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Eddytoriale 130 (05 ottobre 2009)
5 Ottobre 2009
Eddytoriali 2008-2009

Magari si comprenderà che rinunciare alla pianificazione urbanistica, o derogare ai suoi strumenti, puòcondurre alle stesse conseguenze di un omicidio o di una strage. Messina forse ha insegnato qualcosa.

Quarantatre anni fa successe, proprio in Sicilia, qualcosa di simile, ad Agrigento. Crollò un intero quartiere. Per fortuna l’immane crollo era stato preceduto da sinistri scricchiolii che avevano indotto gli abitanti a fuggire, così non ci furono morti. Allora l’opinione pubblica si scosse, il governo e il Parlamento reagirono. Il ministero del lavori pubblici svolse una rapida e accurata inchiesta, le cui conclusioni erano durissime nei confronti degli amministratori: “Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento. Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l’aspetto sociale, civile ed umano”.

A quanti amministratori attuali potrebbero applicarsi quelle parole, se un ministro o un direttore generale volessero assumere lo stesso atteggiamento che allora assunsero il ministro Giacomo Mancini e il direttore generale dell’urbanistica Michele Martuscelli?

Allora il Parlamento corse ai ripari. La frana di allora, come quella di adesso, era stata determinata dall’abbandono della pianificazione urbanistica, dal prevalere degli interessi della speculazione immobiliare su quelli della tutela del territorio, dal primato dell’interesse economico sulla regola nel pubblico interesse. Si tentò di rilanciare la pianificazione urbanistica, rendendola obbligatoria per tutti i comuni. Il succedersi di frane e alluvioni insegnò che il territorio, in ogni parte d’Italia, era stato devastato dal boom edilizio e dalla mancanza di attenzione per la sua fragilità. Si arricchì il quadro legislativo, e la cassetta di attrezzi della pianificazione territoriale, con nuovi strumenti: per la difesa del suolo, per la tutela dell’ambiente e del paesaggio.

Ma i nuovi strumenti, le nuove regole, vennero applicati poco e, spesso, male. Non si è voluto comprendere che le regole per la difesa dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio devono venire prima della decisioni di trasformarlo e devono prevalere su di esse. Le regole poste dai piani per la tutela devono essere stabilite senza alcun patteggiamento con un presunto “sviluppo” basato sull’urbanizzazione. Esse devono comandare sulla costruzione delle strade e delle ferrovie, delle urbanizzazioni ed edificazioni. E nessun intervento abusivo o illegittimo deve essere consentito o condonato.

Si tratta di una norma dettata dal buonsenso, oltre che dall’esperienza. Dovrebbe provocare in primo luogo l’accantonamento dei “piani casa” derogatori, e il rafforzamento degli strumenti di tutela (e di vincolo: sì, pronunciamola questa parola che a troppi non piace) che difendono il territorio. Sarebbe bello se fosse compresa e applicata da chi ha il potere e il dovere di farlo. Se questo non accadrà, sarà chiaro chi sarà stato responsabile delle sciagure e delle loro vittime, e sarà bene ricordarne i nomi.

Questo articolo è andato in rete su Tiscali il 4 ottobre 2009 con il titolo: "Messina: ora non si parlerà più di condoni", e lì raccoglie numerosi commenti.

In eddyburg anche una cartella sui crolli ad Agrigento, 1966

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