E’ quello che mi succede quando considero l’opinione corrente che si ha in Italia a proposito del territorio.
L’opinione corrente ha raggiunto il suo apice nella concezione del territorio propria del mondo, ideale e materiale, che è splendidamente rappresentato da Berlusconi. Può essere definita sinteticamente nel seguente modo.
Il territorio è qualcosa che esiste per essere trasformata, e le regole che le trasformazioni devono seguire sono quattro: (1) ogni trasformazione, sia la costruzione di una villa o un quartiere, di un ospedale o un’autostrada, deve consentire di guadagnare molto al proprietario o, nel caso di opera pubblica, al concessionario; (2) il guadagno deve manifestarsi nel tempo più breve possibile; (3) le conseguenze negative della trasformazione non devono ricadere sulle spalle del proprietario o concessionario; (4) tutto ciò che minaccia di ostacolare, o limitare, o ritardare il funzionamento di quelle tre regole deve essere contrastato e rimosso.
Vediamo alcuni casi dell’applicazione di questa concezione del territorio.
- La proposta di legge urbanistica dell’on. Lupi, presentata nella XV legislatura e ripresentata nella presente, che vuole sostituire a un sistema di regole dettate dal potere pubblico democratico l’iniziativa della proprietà immobiliare.
- La preferenza per le grandi opere realizzate con il sistema della concessione a imprese, mediante contratti che sottraggono al potere democratico il controllo effettivo del risultato, garantiscono il guadagno al privato e scaricano sul bilancio pubblico le perdite: è il sistema che vediamo applicare per le autostrade e per gli ospedali, per il ponte dello Stretto e per il MoSE della Laguna di Venezia.
- La soluzione del problema della casa affidata all’interesse del singolo proprietario di case o capannoni di aumentarne la cubatura, e quindi il valore venale, senza alcuna considerazione delle conseguenze sulle reti (fognature, acqua, viabilità), sui servizi (scuole, asili, palestre, parchi), sull’estetica e sulla funzionalità urbane.
- La continua spinta alla riduzione delle aree protette per le loro qualità, e perciò tutelate: una spinta aggravata dalla continua proroga della piena entrata in funzione del Codice del paesaggio e testimoniata dei colpi di mano che si stanno facendo per il Piano paesaggistico regionale della Sardegna.
La posizione alternativa, che condivido, è quella che vede il territorio e le sue qualità come un bene che nel suo complesso deve essere governato in nome dell’interesse generale, con una serie di azioni orientate prioritariamente a individuarne e conservarne le qualità (naturali e storiche), a garantirne la fruizione libera e l’accesso a tutti, compatibilmente con le esigenza della tutela. Un bene che può essere trasformato solo per utilizzarlo per esigenze che riguardino la società nel suo complesso, e in modi che ne provochino un miglioramento sul piano della bellezza e del saggio impiego delle risorse che esso fornisce, come su quello del soddisfacimento di fondamentali diritti umani e sociali. Mi riferisco al diritto ad abitare e fruire di spazi comuni dove intrecciare relazioni, aumentare il proprio potenziale di umanità e civiltà, esercitare il diritto della partecipazione al governo e all’espressione del consenso e del dissenso; al diritto a lavorare in condizioni di certezza e di sicurezza; al diritto di muoversi col minimo di ostacoli e di prezzi per le proprie necessità di lavoro, di scambio, di piacere.
Gli spazi naturali risparmiati dall’uomo e quelli trasformati dalle attività agricole rispettose della natura e dei suoi ritmi, le città della storia e quelle saggiamente sviluppate, sono testimonianze vive di trasformazioni orientate in questa direzione: nella direzione del territorio come un patrimonio comune, e non come strumento per l’arricchimento di pochi.
Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2009 nel giornale online Tiscali Italia, sul quale compaiono anche i commenti dei lettori