 765 del 1967? E non è così che hanno fatto successivamente molte regioni?

Non voglio però ripetere gli argomenti che ho sollevato nel mio articolo. Voglio dire soltanto che basare le critiche su un racconto della realtà non vero è un errore politico che favorisce l’avversario. Non è una critica efficace dell’avversario quella che si basa su un travisamento della verità dei fatti. Un’opposizione che si basa su valutazioni false è un’opposizione che ha perso una battaglia, e che ha rafforzato l’avversario. A me sembra che gli atti devono essere valutati anche in sé; e se in un contesto negativo si produce un atto che negativo non è, occorre domandarsi il perché, ma non aiuta a comprendere esprimere una valutazione pregiudizialmente negativa, o rifiutarsi di conoscere l’atto in se. Del resto, la storia che conosciamo e abbiamo studiato testimonia che in contesti molto negativi sono nati atti positivi (hai sostenuto da tempo che la legge urbanistica del 1942, in regime fascista, era una buona legge).

Hai ragione su un punto: ho sbagliato a non ricordare, nel mio articolo, il contesto, ma sono stato travolto dall’irritazione per una opposizione che, se si affida alle deformazioni della realtà, ha perso in partenza. Sono certo che, a partire da questa nostra discussione, si aprirà un dibattito più ampio che potrà servire a illuminare, oltre l’oggetto, anche la cornice.

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