In entrambe le occasioni la critica alla città del neoliberalismo (della fase attuale del capitalismo) è stata il punto d’avvio; l’assenza di attenzioni positive per la città da parte dell’establishment politico, e della stessa società egemonizzata dal “pensiero unico” è stata sottolineata quasi da tutti; sul “che fare” si è dato molto rilievo al ruolo attuale e potenziale dei movimenti popolari, che si manifestano in moltissime città europee, e non solo europee. Il “diritto alla città” come obiettivo, e “la città come bene comune” come risposta, stanno acquistando un rilievo sempre maggiore, e forse anche la capacità di costituire la base di una strategia comune e di una pratica di resistenza alle distruzioni, segregazioni, diseguaglianze, privatizzazioni che caratterizzano, ovunque nel mondo, la prospettiva della città del neoliberalismo.
È probabilmente utile riprendere qui alcune riflessioni, che si sono sviluppate particolarmente nella Scuola di eddyburg, su quelle tre parole, urbs, civitas e polis la città come struttura fisica e funzionale, la città come società che la abita e vive, la città come politica. Si è detto che la buona urbanistica funziona, i miglioramenti delle condizioni di vita nelle città e nei territori si manifestano, le buone leggi e le buone pratiche si sviluppano, quando quelle tre realtà s’incontrano, quando la città incontra la società e la politica. Oggi siamo indubbiamente in un momento difficile: quelle tre realtà si sono divaricate, l’urbanistica non è più compresa dalla società, la politica si è svuotata di contenuti positivi. Così è sembrato e sembra che l’unico elemento positivo a cui aggrapparsi sia costituito dalle iniziative di protesta contro le condizioni cui i poteri forti riducono l’habitat dell’uomo, che nascono dalla società e propongono soluzioni alternative. I comitati e i movimenti locali e settoriali (contro le Grandi opere, contro lo spreco del territorio, contro la privatizzazione degli spazi pubblici, contro la degradazione e la commercializzazione dei beni culturali, contro l’espulsione dalle abitazioni e dai quartieri delle città), e soprattutto le reti che si tenta di costituire tra loro, sembrano i luoghi dai quali ripartire per contrastare le tendenze prevalenti. In effetti, moltissimi frequentatori di eddyburg si ricollegano a quelle raltà sociali, vi partecipano o le appoggiano, mettono al loro servizio il loro sapere e le informazioni di cui dispongono.
Qual è però il contributo specifico che chi si chiede a ogni persona dotata di un sapere nelle materie che riguardano il territorio, e in modo particolare a chi occupa professionalmente della città? Riteniamo che esso risieda proprio in quello che è lo spirito informatore della città e costituisce la “missione” dellurbanista: la consapevolezza di due verità.
La prima. I problemi dell’habitat dell’uomo non si risolvono se non si agisce tenendo conto che esso è un sistema: è un insieme nel quale tutte la parti sono collegate tra loro: le diverse scale, i diversi luoghi, i diversi settori. E non solo nella loro fisicità, ma anche nel modo in cui lo spazio interagisce con la società. Aiutare i gruppi e le reti ad avere questa visione, quindi a saldare (e mediare) le proteste e le richieste dell’uno e dell’altro luogo, settore, scala con quelle di tutti gli altri è un compito di grande rilievo. Se raggiunge lo scopo, avrà aiutato i movimenti a passare dalla testimonianza all’efficacia.
La seconda. Unire urbs e civitas non è sufficiente. Occorre riconquistare la polis: occorre che, prima o poi, la politica ritrovi il suo ruolo di interprete degli interessi maggioritari e generali della società e di guida degli strumenti che alla società sono indispensabili. E qual è il primo luogo della politica, del suo incontro con la società? Oggi, le istituzioni della democrazia. Del resto, ogni uomo di cultura (e in particolare l’urbanista) sa che le lotte per la casa, per gli spazi pubblici, per un ambiente di vita sano e piacevole, per la tutela dei beni territoriali comuni, per la riduzione del consumo di suolo, raggiungono il loro scopo unicamente se si traducono in adeguati strumenti per il controllo e l’indirizzo alle trasformazioni del territorio. Strumenti che sono (e devono restare) nelle mani degli “enti territoriali a competenza generale elettivi di primo grado". Ecco allora un punto di riferimento obbligato per i movimenti: in primo luogo i comuni, il Municipio, e poi gli istituti di livello sovraordinato. Quando le azioni che nascono spontaneamente dalla società conquistano i municipi esse non solo raggiungono più facilemente i loro obiettivi, ma aiutano a ricostruire la politica.
In questo sito, e nelle attività che eddyburg promuove o organizza, ci proponiamo di lavorare in modo particolare in questa direzione. Sebbene, in questa fase terribile della nostra vita pubblica, la nostra attenzione - e il notro tremore - siano commossi soprattutto dalla devastazione in atto dei più fondamentali principi dell’etica sociale.
Qui trovate le conclusioni (in progress) della quarta edizione della Scuola estiva di pianificazione di eddyburg e il documento per la costituzione di un Forum permanente europeo per il "diritto alla città"